Poesie d'Autore


Scritta da: Andrea De Candia
in Poesie (Poesie d'Autore)

La stanzioncina di Torre Annunziata

C'era un disordinato andirivieni
di valige sfrangiate, penzoloni
su ghette e scarpe gialle da provincia,
che schizzavano dentro l'atrio grigio
dagli sbadigli bianchi delle porte
aperte sulla piazza e sui binari.
Gli sportelli sbarravano sul muro
uno stupore lucido, verdone;
un ombrello, testardo, s'impuntava
contro terra in un suo capriccio nero.
Né tu né io ci guardavamo in viso:
ma i miei occhi sentivan d'incontrarti.
Dove, non so. Forse in quel po' di cielo
che si vedeva sopra la tettoia
o in mezzo alle fumate carnicine
che il Vesuvio sbuffava senza posa
e il vento senza posa smozzicava.
Io mi sentivo libera e leggera
come quei fiocchi bianchi di pelurie
che si sprigionano dai pioppi, in maggio
e cercan l'alto come delle preci.
La tua voce era un mare di purezza:
ogni ombra di materia vi affogava.
A tratti le parole si frangevano
in sfumature lunghe di silenzio
e all'anima sembrava di vibrare
nuda nel vento e di sfiorare Dio.
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    Scritta da: Andrea De Candia
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Vaneggiamenti

    Io l'ho veduto, allora. Tu sonavi
    il tuo violino, con la testa bassa:
    le ciglia ti segnavano sul viso
    due strisce d'ombra. