Se le mie labbra premono le tue io vivo nel tuo intimo respiro e poi dal corpo tuo che mi circonda, a cui pure m'accendo, sciolgo il nodo e da te mi ritiro a capo chino: è che indovino in te mia propria carne - in paurose lontananze oscure con te fiorii d'un cespite regale.
Che potrei più se tanto ti concedo? Ch'io mi modelli creta alle tue mani, guidi il pensiero al polso del tuo cuore? Che il tuo midollo in me su te mi stampi e il tuo sguardo m'ispiri col tuo passo? Tu sazi i sogni miei del tuo colore, tu moduli la mia voce, s'io prego, tu respiri nel mio canto di stelle.
Qui tutto è silenzio, qui mi sento bene, i pascoli sono freschi e puri e le chiazze d'ombra e di sole vanno d'accordo come bambini giudiziosi. Qui si libera la mia vita fatta d'intensa nostalgia, qui si libera il mio volere. Una commozione silenziosa mi prende, linee attraversano i sensi, non so, tutto è intrico e tutto è contraddetto. Non odo più lamenti e tuttavia ci sono nell'aria lamenti lievi, candidi, come in sogno e di nuovo non capisco più nulla. So solo che qui tutto è silenzio, niente più assilli e costrizioni, qui mi sento bene e posso stare in pace poiché nessun tempo mi misura il tempo.
Portami via come sono; guarda, la mia mente smarrita allontana da sé questo mondo che non la illumina più. Vieni, sarò buono e beatamente silenzioso nella tua densa luce o sacro, o dolce sonno.
Guarda oltre, oltre la staccionata vedi qualcosa? Guarda oltre, oltre il fiume dei pensieri non noti niente? Guarda oltre, oltre i monti dei tuoi ostacoli non osservi nulla? Guarda oltre e vedrai, un mondo sorridente, un mare cristallino, oltre e ti stupirai, sentirai risi di gioia, visi felici, alberi in fiore, oltre e oltre ancora, che pace! Che serenità! Che allegria! Vai oltre la staccionata, il fiume, i monti e vedrai cose meravigliose, oltre ciò che dire, oltre qualsiasi immaginazione, oltre e niente altro.
E lucevan le stelle, e olezzava la terra, stridea l'uscio dell'orto e |un| passo s|fio|rava la |re|na. Entrava ella, |fra|grante, mi cadea fra le braccia. Oh! Dolci |baci|, o languid|e| |carezze|, mentr'io |freme|nte le belle form|e| di|scioglie|a da|i| |veli|! Svanì |per| sempre |il| |sogno| mio |d'amore|... l'ora è |fugg|ita, e muoi|o| disperato, |e| muoio |disperato|! E non ho |am|at|o| mai |tanto| la vita!
Ma io, passando d'estate nel materno respiro d'un tramonto fuori città – l'anima spalancata nella sacralità di quel raggiante disfacimento... Potevo immaginare che un prato più splendente della bracia mi alzasse contro un nuvolo di fiele. Cadendo, non mi dolse tanto il morire, quanto la ferocia dei distillatori di miele.