Cara signora Schubert, eppure re Edipo questo non l'aveva voluto... Ma c'era già stato l'oracolo. Perciò dovette uccidere suo padre e sua madre. Avrebbe potuto non lasciare Corinto, o non tornare a Tebe. Il fato arrogante sfoglia il giornale nel vicino caffè. Nelle notizie di cronaca tutto come al solito: i corpi sono stati rimossi dalla strada, il sangue è stato lavato. Sempre gli stessi maturandi del crimine, lo stesso sorgere del sole con un accento sul tramonto.
Cara signora Schubert, non posso rispondere alla sua domanda su chi "erediterà questo mondo". La Storia tace su questo argomento. Per motivi oscuri da un uccello messaggero in volo è stata strappata l'ultima pagina.
Cara signora Schubert, ricorda ancora l'Unione Europea? Il XXI secolo. Quanti anni sono trascorsi... Ricorda il grano ecologico? La depressione del lusso? E il nostro letto che sfrecciava sull'Autostrada del Sole? Era la nostra giovinezza, cara signora Schubert, e per quanto gli orologi persistano nella propria opinione, tengo questo tempo ben stretto nel pugno.
Cara signora Schubert, mi capita di vedere nello specchio Greta Garbo. È sempre più simile a Socrate. Forse la causa è una cicatrice sul vetro. L'occhio incrinato del tempo. O forse è solo una stella che sbraita nel vaudeville locale.
Cara signora Schubert, un vicino mi ha detto: "Sono tornato all'infanzia per non leggere più Dostojevskij, Nietzsche, Marx. Ora leggo le favole. Mentre andavo al porto a prendere le ceneri di mia madre che arrivavano dall'Australia, fissavo inutilmente il sole al tramonto. La palla rossa rotolava sul posto. Da domani potrà incontrarmi esclusivamente in mia assenza. Sarò dai fratelli Grimm."
Fuori c'è il sole. Non è altro che un sole però gli uomini lo guardano e poi cantano. Io non so del sole. Io so della melodia dell'angelo e il sermone caldo dell'ultimo vento. So gridare fino all'alba quando la morte si posa nuda nella mia ombra. Io piango sotto il mio nome. Io agito fazzoletti nella notte e navi assetate di realtà ballano con me. Io nascondo chiodi per schernire i miei sogni malati. Fuori c'è il sole. Io mi vesto di cenere.
Gli assenti soffiano e la notte è densa. La notte ha il colore delle palpebre del morto. Tutta la notte faccio notte. Tutta la notte scrivo. Parola per parola io scrivo la notte.
Ho spiegato la mia orfanezza sopra il tavolo, come una mappa. Disegnai l'itinerario verso il mio luogo al vento. Quelli che arrivano non mi trovano. Quelli che aspetto non esistono. E ho bevuto liquori furiosi per trasmutare i volti in un angelo, in bicchieri vuoti.
Viaggiavo in piedi eppure nessuno mi offrì il posto anche se ero di almeno mille anni più anziana, anche se portavo, ben visibili, i segni di almeno tre gravi malanni: Orgoglio, Solitudine e Arte.