Sono un bambino
e me ne vanto
Perché io ancora amo
e voi non sapete quanto.
dal libro "minimi termini" di James Cole
Sono un bambino
e me ne vanto
Perché io ancora amo
e voi non sapete quanto.
Di fregi antichi ho la raffinatezza,
d'arcobaleni l'intima bellezza.
Se geroglifico son da decifrare,
il mistero m'aggiunge alle perle più rare.
Spezia indiana, seta orientale,
ambra, gemma, pietra d'opale;
persino l'eburneo alabastro
m'adorna la pelle come lezioso nastro.
Sciogliendo le mie lunghe chiome al vento,
di gelosia divengon ree le stelle del firmamento;
vedonsi sottrarre vezzo e turbamento arcano,
suggendo invidia da ogni gesto ormai vano.
Eppur resto femminile creatura,
dotata d'assai fragile natura;
se di porcellana son stata plasmata,
m'accade sovente d'esser frantumata.
Sembrerà triste ma, solo allora,
si vedrà l'interno che mi colora:
un volo limpido sottratto al cielo,
di casta nube dal bianco velo.
Veloce fu la decomposizione:
la sua pelle di luce si disfece,
apparvero le ossa delle nubi,
cadde e battè la pioggia della cenere.
Come fuori dal convento del buio
che le impediva di guardar l'immagine
e contemplarla nella sua bellezza,
la luna, il volto di una suora, steso
sullo specchio supino del suo mare.
E il riflesso di luce fu un più spoglio
restare casta, generando equivoci.
Se mi chiedessi il tema
che non sia teoria,
se mi chiedessi il tema e fosse pratica,
e una sola parola
utilizzassi per sintetizzarlo
ossia "silenzio", io scolaro attento
alla consegna, lascerei il mio foglio
completamente in bianco.
Non vi fosse la penna
a mostrare l'inganno,
fare da intermediario,
penserei che l'inchiostro fosse un sangue
attirato da bianche calamite,
quest'ossa, questi fogli che le chiedono
di ricoprirli perché sia la vita
risuscitata in loro, e la mia persa,
come un foglio, lo scheletro, ormai bianco
uno scolaro analfabeta ignaro
della lingua del sangue dell'inchiostro.
Non sono io, la bocca
ma tutto il resto dove non si parla,
né si vede, s'ascolta, né s'odora,
si tocca, né si gusta
l'organo è il mio silenzio
e lo dice la morte sul mio corpo.
Tutto quello ch'è mio
io lo porto con me
per l'ultimo viaggio
fosse anch'un buio come
quello da cui venivo
prima di stare qui,
stare? Passare qui!
E chiedo intorno chi mi vuol seguire
Chi? Chi, non solo chi, ma anche cosa,
ma soprattutto cosa!?
E vedo i miei oggetti fare spazio
ad altri oggetti di cui fui in possesso
come se tra di loro non sapessero
quali fossero veramente miei,
ma solo che alcuni tra di loro
lo fossero, lo fossero ormai stati.
Perché restava un vuoto nel davanti,
sulla mia soglia, prima di partire
vidi che le mie mani non avevano
nessun oggetto, mi sentii più povero;
e soprattutto vile perché feci
subito dopo il corpo il mio possesso
e quindi mi sentii ricco di me.
Ma il corpo cadde via dalle mie mani
volle cadere, lui, lasciarsi andare
nel rimanere a terra, decomporsi;
e mi trovai lontano da chiunque,
privo d'ogni risposta in ogni altro,
la domanda fu quasi una risposta
che ripetei per rendermene certo:
"Chi viene via con me, chi porto via?"
Forse soltanto l'anima,
invece solo il nulla!
La mia morte più breve
fu la sua gravidanza.
Sepolto sotto il grembo
d'una terra materna,
soltanto nove mesi.
"Solo le luci nere sono anima,
un'interiorità che è dentro un corpo!"
Disse una voce che era il mio silenzio.
E sempre col silenzio le risposi
che c'è la Notte: "è anch'essa luce nera,
però, ecco, è esterna." E con lo sguardo
poco rassicurante come a dirmi
che dovevo tacere, così feci,
ché non avevo capito un bel nulla:
"anche la Notte è stare dentro un corpo,
che è sconosciuto, ma è come un amante
che dorme e sa che l'altro veglia altrove,
dove?" Laddove c'è la luce bionda.