Ragazzo mio, io non ho paura di morire. Tuttavia, ogni tanto mentre lavoro nella solitudine della notte, ho un sussulto nel cuore, saziarsi della vita vita, figlio mio, è impossibile. Non vivere su questa terra come un inquilino, o come un villeggiante stagionale. Ricorda: in questo mondo devi vivere saldo, vivere come nella casa paterna. Credi al grano, alla terra, al mare ma prima di tutto all'uomo. Ama la nuvola, il libro la macchina, ma prima di tutto l'uomo. Senti infondo al tuo cuore il dolore del ramo che secca, della stella che si spegne, della bestia ferita, ma prima di tutto il dolore dell'uomo. Godi di tutti i beni terrestri, del sole, della pioggia e della neve, dell'inverno e dell'estate, del buio e della luce, ma prima di tutto godi dell'uomo.
Il giorno più felice Il giorno più felice - l'ora più felice questo mio inaridito cuore ha già conosciuto; ogni più alta speranza di trionfo e d'orgoglio sento ch'è fuggita via.
Trionfo? Oh sì, così fantasticavo; ma da gran tempo svanirono ormai le visione di quel mio giovanile tempo - e sia pur così.
E quanto a te, orgoglio, che dirti? Erediti pure un'altra fonte quel veleno che approntasti per me - Ora acquietati, o mio spirito.
Il giorno più felice - l'ora più felice - che quest'occhi avrebbero visto - hanno già visto, il rifulgente sguardo di trionfo e d'orgoglio sento che è spento ormai.
Ma mi fosse pur riofferta quella speranza di trionfo e d'orgoglio, e con la pena che allora avvertivo - quella fulgente ora io non vorrei riviverla:
giacché oscure scorie erano su quelle ali e, al loro agitarsi, una maligna essenza ne pioveva - fatale per un'anima che già l'ha conosciuta.
Bisticciammo quella mattina, perché lui aveva sessantacinque anni, e io trenta, ed ero nervosa e greve del bimbo la cui nascita mi atterriva. Io pensavo all'ultima lettera scrittami da quella giovane anima straniata il cui abbandono nascosi sposando quel vecchio. Poi presi la morfina e sedetti a leggere. Attraverso l'oscurità che mi scese sugli occhi io vedo ancora la luce vacillante di queste parole: "E Gesù gli disse: In verità io ti dico, Oggi tu sarai con me in paradiso"
Tu sei come una giovane una bianca pollastra. Le si arruffano al vento le piume, il collo china per bere, e in terra raspa; ma, nell'andare, ha il lento tuo passo di regina, ed incede sull'erba pettoruta e superba. È migliore del maschio. È come sono tutte le femmine di tutti i sereni animali che avvicinano a Dio, Così, se l'occhio, se il giudizio mio non m'inganna, fra queste hai le tue uguali, e in nessun'altra donna. Quando la sera assonna le gallinelle, mettono voci che ricordan quelle, dolcissime, onde a volte dei tuoi mali ti quereli, e non sai che la tua voce ha la soave e triste musica dei pollai.
Tu sei come una gravida giovenca; libera ancora e senza gravezza, anzi festosa; che, se la lisci, il collo volge, ove tinge un rosa tenero la tua carne. Se l'incontri e muggire l'odi, tanto è quel suono lamentoso, che l'erba strappi, per farle un dono. È così che il mio dono t'offro quando sei triste.
Tu sei come una lunga cagna, che sempre tanta dolcezza ha negli occhi, e ferocia nel cuore. Ai tuoi piedi una santa sembra, che d'un fervore indomabile arda, e così ti riguarda come il suo Dio e Signore. Quando in casa o per via segue, a chi solo tenti avvicinarsi, i denti candidissimi scopre. Ed il suo amore soffre di gelosia.
Tu sei come la pavida coniglia. Entro l'angusta gabbia ritta al vederti s'alza, e verso te gli orecchi alti protende e fermi; che la crusca e i radicchi tu le porti, di cui priva in sé si rannicchia, cerca gli angoli bui. Chi potrebbe quel cibo ritoglierle? Chi il pelo che si strappa di dosso, per aggiungerlo al nido dove poi partorire? Chi mai farti soffrire?
Tu sei come la rondine che torna in primavera. Ma in autunno riparte; e tu non hai quest'arte.
Tu questo hai della rondine: le movenze leggere: questo che a me, che mi sentiva ed era vecchio, annunciavi un'altra primavera.
Tu sei come la provvida formica. Di lei, quando escono alla campagna, parla al bimbo la nonna che l'accompagna.
E così nella pecchia ti ritrovo, ed in tutte le femmine di tutti i sereni animali che avvicinano a Dio; e in nessun'altra donna.
Colombaia dorata sull'acqua, tenera e verde struggente, e una brezza marina che spazza la scia sottile delle barche nere.
