Ragazzo mio, io non ho paura di morire. Tuttavia, ogni tanto mentre lavoro nella solitudine della notte, ho un sussulto nel cuore, saziarsi della vita vita, figlio mio, è impossibile. Non vivere su questa terra come un inquilino, o come un villeggiante stagionale. Ricorda: in questo mondo devi vivere saldo, vivere come nella casa paterna. Credi al grano, alla terra, al mare ma prima di tutto all'uomo. Ama la nuvola, il libro la macchina, ma prima di tutto l'uomo. Senti infondo al tuo cuore il dolore del ramo che secca, della stella che si spegne, della bestia ferita, ma prima di tutto il dolore dell'uomo. Godi di tutti i beni terrestri, del sole, della pioggia e della neve, dell'inverno e dell'estate, del buio e della luce, ma prima di tutto godi dell'uomo.
Ascoltami, i poeti laureati si muovono soltanto fra le piante dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti. Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi fossi dove in pozzanghere mezzo seccate agguantano i ragazzi qualche sparuta anguilla: le viuzze che seguono i ciglioni, discendono tra i ciuffi delle canne e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
Meglio se le gazzarre degli uccelli si spengono inghiottite dall'azzurro: più chiaro si ascolta il susurro dei rami amici nell'aria che quasi non si muove, e i sensi di quest'odore che non sa staccarsi da terra e piove in petto una dolcezza inquieta. Qui delle divertite passioni per miracolo tace la guerra, qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza ed è l'odore dei limoni.
Vedi, in questi silenzi in cui le cose s'abbandonano e sembrano vicine a tradire il loro ultimo segreto, talora ci si aspetta di scoprire uno sbaglio di Natura, il punto morto del mondo, l'anello che non tiene, il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità Lo sguardo fruga d'intorno, la mente indaga accorda disunisce nel profumo che dilaga quando il giorno più languisce. Sono i silenzi in cui si vede in ogni ombra umana che si allontana qualche disturbata Divinità
Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase. La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta il tedio dell'inverno sulle case, la luce si fa avara - amara l'anima. Quando un giorno da un malchiuso portone tra gli alberi di una corte ci si mostrano i gialli dei limoni; e il gelo del cuore si sfa, e in petto ci scrosciano le loro canzoni le trombe d'oro della solarità.
La curva dei tuoi occhi intorno al cuore ruota un moto di danza e di dolcezza, aureola di tempo, arca notturna e sicura e se non so più quello che ho vissuto è perché non sempre i tuoi occhi mi hanno visto.
Foglie di luce e spuma di rugiada canne del vento, risa profumate, ali che coprono il mondo di luce, navi cariche di cielo e di mare, caccia di suoni e fonti di colori,
profumi schiusi da una cova di aurore sempre posata sulla paglia degli astri, come il giorno vive di innocenza, così il mondo vive dei tuoi occhi puri e tutto il mio sangue va in quegli sguardi.
Bisticciammo quella mattina, perché lui aveva sessantacinque anni, e io trenta, ed ero nervosa e greve del bimbo la cui nascita mi atterriva. Io pensavo all'ultima lettera scrittami da quella giovane anima straniata il cui abbandono nascosi sposando quel vecchio. Poi presi la morfina e sedetti a leggere. Attraverso l'oscurità che mi scese sugli occhi io vedo ancora la luce vacillante di queste parole: "E Gesù gli disse: In verità io ti dico, Oggi tu sarai con me in paradiso"
Tutto il tuo dolore, Louise, e il tuo odio per me nacquero dalla tua illusione, che fosse leggerezza di spirito e disprezzo dei diritti della tua anima ciò che mi fece volgere ad Annabella e abbandonarti. In realtà tu prendesti ad odiarmi per amor mio, poiché io ero la gioia della tua anima, formato e temprato per risolverti la vita, e non volli. Ma tu eri la mia disgrazia. Se tu fossi stata la mia gioia, non mi sarei forse attaccato a te? Questo è il dolore della vita: le si può essere felici solo in due; e i nostri cuori rispondono a stelle che non voglion saperne di noi.
