Poesie d'Autore


Scritta da: Andrea De Candia
in Poesie (Poesie d'Autore)

Il campo di grano

Steso aldilà del sogno della luce,
nel suo volto e nel suo cuore di sole:
annegare alle origini, ritorno,
e indorare la terra dell'essenza,
far obliare a sguardi peregrini
il mare, il suo celeste, il suo obbediente
riflesso di una volontà suprema:
spighe, tendenti a inferni di purezza,
chinatevi alla simile più prossima,
adorate la luce, il suo discendere
al paradiso bruno della terra:
e l'insieme sia letto perché poggi
la stanchissima schiena, quel suo raggio.
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    Scritta da: Andrea De Candia
    in Poesie (Poesie d'Autore)
    Dall'aldilà del prima del suo giorno
    e nel ventre celeste - si gonfiò! -
    il feto della luce coi suoi raggi
    indicò già la sua destinazione,
    il letto della nascita, le dita
    dei suoi riflessi puntarono il mare! -
    seguì in docilità quel che era sorte -
    tutto è risorgere, ed anche il venire
    nel mondo, sembra, per la prima volta,
    è essere fenice partorita
    da ceneri d'un utero di notte.
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      Scritta da: Andrea De Candia
      in Poesie (Poesie d'Autore)
      Mi rialzerò dal sonno, dall'inganno
      che mi creai con l'ombra del mio letto
      per proteggere il corpo della schiena
      – la crosta oscura della cecità –
      sarà come fenice la mia palpebra
      si librerà leggiadra come pianta
      di ballerina ch'è sulle sue punte,
      ancora in terra, ma col resto in volo,
      e poi sarà ferita già sfumata
      in tenero declino di fontana
      che spoglia nuda, il centro, dei suoi petali,
      ritornerà, alle origini, a tacersi –
      la luce è il suo cerotto, l'ha sepolta
      ancora viva, non trama vendetta! –
      luce che cola, gocce del suo sangue
      di cuore, del suo volto che ora sono
      tutto l'azzurro è il mio tappeto e il trono
      e sono anche corona che rimanda
      in basso, i suoi riflessi, per la pietas
      nei confronti del povero mortale,
      ché il palmo del suo sguardo abbia al suo centro
      l'oro fugace eterno del riflesso,
      e sia giustizia ché il possesso è un prestito!
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        Scritta da: Andrea De Candia
        in Poesie (Poesie d'Autore)
        Quando eri chino con la tua pupilla,
        con la nuca poggiavi su ginocchia
        di vuoto oscuro, in cerca della sua ombra
        e del suo corpo ché si rivelasse
        tutt'una luce sola, notte fonda,
        il fondo era restare in superficie
        dell'abisso, dal quale risalivi
        – vedere ciechi vivere la morte! –
        poi fu la resa una resurrezione:
        l'alba nel suo colore fu fenice,
        rialzatasi da ceneri interiori,
        sangue sfumato che non fu ferita,
        danzò sul filo d'azzurre purezze,
        e ritoccai le nuvole col dito
        di uno sguardo che piano la raggiunse
        premendo sulla sua scarna magrezza,
        lo stacco di un cordone ombelicale
        rimise al mondo la sua creatura,
        il tempo fu di nuovo fatto madre,
        il sonno della nascita provò
        su ossa di cuscini rivoltati
        invano per profili incontentabili
        – ché era il centro, il davanti, la sua posa,
        il sole, il volto neonato di luce,
        decapitato che ricreò il corpo,
        il collo, il tronco, gli arti, coi suoi raggi,
        e, pudico, svelò la sua, di anima,
        nell'immersione fioca dei riflessi.
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          Scritta da: Andrea De Candia
          in Poesie (Poesie d'Autore)
          Chinavano le nuche tutte quante
          alla carezza azzurra dell'altissimo
          fingeva di inarcarsi all'orizzonte
          per contemplare e poi bere gli abissi
          tolta allo specchio, dopo, la sua maschera,
          calato giù il sipario del suo sonno,
          quella palpebra bionda che era luce,
          e svelata l'essenza ch'era nera,
          non più ombra, infinito di pupilla
          a vedere in sé stesso il sonno veglia
          ché non s'accenda più luce di un sogno,
          ché non risorga da notturne ceneri
          la fenice lunare del suo cranio
          che non s'acquisti vista nei riflessi
          di lacrime di luce delle stelle.
          Voi non sapete, spighe, quanto male
          provocate al suo palmo che s'abbassa
          fin su alle punte che pungono, spine,
          emorragia che nasce nel tramonto,
          ognuna che risponde alla vicina,
          ognuna è persa come in una folla,
          ed è in un mare d'oro ch'è scaduto
          dal valore della vita alla morte,
          ognuna è scheletro, lisca di pesce,
          inseppellita fra le onde di sé,
          aspetta il vento che gli sia da nuoto,
          aspetta infine la bocca del sole
