Poesie d'Autore


Scritta da: Andrea De Candia
in Poesie (Poesie d'Autore)
Come Cristo agli inizi
d'una Resurrezione inconsapevole
quel finalmente tendere
all'abbandono dello star supino
sul letto oscuro della propria bara
ch'al giorno ingiovanito si fa bianco
grazie alla luce che si compromette
- Lei, scesa da un possente trono, bionda! -
è la lacrima uscita a sollevarsi
sul viso del mio mondo sconosciuto.
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    Scritta da: Andrea De Candia
    in Poesie (Poesie d'Autore)
    I
    Io falegname d’acqua, le mie lacrime
    sono le croci che vorrei piantare
    al Golgota dei sogni, ché finisca
    questo Calvario, inutile vagare
    col passo dello sguardo che non poggia
    a nessun suolo terreo - e vi permanga! -,
    ma tocca appena solo l’altra palpebra,
    come la terra quando cadde Cristo
    sentì la trafittura delle spine
    di ciglia penetranti farsi estranee…
    Io vinco ché rimane un’utopia!

    II
    No, non avere ciglia, avere spine,
    sentirle solo quando nel contatto
    s’incontrano le palpebre, i Romani
    che poggiano sull’altro capo (Cristo!)
    la corona, e vi sgocciola del sangue,
    ma rimane martirio, anche se l’anima
    vuole apparire pura con le lacrime
    che porta nel suo tempo a suoli d’aria!
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      Scritta da: Andrea De Candia
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Luna

      Questo sorriso atroce senza labbra,
      queste affilate fauci, denti a sciabola
      dei quali non s'avverte distinzione,
      questo sorriso con un solo dente
      ch'ha poco del sorriso, anzi nulla.
      È un invito a colpire casualmente,
      la palpebra abbassata della notte
      e tutte le sue ciglia a ogni passo,
      perché si svegli e gridi nel silenzio
      l'occhio solare resosi ormai nudo.
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        Scritta da: Andrea De Candia
        in Poesie (Poesie d'Autore)
        L'ultimo fianco d'osso sopravvisse
        al buio della carne che era cenere,
        a questa sparizione che volgeva
        inesorabilmente alla sua fine.
        E aveva l'aspetto d'una lama
        e mi invitava a prenderla con mano
        tremante nello sguardo, perché fosse
        fatta vendetta. Ma il respiro buio,
        il bianco della notte era tutt'anima,
        e questo nero che era dominante
        era solo ingannevole parvenza:
        dovunque avessi scelto di colpire,
        o perlomeno di iniziare a farlo,
        sapevo già che il sangue non sarebbe
        mai fuoriuscito in tutti quegli istanti.
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          Scritta da: Andrea De Candia
          in Poesie (Poesie d'Autore)
          Il raggio fu una spina
          inviata da Dio
          sul corpo d'un celeste
          santo ch'al centro altissimo del capo
          aveva già un'aureola da vivo.
          E le ferite fatte sanguinare,
          le garze delle nubi allontanate,
          un riversar l'amore al proprio esterno
          nel modo più concreto. Il declinante
          sole notturno fu il suo risalire
          alla causa del suo dolore fisico
          e strapparlo dal suo corpo di luce.
          E la notte fu viverlo in segreto
          con l'urlo della nuca reclinato
          fin quasi a esser prono sul suo mare,
          un baciare la crosta della notte
          in ogni punto dove era ferita.
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            Scritta da: Andrea De Candia
            in Poesie (Poesie d'Autore)
            Non v'era luce ch'io più tollerassi
            nella carne del buio che era cenere,
            un cuore d'osso al centro era già spento,
            e un'ostia offerta ai cani della chiesa
            che costruivo passo dopo passo
            in camminate insonni per la strada.
            Era una nuca, un volto, forse un cranio
            che era ormai reso calvo, i suoi capelli,
            il ricordo del sogno da afferrare
            quando nel mare oscuro d'ogni sonno
            il corpo era la superficie mossa,
            era il tuorlo bevuto dalle labbra
            d'un bicchiere marino fino in fondo,
            quell'illusione di recuperarlo,
            vedere un guscio che non ha più luce,
            un albume indurito nel suo bianco
            come una pietra che non sa più sciogliersi
            in un pianto commosso nell'andare...
            Erano i turbamenti al mio vedere
            la Luna come orfana del Sole,
            come vedova e priva del fratello,
            ma anche al veder che voleva afferrarlo
            senza l'approvazione del mio (d)io
            dall'Inferno ove era precipitato,
            come a dire che un altro Orfeo non può
            esistere prima del suo secondo
            ed esistere dopo quel suo primo.
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              Scritta da: Andrea De Candia
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Tremo, ripeto, insicuro, balbetto

