Poesie d'Autore migliori


in Poesie (Poesie d'Autore)
Dai il meglio di te
Se fai il bene, ti attribuiranno
secondi fini egoistici
non importa, fa il bene.
Se realizzi i tuoi obiettivi,
troverai falsi amici e veri nemici
non importa realizzali.
Il bene che fai verrà domani
dimenticato.
Non importa fa il bene
L'onestà e la sincerità ti
rendono vulnerabile
non importa, sii franco
e onesto.
Dà al mondo il meglio di te, e ti
prenderanno a calci.
Non importa, dà il meglio di te.
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    in Poesie (Poesie d'Autore)
    Demoni e meraviglie
    Venti e maree
    Lontano di già si è ritirato il mare
    E tu
    Come alga dolcemente accarezzata dal vento
    Nella sabbia del tuo letto ti agiti sognando
    Demoni e meraviglie
    Venti e maree
    Lontano di già si è ritirato il mare
    Ma nei tuoi occhi socchiusi
    Due piccole onde son rimaste
    Demoni e meraviglie
    Venti e maree
    Due piccole onde per annegarmi.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)
      Se tu dovessi venire in autunno
      mi leverei di torno l'estate
      con un gesto stizzito ed un sorrisetto,
      come fa la massaia con la mosca.

      Se entro un anno potessi rivederti,
      avvolgerei in gomitoli i mesi,
      per poi metterli in cassetti separati -
      per paura che i numeri si mescolino.

      Se mancassero ancora alcuni secoli,
      li conterei ad uno ad uno sulla mano -
      sottraendo, finché non mi cadessero
      le dita nella terra della Tasmania.

      Se fossi certa che, finita questa vita,
      io e te vivremo ancora -
      come una buccia la butterei lontano -
      e accetterei l'eternità all'istante.

      Ma ora, incerta della dimensione
      di questa che sta in mezzo,
      la soffro come l'ape-spiritello
      che non preannuncia quando pungerà.
      (dedicata a F. )
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        Scritta da: Cheope
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Infinità d'amore

        Se ancor non ho tutto l'amore tuo,
        cara, giammai tutto l'avrò;
        non posso esalare un altro sospiro per intenerirti,
        né posso implorare un'altra lacrima a che sgorghi;
        ormai tutto il tesoro che avevo per acquistarti
        - sospiri, lacrime, e voti e lettere - l'ho consumato.
        Eppure non può essermi dovuto
        più di quanto fu inteso alla stipulazione del contratto;
        se allora il tuo dono d'amore fu parziale,
        si che parte a me toccasse, parte ad altri,
        cara giammai tutta ti avrò

        Ma se allora tu mi cedesti tutto,
        quel tutto non fu che il tutto di cui allora tu disponevi;
        ma se nel cuore tuo, in seguito, sia stato o sarà
        generato amor nuovo, ad opera di altri,
        che ancor possiedono intatte le lor sostanze, e possono di lacrime,
        di sospiri, di voti, di lettere, fare offerte maggiori,
        codesto amore nuovo può produrre nuove ansie,
        poiché codesto amore non fu da te impegnato.
        Eppur lo fu, dacché la tua donazione fu totale:
        il terreno, cioè il tuo cuore, è mio; quanto ivi cresca,
        cara, dovrebbe tutto spettare a me.

        Tuttavia ancor non vorrei avere tutto;
        chi tutto ha non può aver altro,
        e dacché il mio amore ammette quotidianamente
        nuovo accrescimento, tu dovresti avere in serbo nuove ricompense;
        tu non puoi darmi ogni giorno il tuo cuore:
        se puoi darlo, vuol dire che non l'hai mai dato.
        il paradosso d'amore consiste nel fatto che, sebbene il tuo cuore si diparta,
        tuttavia rimane, e tu col perderlo lo conservi.
        Ma noi terremo un modo più liberale
        di quello di scambiar cuori: li uniremo; così saremo
        un solo essere, e il Tutto l'un dell'altro.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Il Risorgimento

          Credei ch'al tutto fossero
          In me, sul fior degli anni,
          Mancati i dolci affanni
          Della mia prima età:
          I dolci affanni, i teneri
          Moti del cor profondo,
          Qualunque cosa al mondo
          Grato il sentir ci fa.

          Quante querele e lacrime
          Sparsi nel novo stato,
          Quando al mio cor gelato
          Prima il dolor mancò!
          Mancàr gli usati palpiti,
          L'amor mi venne meno,
          E irrigidito il seno
          Di sospirar cessò!

          Piansi spogliata, esanime
          Fatta per me la vita
          La terra inaridita,
          Chiusa in eterno gel;
          Deserto il dì; la tacita
          Notte più sola e bruna;
          Spenta per me la luna,
          Spente le stelle in ciel.

