Un egoismo d'incondivisione, ché non vuoi che nessuno goda con te al tuo fianco del tuo essere vittoria anche soltanto all'apparenza. Il mio sguardo, il suo inchiostro non arriva a toccare il tuo foglio, ed al suo scriversi cade in sé stesso nel suo più profondo, ricade ancora quando si rialza. E non porti una goccia del tuo corpo evanescente a illuminare l'antro d'un timido riflesso che sia un sogno, né bevo un sorso del tuo vino sobrio. Luce, che hai solo il buio per nemico, che sei pronta a combattere a distanza, vergine sposa ch'hai scelto te stessa: vedi avversario l'uomo che ti implora? Sono la pelle che ti rassomiglia nel colore ed è un caso se dispersa fu in me dal primo giorno ch'io ricordi l'anima buia che mi porto dietro.
Ti nutri presso ciò che ha scritto l'uomo, a un bianco paradiso che nei suoi migliori esempi reca con l'inchiostro impronta nera, emblema di quell'ombra oscura e più profonda del suo male. E Dio fin lì è arrivato, lì è disceso! Quanta fatica a conquistare tutto quello che m'è possibile sapere, quanta disparità tra uomo e uomo! E quale cambio potrà avere un giorno luogo nel cielo quando tutto ciò che c'era qui lì avrà la sua scomparsa: la Tua mano benigna terrà aperta sul tavolo celeste che non spegne il suo colore nell'eternità: per me e chiunque se saremo salvi avrai aperto una pagina che a caso ci può sembrare adesso, ma che allora sarà soltanto quella la mia, nostra o vostra solo. E la si leggerà: si farà una cultura della luce!
Quando l'ombra distende le sue ciglia due palpebre invisibili s'incontrano, il sole è chiuso in sonni senza sogni, l'aria ha lo sguardo cieco dell'assenza.
E la notte soffriva nel mio corpo ché chiusa era la bocca del suo petto: era l'avere un sonno senza sogni non era la bugia smascherata da lampioni, fanali, uccelli, grida, era la notte inilluminabile, quella in cui il sangue correva a pestare come se fosse un labbro la parola del sorriso lunare dello scheletro. Era la notte estrema radicale il compimento della metanotte.
Prendi il tuo cuore e posalo al tuo palmo, strazio del non avergli dato un corpo permanente nell'immortale vita, rendilo dolce dono sacrificio, il sangue necessario della luce d'un biondo che va ormai oltre il candore raggiunga, nutra, abbeveri ogni essere che nello sguardo in cui la vita è anima rimanga e si rafforzi alle sue labbra.
Sono stanco di stare in questo buio. Ma fa che con le dita delle palpebre, e col tocco gentile dello sguardo (al suo risveglio, riprovando il tatto), io spezzi ancora il pane della luce e lo divida con i miei fratelli.
Il cielo spalancava la ferita, il suo cuore restava definito, ma i rivoli dei raggi zampillavano soffusamente ovunque. Mi macchiava l'anima dello sguardo liberatasi dal corpo delle palpebre, al momento di quella morte ch'era il mio risveglio, dopo la lunga vita del suo sonno. Mi sembrava chiamare con il grido della materia ch'era senza voce a che li richiudessi e la zittissi e ritrovasse in me la buia crosta che invocava – credette di morire.
Un vino come un sangue della luce ed essa come un corpo e come un pane. L'Ultima Cena avvenne al suo tramonto quando in ginocchio all'orto del suo mare pregò, l'oscura crosta della sera taceva gli urli delle sue ferite e il suo martirio, cominciato all'alba. Ed elevati i piedi dalla terra, il volto puro ormai si confondeva col suo sudario, senza essere dentro alcun sepolcro, ancora sulla croce d'un quartetto di raggi ch'alla vista sembravano spiccare sui restanti. Issatosi alla massima collina del Golgota celeste d'ogni ora, fece soffrire agli occhi peccatori il centro della sua crocefissione.
Un raggio sembra vedere la carne come un mare d'Inferno e tende verso il basso il suo sé stesso. Io chiudo l'occhio, ma non voglio accoglierlo in questo spegnimento dell'azzurro che volge il sotterraneo cielo al nero. Sono un padre terreno e so provare misericordia d'ogni figlio alto, so stare espanso in una solitudine che si spalanca come un cielo vuoto, senza l'ultima stella del suo sogno. Il mio silenzio è l'unica parola e non è inframezzato da nient'altro. Ne cominciai il suo pronunciamento dai miei albori e man mano ch'avanzo nel tempo stabilito della vita di giorno in giorno come da un secondo a un altro nei minuti dei miei anni aumento questa consapevolezza.
Il riflesso era un'eco che gocciava, sangue di luce dalla sua ferita. Nel Sole, il cuore ch'era sempre al centro - dovunque si trovasse, s'espandeva - esso aveva raggiunto l'obiettivo d'ogni suo desiderio: aveva reso più bianca la sua fiamma, alto l'Inferno, e riscaldava con la sua purezza il mare decaduto, decadente sempre più negli abissi di sé stesso.