Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Elisa Iacobellis
in Poesie (Poesie d'Autore)

Ubriaco

Ubriaco di trementina e di lunghi baci,
guido il veliero delle rose, estivo,
che volge verso la morte del giorno sottile,
posato sulla solida frenesia marina.

Pallido e ormeggiato alla mia acqua famelica
incrocio nell'acre odore del clima aperto,
ancora vestito di grigio e di suoni amari,
e di un cimiero triste di spuma abbandonata.

Vado, duro di passioni, in sella all'unica mia onda,
lunare, solare, ardente e freddo, repentino,
addormentato nella gola di felici
isole bianche e dolci come freschi fianchi.

Trema nella notte umida il mio abito di baci
follemente carico di impulsi elettrici,
diviso in modo eroico tra i miei sogni
e le rose inebrianti che con me si cimentano.

Controcorrente, in mezzo a onde esterne,
il tuo corpo parallelo si ferma tra le mie braccia
come un pesce per sempre incollato alla mia anima,
rapido e lento nell'energia subceleste.
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    Scritta da: Elisa Iacobellis
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Abbiamo perso

    Abbiamo perso anche questo crepuscolo.
    Nessuno ci ha visto stasera mano nella mano
    mentre la notte azzurra cadeva sul mondo.
    Ho visto dalla mia finestra
    la festa del tramonto sui monti lontani.
    A volte, come una moneta
    mi si accendeva un pezzo di sole tra le mani.
    Io ti ricordavo con l'anima oppressa
    da quella tristezza che tu mi conosci.
    Dove eri allora?
    Tra quali genti?
    Dicendo quali parole?
    Perché mi investirà tutto l'amore di colpo
    quando mi sento triste e ti sento lontana?
    È caduto il libro che sempre si prende al crepuscolo
    e come cane ferito il mantello mi si è accucciato tra i piedi.
    Sempre, sempre ti allontani la sera
    e vai dove il crepuscolo corre cancellando statue.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Canzone del carceriere

      Dove vai bel carceriere
      Con quella chiave macchiata di sangue
      Vado a liberare la mia amata
      Se sono ancora in tempo
      L'avevo chiusa dentro
      Teneramente crudelmente
      Nella cella del mio desiderio
      Nel più profondo del mio tormento
      Nelle menzogne dell'avvenire
      Nelle sciocchezze del giuramento
      Voglio liberarla
      Voglio che sia libera
      E anche di dimenticarmi
      E anche di lasciarmi
      E anche di tornare
      E di amarmi ancora
      O di amare un altro
      Se un giorno le va a genio
      E se resto solo
      E lei sarà andata via
      Io serberò soltanto
      Serberò tuttavia
      Nel cavo delle mani
      Fino alle ultime mie ore
      La dolcezza dei suoi seni plasmati dall'amore.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Giardino autunnale

        Al giardino spettrale al lauro muto
        de le verdi ghirlande
        a la terra autunnale
        un ultimo saluto!
        A l'aride pendici
        aspre arrossate nell'estremo sole
        confusa di rumori rauchi grida la lontana vita:
        grida al morente sole
        che insanguina le aiole.
        S'intende una fanfara
        che straziante sale: il fiume spare
        ne le arene dorate; nel silenzio
        stanno le bianche statue a capo i ponti
        volte: e le cose già non sono più.
        E dal fondo silenzio come un coro
        tenero e grandioso
        sorge ed anela in alto al mio balcone:
        e in aroma d'alloro,
        in aroma d'alloro acre languente,
        tra le statue immortali nel tramonto
        ella m'appar, presente.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Alla morte

          Morire sì,
          non essere aggrediti dalla morte.
          Morire persuasi
          che un siffatto viaggio sia il migliore.
          E in quell'ultimo istante essere allegri
          come quando si contano i minuti
          dell'orologio della stazione
          e ognuno vale un secolo.
          Poi che la morte è la sposa fedele
          che subentra all'amante traditrice,
          non vogliamo riceverla da intrusa,
          né fuggire con lei.
          Troppo volte partimmo
          senza commiato!
          Sul punto di varcare
          in un attimo il tempo,
          quando pur la memoria
          di noi s'involerà,
          lasciaci, o Morte, dire al mondo addio,
          concedici ancora un indugio.
          L'immane passo non sia
          precipitoso.
          Al pensier della morte repentina
          il sangue mi si gela.
          Morte non mi ghermire
          ma da lontano annunciati
          e da amica mi prendi
          come l'estrema delle mie abitudini.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Autunno veneziano

            L'alito freddo e umido m'assale
            di Venezia autunnale.
            Adesso che l'estate,
            sudaticcia e sciroccosa,
            d'incanto se n'è andata,
            una rigida luna settembrina
            risplende, piena di funesti presagi,
            sulla città d'acque e di pietre
            che rivela il suo volto di medusa
            contagiosa e malefica.
            Morto è il silenzio dei canali fetidi,
            sotto la luna acquosa,
            in ciascuno dei quali
            par che dorma il cadavere d'Ofelia:
            tombe sparse di fiori
            marci e d'altre immondizie vegetali,
            dove passa sciacquando
            il fantasma del gondoliere.
            O notti veneziane,
            senza canto di galli,
            senza voci di fontane,
            tetre notti lagunari
            cui nessun tenero bisbiglio anima,
            case torve, gelose,
            a picco sui canali,
            dormenti senza respiro,
            io v'ho sul cuore adesso più che mai.
            Qui non i venti impetuosi e funebri
            del settembre montanino,
            non odor di vendemmia, non lavacri
            di piogge lacrimose,
            non fragore di foglie che cadono.
            Un ciuffo d'erba che ingiallisce e muore
            su un davanzale
            è tutto l'autunno veneziano.

            Così a Venezia le stagioni delirano.

            Pei suoi campi di marmo e i suoi canali
            non son che luci smarrite,
            luci che sognano la buona terra
            odorosa e fruttifera.
            Solo il naufragio invernale conviene
            a questa città che non vive,
            che non fiorisce,
            se non quale una nave in fondo al mare.
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              Scritta da: Gabriella Stigliano
              in Poesie (Poesie d'Autore)
              Al mattino gettai la mia rete nel mare.
              Trassi dall'oscuro abisso cose di strano
              aspetto e di strana bellezza -
              alcune brillavano come un sorriso,
              alcune luccicavano come lacrime,
              e alcune erano rosee
              come le guance d'una sposa.
              Quando, alla fine del giorno,
              tornai a casa con il mio bottino,
              il mio amore sedeva nel giardino
              sfogliando oziosamente un fiore.
              Esitante deposi ai, suoi piedi
              tutto quello che avevo pescato.

              Lei guardò distrattamente e disse:
              "Che strani oggetti sono questi?
              Non capisco a che possano servire".
              Chinai il capo, vergognoso, pensando:
              "Non ho lottato per conquistarli,
              non li ho comperati al mercato;
              non sono doni degni di lei".
              E per tutta la notte li gettai
              a uno a uno sulla strada.
              Al mattino vennero dei viaggiatori;
              li raccolsero e li portarono
              in paesi lontani.
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