Che dolci, strani volti tra la folla, nelle botteghe lucenti balocchi: un leone col libro su un cuscino a ricami, un leone col libro su una colonna di marmo.
Come su di un'antica tela scolorita, il cielo azzurro fioco si rapprende... ma non si è stretti in quest'angustia, e non opprimono l'umido e l'afa.
Primavera, io vengo dalla via, dove il pioppo è stupito, dove la lontananza sbigottisce, dove la casa teme di crollare, dove l'aria è azzurra come il fagottino della biancheria di colui che è dimesso dall'ospedale!
Dove la sera è vuota come un racconto interrotto, lasciato da una stella senza continuazione per rendere perplessi mille occhi tumultuosi, insondabili e privi di espressione.
Chiare, fresche et dolci acque ove le belle membra pose colei che sola a me par donna; gentil ramo, ove piacque, (con sospir mi rimembra) a lei di fare al bel fianco colonna; erba e fior che la gonna leggiadra ricoverse con l'angelico seno; aere sacro sereno ove Amor cò begli occhi il cor m'aperse: date udienza insieme a le dolenti mie parole estreme.
S'egli è pur mio destino, e 'l cielo in ciò s'adopra, ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda, qualche grazia il meschino corpo fra voi ricopra, e torni l'alma al proprio albergo ignuda; la morte fia men cruda se questa spene porto a quel dubbioso passo, ché lo spirito lasso non poria mai più riposato porto né in più tranquilla fossa fuggir la carne travagliata e l'ossa.
Tempo verrà ancor forse ch'a l'usato soggiorno torni la fera bella e mansueta, e là 'v'ella mi scorse nel benedetto giorno, volga la vista disiosa e lieta, cercandomi; ed o pietà! Già terra infra le pietre vedendo, Amor l'inspiri in guisa che sospiri sì dolcemente che mercè m'impetre, e faccia forza al cielo asciugandosi gli occhi col bel velo.
Dà bè rami scendea, (dolce ne la memoria) una pioggia di fior sovra 'l suo grembo; ed ella si sedea umile in tanta gloria, coverta già de l'amoroso nembo; qual fior cadea sul lembo, qual su le treccie bionde, ch'oro forbito e perle eran quel dì a vederle; qual si posava in terra e qual su l'onde, qual con un vago errore girando perea dir: "Qui regna Amore".
Quante volte diss'io allor pien di spavento: "Costei per fermo nacque in paradiso! ". Così carco d'oblio il divin portamento e 'l volto e le parole e'l dolce riso m'aveano, e sì diviso da l'imagine vera, ch'ì dicea sospirando: "Qui come venn'io o quando?" credendo esser in ciel, non là dov'era. Da indi in qua mi piace quest'erba sì ch'altrove non ò pace.
Se tu avessi ornamenti quant'ai voglia, poresti arditamente uscir del bosco e gir infra la gente.
La pioggia ha un vago segreto di tenerezza, una sonnolenza rassegnata e amabile, una musica umile si sveglia con lei e fa vibrare l'anima addormentata del paesaggio
è un bacio azzurro che riceve la Terra, il mito primitivo che si rinnova. Il freddo contatto di cielo e terra vecchi con una pace da lunghe sere.
È l'aurora del frutto. Quella che ci porta i fiori e ci unge con lo spirito santo dei mari. Quella che sparge la vita sui seminati e nell'anima tristezza di ciò che non sappiamo.
La nostalgia terribile di una vita perduta, il fatale sentimento di esser nati tardi, o l'illusione inquieta di un domani impossibile con l'inquietudine vicina del color della carne.
L'amore si sveglia nel grigio del suo ritmo, il nostro cielo interiore ha un trionfo di sangue, ma il nostro ottimismo si muta in tristezza nel contemplare le gocce morte sui vetri.
E son le gocce: occhi d'infinito che guardano il bianco infinito che le generò.
Ogni goccia di pioggia trema sul vetro sporco e vi lascia divine ferite di diamante. Sono poeti dell'acqua che hanno visto e meditano ciò che la folla dei fiumi ignora.
O pioggia silenziosa; senza burrasca, senza vento, pioggia tranquilla e serena di campana e di dolce luce, pioggia buona e pacifica, vera pioggia, quando amorosa e triste cadi sopra le cose!
O pioggia francescana che porti in ogni goccia anime di fonti chiare e di umili sorgenti! Quando scendi sui campi lentamente le rose del mio petto apri con i tuoi suoni.
Il canto primitivo che dici al silenzio e la storia sonora che racconti ai rami il mio cuore deserto li commenta in un nero e profondo pentagramma senza chiave.
La mia anima ha la tristezza della pioggia serena, tristezza rassegnata di cosa irrealizzabile, ho all'orizzonte una stella accesa e il cuore mi impedisce di contemplarla.
O pioggia silenziosa che gli alberi amano e sei al piano dolcezza emozionante: dà all'anima le stesse nebbie e risonanze che lasci nell'anima addormentata del paesaggio!