Scritta da: Giorgio De Luca
in Poesie (Poesie d'Autore)
Profumo di donna
In quel giardino
dove è di casa
la felicità,
una rosa
sboccerà,
sprigionando
nell'aria
l'inebriante
profumo
di donna.
Composta sabato 7 gennaio 1995
In quel giardino
dove è di casa
la felicità,
una rosa
sboccerà,
sprigionando
nell'aria
l'inebriante
profumo
di donna.
Col nastro del Pensiero
io catturo ciò che sono
per sentieri di campagna
che s'aprono a ventaglio.
Fra i rumori della vita,
osservo tra le rose
le pieghe del mistero,
prospettive del mio tempo.
Raccolgo fra le mani l'essenza d'un bagliore
e rubo con un balzo un frammento di Bellezza.
E sono ladra,
ladra del mio tempo
... racconto di nascosto
sotto gli angoli riposti
delle pagine dei libri,
tutto il tempo e meraviglie
che io ascolto dalla Voce
del narrante che mi detta
la beltà che si nasconde
sotto il volto e nelle cose
della quotidianità.
Tutto è un attimo
avere un cuore
per distruggere se stessi
quando batte così forte
fino a impedire
di guardare oltre
Un attimo dura...
gli attimi più grandi
della tua vita
Il profumo di fresco salato
più del mare...
Come la dolcezza del miele
più amaro.
Soffice si posa
come un velo, miracolosa
avvolge tutto come un sogno
bianco e candido
eppure così effimero
tanto per niente.
Col naso spiaccicato sopra il vetro
c'è un bambino
e guarda incredulo quella meraviglia
in quel freddo mattino
con la sua mano infreddolita
cerca di afferrarla
vorrebbe tenerla, conservarla
ma il miracolo è una cosa impalpabile
che non si tiene
che non si conviene, si osserva e tace
che brilla con la luce
un momento e passa
ma quanta felicità in un attimo...
Ogni tanto ti penso,
e ti vedo seduto sullo scoglio
a fissare un tramonto,
e di fronte ai tuoi occhi
solo l'orizzonte,
un mare calmo,
ed il tramonto.
Se vuoi farmi un regalo,
questa sera,
mentre il tuo corpo contemplerà
attonito i colori del cielo,
tu cattura con la mente quelle sensazioni;
ed io, nel sogno della notte, verrò a trovarti,
per prendermi le emozioni che hai conservato per me.
Ti lascerò un fiore, col mio profumo,
che coglierai con un sorriso
al tuo risveglio,
quando ti ricorderai,
per un solo istante,
di avermi incontrato...
Ho creduto in sogni impossibili
abbracciato dimensioni sconosciute.
Ho sentito vibrare l'anima
e fermarsi il cuore, pensando a te.
Ho contato ore che ci separavano
ma che non ci appartenevano
sperando di trovarci uniti,
abbracciati ad un attimo fatto di noi.
Ho ascoltato il tuo immenso
per poi trovare niente
costruendo castelli di sabbia
mi sono infangata tra le onde del mare,
che tutto ha travolto e tutto si è ripreso.
Ed ora raccolgo frammenti
di ciò che speravo, di ciò in cui ho creduto
di ciò che poteva essere
di ciò che avrei voluto fosse.
Anche solo per un attimo
per un solo istante
per sentire i suoni della tua anima,
ne sarebbe valsa la pena.
Avrei voluto incrociare il tuo sguardo
passarti le mani fra i capelli
sentire l'odore della tua pelle
amarti, anche solo per un'ora.
Perché sarebbe stato amore
puro, limpido, cristallino
prezioso e forte come un diamante.
Un amore che nessuna
tempesta avrebbe spezzato.
Non ho camminato nei tuoi sogni,
né mi sono mostrato in mezzo alla folla,
non sono apparso nel cortile
dove pioveva o meglio cominciava
a piovere (questo verso
lo cancello e non lo sostituirò),
era allettante credere, come uno stupido,
che ti avrei incontrato presto,
eri tu che mi apparivi in sogno
(e mi prendeva una dolce tenerezza),
mi sistemavi i capelli sulle tempie.