          che in opaco respiro nel discreto
          svegliarsi del colore dica piano
          l'infinita parola del silenzio
          che le arrivi con l'eco del suo raggio
          mentre in preghiera ha la resurrezione
          l'inferno è il bruno ed è tutta la terra
          e la luce che arriva una catabasi.
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            Scritta da: Andrea De Candia
            in Poesie (Poesie d'Autore)
            Notte, pupilla vasta
            che contieni e raccogli
            i riflessi di lacrime stellari
            che non cadono in volto, in guancia, in mento -
            lontananza nel mare che li attende -
            con le fauci dell'onde inferocite
            - si sbriciolaron presto in spuma d'ossa,
            in docile mollezza, chi di spada
            ferisce, poi di spada perirà! -
            sbranò la preda del figlio del sole -
            fu lutto ovunque, come sulla terra
            quando Cristo morì. Così la notte.
            Pietà di Michelangelo che dona
            il colore dell'animo alle cose
            che obbediscono senza che subiscano -
            e il mare è le ginocchia dove culla
            l'immensa tomba - tutt'un cimitero -
            dove riposa, dove? Non si sa!
            Il giorno dopo è l'aldilà per lui
            è noi morti di qui, illusi vivi,
            non percepiamo che è resurrezione.
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              Scritta da: Andrea De Candia
              in Poesie (Poesie d'Autore)
              Cielo, madre che ha perso
              il suo unico figlio che era il cuore
              estremo della luce.
              Occhio calato a scrutare gli abissi,
              non racconta nient'altro che sé stesso
              quando risorge puntuale all'alba.
              Ed il nero mistero della morte
              vince di nuovo, per l'uomo soltanto
              nel pugno briciole di conoscenza
              ed una vasta immensità di ignoto.
              Come fiori di lacrime posati
              su un cimitero dall'unica tomba,
              i riflessi di luce delle stelle,
              lutto vissuto, incarnando l'essenza
              gioiosa, eco di un ricordo in cocci.
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                Scritta da: Andrea De Candia
                in Poesie (Poesie d'Autore)
                Morte era buio, la sua cecità –
                inguaribile notte, insonne l'offro
                la medicina della pelle mia –
                il vento è labbro che respinge e va
                indietro, si fa trapassare. Invano.
                Cura da sé l'essenza. Non c'è occhio
                all'infuori di luna a illuminare,
                solo donano visione di luce
                come fossero piante da nessuno
                le stelle, il suo dolore manifesto
                nello spezzettamento e nel riflesso.
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                  Scritta da: Andrea De Candia
                  in Poesie (Poesie d'Autore)
                  Luna non è sorriso,
                  anzi lo è, ma morto.
                  Scheletro di dentiera sulle labbra
                  delle sue buie ceneri. Il miracolo
                  è non avere un occhio, essere cieco,
                  eppure dall'abisso della sua anima
                  riuscire a far emergere i riflessi
                  di lacrime di luce. Stelle sono
                  pianto e sorriso nello stesso tempo.
                  L'occhio aperto che guarda dell'insonne
                  le lascia scivolare su di sé
                  come guancia, sull'acme di pupilla,
                  le custodisce facendo che cadano
                  nello scrigno ch'è il suolo del suo sonno.
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                    Scritta da: Andrea De Candia
                    in Poesie (Poesie d'Autore)
                    Voglio essere sole,
                    centro per qualcun altro,
                    sangue di luce senza avere un corpo,
                    Dio che si fa a immagine e somiglianza
                    dell'uomo, i raggi diventano ciglia,
                    bacio dell'occhio a un altro –
                    scrutamento invisibile di pene –
                    voglio che quando muoio la pupilla
                    dell'amato diventi come notte,
                    madre chinata a contemplare il lutto,
                    il ricordo dell'ombra che si posa
                    sul mare, superficie dell'abisso –
                    voglio che pianga tutte le sue stelle –
                    voglio resurrezione della luce
                    e non altra caduta nella fine,
                    migliaia di milioni di miliardi
                    di lacrime che brillino per me.
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