L'alte purezze che io non delibo debbo prima lasciare intatte estremamente dentro il tempo di un presagio non puro. Io scenderò sotterra desolata di non sapere ancora equilibrare la tua giusta bellezza alla sua luce. Che in me stessa non è che tenebrore quando la morte tutta non mi accenda.
Chiare, fresche et dolci acque ove le belle membra pose colei che sola a me par donna; gentil ramo, ove piacque, (con sospir mi rimembra) a lei di fare al bel fianco colonna; erba e fior che la gonna leggiadra ricoverse con l'angelico seno; aere sacro sereno ove Amor cò begli occhi il cor m'aperse: date udienza insieme a le dolenti mie parole estreme.
S'egli è pur mio destino, e 'l cielo in ciò s'adopra, ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda, qualche grazia il meschino corpo fra voi ricopra, e torni l'alma al proprio albergo ignuda; la morte fia men cruda se questa spene porto a quel dubbioso passo, ché lo spirito lasso non poria mai più riposato porto né in più tranquilla fossa fuggir la carne travagliata e l'ossa.
Tempo verrà ancor forse ch'a l'usato soggiorno torni la fera bella e mansueta, e là 'v'ella mi scorse nel benedetto giorno, volga la vista disiosa e lieta, cercandomi; ed o pietà! Già terra infra le pietre vedendo, Amor l'inspiri in guisa che sospiri sì dolcemente che mercè m'impetre, e faccia forza al cielo asciugandosi gli occhi col bel velo.
Dà bè rami scendea, (dolce ne la memoria) una pioggia di fior sovra 'l suo grembo; ed ella si sedea umile in tanta gloria, coverta già de l'amoroso nembo; qual fior cadea sul lembo, qual su le treccie bionde, ch'oro forbito e perle eran quel dì a vederle; qual si posava in terra e qual su l'onde, qual con un vago errore girando perea dir: "Qui regna Amore".
Quante volte diss'io allor pien di spavento: "Costei per fermo nacque in paradiso! ". Così carco d'oblio il divin portamento e 'l volto e le parole e'l dolce riso m'aveano, e sì diviso da l'imagine vera, ch'ì dicea sospirando: "Qui come venn'io o quando?" credendo esser in ciel, non là dov'era. Da indi in qua mi piace quest'erba sì ch'altrove non ò pace.
Se tu avessi ornamenti quant'ai voglia, poresti arditamente uscir del bosco e gir infra la gente.
Nella foto della folla la mia testa è la quarta dal bordo o forse la settima da sinistra o la ventesima dal basso;
la mia testa non so quale, non più una, non più unica, già simile alle simili, né femminile, né maschile;
i segni che lei mi manda non sono affatto particolari;
forse lo Spirito del Tempo la vede, però non la guarda;
la mia testa statistica, che consuma acciaio e cavi tranquillamente, globalmente;
è qualunque e non si vergogna, è scambiale, e non si dispera;
è come se non l'avessi fatto a parte, a modo mio;
è come se si scavasse un cimitero pieno di crani anonimi di buona conservabilità nonostante la mortalità; come se lei già fosse là, la mia testa d'altri, di chiunque -
dove, se qualcosa ricorda, è il suo avvenire profondo.
Madre diletta, mia sognata e vera verità, mia splendente meraviglia, madre diffusa come l'ape e il miele madre sostanza, tienimi nascosta dentro il tuo manto sì che io non veda sotterfugi ed inganni, in te io pura ridivento, siccome una bambina. Madre t'ho vista un giorno mentre prona sul pavimento t'invocavo piano eri bella e possente e mi guardavi con infinita eterna tenerezza a che più dirti, io non ho parole ma tu hai l'incanto delle cose buone, tu hai le parole che non hanno voce e che pure traversano le mura d'ogni esultanza, o madre che fanciullo tenesti il Cristo, guarda alle mie braccia che sono vuote e colmale di fiori o di spine o di luce o di tormento come ti piaccia e rendimi felice.