Quell'autunno perfino le poesie
in parte mi riuscivano bene
(però mancava sempre un verso o una rima
per essere felice).
Era impossibile da immaginare, impossibile
da non immaginare; la sua azzurrezza, l'ombra che lasciava,
che cadeva, riempiva l'oscurità del proprio freddo,
il suo freddo che cadeva fuori da se stesso, fuori da qualsiasi idea
di sé descrivesse nel cadere; un qualcosa, una minuzia,
una macchia, un punto, un punto in un punto, un abisso infinito
di minuzia; una canzone, ma meno di una canzone, qualcosa che
affoga in sé, qualcosa che va, un'alluvione di suono, ma meno
di un suono; la sua fine, il suo vuoto,
il suo tenero, piccolo vuoto che colma la sua eco, e cade,
e si alza, inavvertito, e cade ancora, e così sempre,
e sempre perché, e solo perché, essendo stato, era...
Era l'inizio di una sedia;
era il divano grigio; era i muri,
il giardino, la strada di ghiaia; era il modo in cui
i ruderi di luna le crollavano sulla chioma.
Era quello, ed era altro ancora; era il vento che azzannava
gli alberi; era la congerie confusa di nubi, la bava
di stelle sulla riva. Era l'ora che pareva dire
che se sapevi in che punto esatto del tempo si era, non avresti
mai più chiesto nulla. Era quello. Senz'altro era quello.
Era anche l'evento mai avvenuto – un momento tanto pieno
che quando se ne andò, come doveva, nessun dolore riusciva
a contenerlo. Era la stanza che pareva la stessa
dopo tanti anni. Era quello. Era il cappello
dimenticato da lei, la penna che lei lasciò sul tavolo.
Era il sole sulla mia mano. Era il caldo del sole. Era come
sedevo, come attendevo per ore, per giorni. Era quello. Solo quello.
Una notte chiara, mentre gli altri dormivano, ho salito
le scale fino al tetto della casa e sotto un cielo
fitto di stelle ho scrutato il mare, la sua distesa,
il moto delle sue creste spazzate dal vento, divenire
come pezzi di trina gettati in aria. Sono rimasto nella lunga
notte piena di sussurri, aspettando qualcosa, un segno, l'avvicinarsi
di una luce lontana, e ho immaginato che tu venivi vicino,
le onde scure dei tuoi capelli mescolarsi col mare,
e l'oscurità è divenuta desiderio, e desiderio la luce che approssimava.
La vicinanza, il calore momentaneo di te mentre rimanevo
su quell'altezza solitaria guardando il lento gonfiarsi del mare
rompersi sulla riva e in breve mutare in vetro e scomparire...
Perché ho creduto che saresti venuta uscita dal nulla? Perché con tutto
quello che il mondo offre saresti venuta solo perché io ero qui?
Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li unì.
È bella una tale certezza
ma l'incertezza è più bella.
Non conoscendosi prima, credono
che non sia mai successo nulla fra loro.
Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
dove da tempo potevano incrociarsi?
Vorrei chiedere loro
se non ricordano -
una volta un faccia a faccia
forse in una porta girevole?
Uno "scusi" nella ressa?
Un 'ha sbagliato numerò nella cornetta?
- ma conosco la risposta.
No, non ricordano.
Li stupirebbe molto sapere
che già da parecchio
il caso stava giocando con loro.
Non ancora del tutto pronto
a mutarsi per loro in destino,
li avvicinava, li allontanava,
gli tagliava la strada
e soffocando un risolino
si scansava con un salto.
Vi furono segni, segnali,
che importa se indecifrabili.
Forse tre anni fa
o il martedì scorso
una fogliolina volò via
da una spalla all'altra?
Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.
Chissà, era forse la palla
tra i cespugli dell'infanzia?
Vi furono maniglie e campanelli
in cui anzitempo
un tocco si posava sopra un tocco.
Valigie accostate nel deposito bagagli.
Una notte, forse, lo stesso sogno,
subito confuso al risveglio.
Ogni inizio infatti
è solo un seguito
e il libro degli eventi
è sempre aperto a metà.