          Pur di quel pianto origine
          Era l'antico affetto:
          Nell'intimo del petto
          Ancor viveva il cor.
          Chiedea l'usate immagini
          La stanca fantasia;
          E la tristezza mia
          Era dolore ancor.

          Fra poco in me quell'ultimo
          Dolore anco fu spento,
          E di più far lamento
          Valor non mi restò.
          Giacqui: insensato, attonito,
          Non dimandai conforto:
          Quasi perduto e morto,
          Il cor s'abbandonò.

          Qual fui! Quanto dissimile
          Da quel che tanto ardore,
          Che sì beato errore
          Nutrii nell'alma un dì!
          La rondinella vigile,
          Alle finestre intorno
          Cantando al novo giorno,
          Il cor non mi ferì:

          Non all'autunno pallido
          In solitaria villa,
          La vespertina squilla,
          Il fuggitivo Sol.
          Invan brillare il vespero
          Vidi per muto calle,
          Invan sonò la valle
          Del flebile usignol.

          E voi, pupille tenere,
          Sguardi furtivi, erranti,
          Voi dè gentili amanti
          Primo, immortale amor,
          Ed alla mano offertami
          Candida ignuda mano,
          Foste voi pure invano
          Al duro mio sopor.

          D'ogni dolcezza vedovo,
          Tristo; ma non turbato,
          Ma placido il mio stato,
          Il volto era seren.
          Desiderato il termine
          Avrei del viver mio;
          Ma spento era il desio
          Nello spossato sen.

          Qual dell'età decrepita
          L'avanzo ignudo e vile,
          Io conducea l'aprile
          Degli anni miei così:
          Così quegl'ineffabili
          Giorni, o mio cor, traevi,
          Che sì fugaci e brevi
          Il cielo a noi sortì.

          Chi dalla grave, immemore
          Quiete or mi ridesta?
          Che virtù nova è questa,
          Questa che sento in me?
          Moti soavi, immagini,
          Palpiti, error beato,
          Per sempre a voi negato
          Questo mio cor non è?

          Siete pur voi quell'unica
          Luce dè giorni miei?
          Gli affetti ch'io perdei
          Nella novella età?
          Se al ciel, s'ai verdi margini,
          Ovunque il guardo mira,
          Tutto un dolor mi spira,
          Tutto un piacer mi dà.

          Meco ritorna a vivere
          La piaggia, il bosco, il monte;
          Parla al mio core il fonte,
          Meco favella il mar.
          Chi mi ridona il piangere
          Dopo cotanto obblio?
          E come al guardo mio
          Cangiato il mondo appar?

          Forse la speme, o povero
          Mio cor, ti volse un riso?
          Ahi della speme il viso
          Io non vedrò mai più.
          Proprii mi diede i palpiti,
          Natura, e i dolci inganni.
          Sopiro in me gli affanni
          L'ingenita virtù;

          Non l'annullàr: non vinsela
          Il fato e la sventura;
          Non con la vista impura
          L'infausta verità.
          Dalle mie vaghe immagini
          So ben ch'ella discorda:
          So che natura è sorda,
          Che miserar non sa.

          Che non del ben sollecita
          Fu, ma dell'esser solo:
          Purché ci serbi al duolo,
          Or d'altro a lei non cal.
          So che pietà fra gli uomini
          Il misero non trova;
          Che lui, fuggendo, a prova
          Schernisce ogni mortal.

          Che ignora il tristo secolo
          Gl'ingegni e le virtudi;
          Che manca ai degni studi
          L'ignuda gloria ancor.
          E voi, pupille tremule,
          Voi, raggio sovrumano,
          So che splendete invano,
          Che in voi non brilla amor.

          Nessuno ignoto ed intimo
          Affetto in voi non brilla:
          Non chiude una favilla
          Quel bianco petto in sé.
          Anzi d'altrui le tenere
          Cure suol porre in gioco;
          E d'un celeste foco
          Disprezzo è la mercè.

          Pur sento in me rivivere
          Gl'inganni aperti e noti;
          E, dè suoi proprii moti
          Si maraviglia il sen.
          Da te, mio cor, quest'ultimo
          Spirto, e l'ardor natio,
          Ogni conforto mio
          Solo da te mi vien.

          Mancano, il sento, all'anima
          Alta, gentile e pura,
          La sorte, la natura,
          Il mondo e la beltà.
          Ma se tu vivi, o misero,
          Se non concedi al fato,
          Non chiamerò spietato
          Chi lo spirar mi dà.
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            Scritta da: Andrew Ricooked
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Fuori posto

            Brucia all'inferno
            questa parte di me che non si trova bene in nessun posto
            mentre le altre persone trovano cose
            da fare
            nel tempo che hanno
            posti dove andare
            insieme
            cose da
            dirsi.

            Io sto
            bruciando all'inferno
            da qualche parte nel nord del Messico.
            Qui i fiori non crescono.