              E s'avvicina il buio, il buio azzurro.
              L'alba è un tramonto, l'alba è un tramonto.
              Tremo, ripeto, insicuro, balbetto.
              Devo fuggire presto e andare al sonno,
              al mio riparo, prossimo il momento,
              estremamente prossimo, il momento.
              Un primo raggio di tenebra bionda
              è notte, è notte, è notte, e no, non sono
              insonne, insonne, io, non sono insonne,
              ho il corpo d'un umano, ma mi sento
              avere come l'anima d'un gufo.
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                Scritta da: Andrea De Candia
                in Poesie (Poesie d'Autore)
                La terra non parlò, non disse nulla,
                né sussultò, neppure trasalì
                all'osservare un'altra morte ingiusta.
                Calpestò dagli albori la sua aureola,
                il suo tendere in alto, seppellito
                nelle più buie sue profondità.
                Vestì il suo volto con i suoi zampilli,
                il suo morire, il suo esser portato
                via e sotto di sé, come tornasse
                al grembo della madre il nascituro,
                il già nato probabilmente altrove,
                con l'anima tenuta tra le braccia
                d'un'altra madre nel suo corpo azzurro,
                perché succhiasse dai molti capezzoli
                il latte che gli offrivano le nubi.
                E la bocca del sole che calava
                in un silenzio che s'avvicinava
                al sonno oscuro, sotto le lenzuola,
                dove dormiva insonne, la sua spuma
                ai piedi di quel letto si muoveva,
                scelto l'unico fianco, per l'insonnia
                a cui era costretto, oltre le labbra
                i suoi raggi-parola, ormai lontani
                dal cerchio dell'aureola più pura,
                sembravano il riflesso d'una voce:
                "sei santa solamente con il sangue."
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                  Scritta da: Andrea De Candia
                  in Poesie (Poesie d'Autore)
                  Sognavi, e nel tuo sogno, tracotanza
                  c'era, un volere esser solo tu,
                  tu tutto l'alto, l'alto disponibile:
                  tu non moristi quando la sua luce
                  decompose la pelle e si nascose
                  persa tra tutte l'ossa delle nubi,
                  non chiudesti la porta della casa,
                  né abbassasti tutte le sue palpebre,
                  le sue finestre aperte ad ogni sguardo,
                  trascelsi un occhio e ti mettesti al centro
                  e d'una di esse tu fosti pupilla:
                  cadde improvvisa pioggia, la sua cenere,
                  pianse una pietra d'acqua le sue lacrime,
                  tutto raggiunse il suolo e vi rimase.
                  Ma, pure non essendovi salita
                  per quel cadere in cui riconoscesti
                  il tuo destino quasi ineluttabile,
                  vedesti fino al punto in cui la fine
                  portò al suo completarsi, un altro inizio:
                  l'ossa recuperarono biancore,
                  s'andarono spostando mano mano
                  verso l'estremità, verso i suoi fianchi
                  fino a finire libere, ma vive,
                  fuori dal corpo che mostrò la luce,
                  la sua pelle celeste. L'invidiasti,
                  il paesaggio di serenità
                  che fu riapparso, e semplice e arcano,
                  non capisti i sorrisi degli umani
                  a quel vedere ritrovato il cielo:
                  tu l'invidiasti: tu fosti colpevole!
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