Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Non chiesi nulla

Non chiesi nulla,
solo mi fermai al limite
del bosco, dietro un albero. Gli occhi dell'alba
erano languidi,
e la rugiada era ancora nell'aria.
Il delicato profumo dell'erba bagnata
indugiava nella nebbia
sottile che avvolgeva
la terra. Sotto un banano mungevi la mucca
con le tue mani tenere,
fresche come il burro.
Io me ne stavo immobile.
Non dissi una parola.
Fu l'uccello che cantò,
nascosto, dal cespuglio.
L'albero di mango
lasciava cadere i suoi fiori sulla strada del villaggio
e le api venivano ronzando, a una a una.
Dalla parte dello stagno
il cancello del tempio
di Shiva era aperto
e un fedele aveva iniziato
il suo canto.
Con il secchio
sulle ginocchia
tu mungevi la mucca.
Io rimasi con il mio secchio vuoto.
Non ti venni vicino.
Il cielo si destò al suono
del gong del tempio.
Gli zoccoli delle bestie
che andavano al pascolo sollevavano la polvere
della strada.
Con le brocche piene
posate sull'anca,
le donne venivano
dal fiume.
I tuoi bracciali
tintinnavano e la schiuma traboccava dal secchio.
La mattina passò e io
non ti venni vicino.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Le sei del mattino

    Le sei del mattino.
    Ho aperto la porta del giorno ci sono entrato
    ho assaporato
    l'azzurro nuovo nelle finestre
    le rughe della mia fronte di ieri
    sono rimaste sullo specchio

    sulla mia nuca una voce di donna
    tenera peluria di pesca
    e le notizie del mio paese alla radio

    vorrei correre d'albero in albero
    nel frutteto delle ore

    verrà il tramonto, mia rosa
    e al di là della notte
    mi aspetterà
    spero
    il sapore di un nuovo azzurro.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Poesia d'amore

      Nessuno sarà a casa
      solo la sera. Il solo
      giorno invernale nel vano trasparente
      delle tende scostate.

      Di palle di neve solo, umide, bianche
      la rapida sfavillante traccia.
      Soltanto tetti e neve e tranne
      i tetti e la neve, nessuno.

      E di nuovo ricamerà la brina,
      e di nuovo mi prenderanno
      la tristezza di un anno trascorso
      e gli affanni di un altro inverno,

      e di nuovo mi tormenteranno
      per una colpa non ancora pagata,
      e la finestra lungo la crociera
      una fame di legno serrerà.

      Ma per la tenda d'un tratto
      scorrerà il brivido di un'irruzione .
      Il silenzio coi passi misurando
      tu entrerai, come il futuro.

      Apparirai presso la porta,
      vestita senza fronzoli, di qualcosa di bianco,
      di qualcosa proprio di quei tessuti
      di cui ricamano i fiocchi.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Dichiarazione

        Essere donna è un gran passo,
        fare impazzire, eroismo.

        E io dinnanzi al miracolo di mani,
        schiena, spalle e di un collo di donna
        con devozione di servo
        la vita tutta riverisco.

        Ma per quanto la notte m'incateni
        con un anello d'angoscia,
        più forte è al mondo l'aspirazione ad evadere
        e la passione attira alle rotture.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          La differenza

          Penso e ripenso:-Che mai pensa l'oca
          gracidante alla riva del canale?
          Pare felice! Al vespero invernale
          protende il collo, giubilando roca.

          Salta starnazza si rituffa gioca:
          né certo sogna d'essere mortale
          né certo sogna il prossimo Natale
          né l'armi corruscanti della cuoca.

          -O pàpera, mia candida sorella,
          tu insegni che la Morte non esiste:
          solo si muore da che s'è pensato.

          Ma tu non pensi. La tua sorte è bella!
          Ché l'esser cucinato non è triste,
          triste è il pensare d'esser cucinato.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Padre, anche se

            Padre, se anche tu non fossi il mio
            padre,
            per te stesso, egualmente t'amerei.
            Ché mi ricordo d'un mattin d'inverno
            che la prima viola sull'opposto
            muro scopristi dalla tua finestra
            e ce ne desti la novella allegro.
            E subito la scala tolta in spalla
            di casa uscisti e l'appoggiavi al muro.
            Noi piccoli dai vetri si guardava.

            E di quell'altra volta mi ricordo
            che la sorella, bambinetta ancora,
            per la casa inseguivi minacciando.
            Ma raggiuntala che strillava forte
            dalla paura, ti mancava il cuore:
            t'eri visto rincorrere la tua
            piccola figlia e, tutta spaventata,
            tu vacillando l'attiravi al petto
            e con carezze la ricoveravi
            tra le tue braccia come per difenderla
            da quel cattivo ch'eri tu di prima.

            Padre, se anche tu non fossi il mio
            padre...
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              Scritta da: Francesca Fontana
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono

              Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
              di quei sospiri ond'io nudriva 'l core
              in sul mio primo giovenile errore
              quand'era in parte altr'uom da quel ch'ì sono,

              del vario stile in ch'io piango et ragiono
              fra le vane speranze e 'l van dolore,
              ove sia chi per prova intenda amore,
              spero trovar pietà, nonché perdono.

              Ma ben veggio or sì come al popol tutto
              favola fui gran tempo, onde sovente
              di me mesdesmo meco mi vergogno;

              et del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto,
              e 'l pentersi, e 'l conoscer chiaramente
              che quanto piace al mondo è breve sogno.
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                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Epigrafe per un libro condannato

                Non scrissi, o lettore innocente,
                pacifico e buon cittadino,
                per te questo mio saturnino
                volume, carnale e dolente.

                Se ancora non hai del sapiente
                Don Satana appreso il latino,
                non farti dal mio sibillino
                delirio turbare la mente!

                Ma leggimi e sappimi amare,
                se osi nel gorgo profondo
                discendere senza tremare.

                O triste fratello errabondo
                che cerchi il tuo cielo diletto,
                compiangimi, o sii maledetto!
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