            Non sono come
            gli altri
            gli altri sono come
            gli altri.

            Si assomigliano tutti:
            si riuniscano
            si ritrovano
            si accalcano
            sono
            allegri e soddisfatti
            e io sto
            bruciando all'inferno.

            Il mio cuore ha mille anni.
            Non sono come
            gli altri.
            Morirei nei loro prati da picnic
            soffocato dalle loro bandiere
            indebolito dalle loro canzoni
            non amato dai loro soldati
            trafitto dal loro umorismo
            assassinato dalle loro preoccupazioni.

            Non sono come
            gli altri.
            Io sto
            bruciando all'inferno.

            L'inferno di
            me stesso.
            Composta domenica 3 gennaio 2010
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              Scritta da: Dario Pautasso
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              La morte si fuma i miei sigari

              Sai com'è: sono qui ubriaco ancora
              una volta
              e ascolto Chajkovskij
              alla radio.
              Gesù, lo sentivo quarantasette anni
              fa
              quando ero uno scrittore morto di fame
              ed eccolo qui
              di nuovo
              ora io sono uno scrittore con un po'
              di successo
              e la morte va
              su e giù
              per questa stanza
              e si fuma i miei sigari
              beve qualche sorso del mio
              vino
              mentre il vecchio Pietro continua a darci dentro
              con la sua "Patetica",
              ho fatto un bel pezzo di strada
              e se ho avuto fortuna è
              perché ho tirato bene
              i dadi:
              ho fatto la fame per l'arte, ho fatto la fame per
              riuscire a guadagnare cinque dannati minuti, cinque ore,
              cinque giorni,
              volevo soltanto buttare giù qualche
              frase,
              il successo, il denaro non importavano:
              io volevo scrivere
              e loro volevano che stessi alla pressa meccanica,
              in fabbrica alla catena di montaggio
              volevano che facessi il fattorino in un
              grande magazzino.

              Bè, dice la morte, passandomi accanto,
              ti prenderò comunque,
              non importa quello che sei stato:
              scrittore, tassista, pappone, macellaio,
              paracadutista acrobatico, io ti
              prenderò...
              okay, baby, le dico io.
              Adesso ci beviamo qualcosa insieme
              mentre l'una di notte diventano
              le due
              e lei solo sa
              quando verrà il
              momento, ma oggi sono
              riuscito a fregarla: mi sono preso
              altri cinque dannati minuti
              e molto di
              più.
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                Scritta da: Dario Pautasso
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Stile

                Lo stile è una risposta a tutto.
                un nuovo modo di affrontare un giorno noioso o pericoloso
                fare una cosa noiosa con stile è meglio che fare una cosa pericolosa senza stile.
                fare una cosa pericolosa con stile è ciò che io chiamo arte.
                La corrida può essere arte
                Boxare può essere arte.
                Amare può essere arte.
                Aprire una scatola di sardine può essere arte.
                Non molti hanno stile.
                Non molti possono mantenere lo stile.
                Ho visto cani con più stile degli uomini,
                Sebbene non molti cani abbiano stile.
                I gatti ne hanno in abbondanza.

                Quando Hemingway si è fatto saltare le cervella con un fucile, quello era stile.
                Alcune persone ti insegnano lo stile.
                Giovanna d'Arco aveva stile.
                Giovanni il Battista.
                Gesù
                Socrate.
                Cesare.
                García Lorca.
                In prigione ho conosciuto uomini con stile.
                Ho conosciuto più uomini con stile in prigione che fuori di prigione.
                Lo stile è una differenza, un modo di fare, un modo di esser fatto.
                Sei aironi tranquilli in uno specchio d'acqua, o tu, mentre esci dal bagno nuda senza
                vedermi.
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                  Scritta da: Andrea De Candia
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  Elogio dei sogni

                  In sogno
                  dipingo come Vermeer.

                  Parlo correntemente il greco
                  e non soltanto con i vivi.

                  Guido l'automobile,
                  che mi obbedisce.

                  Ho talento,
                  scrivo grandi poemi.

                  Odo voci
                  non peggio di autorevoli santi.

                  Sareste sbalorditi
                  dal mio virtuosismo al pianoforte.

                  Volo come si deve,
                  ossia da sola.

                  Cadendo da un tetto
                  so cadere dolcemente sul verde.

                  Non ho difficoltà
                  a respirare sott'acqua.

                  Non mi lamento:
                  sono riuscita a trovare l'Atlantide.

                  Mi rallegro di sapermi sempre svegliare
                  prima di morire.

                  Non appena scoppia una guerra
                  mi giro sul fianco preferito.

                  Sono, ma non devo
                  esserlo, una figlia del secolo.

                  Qualche anno fa
                  ho visto due soli.

                  E l'altro ieri un pinguino.
                  Con la massima chiarezza.
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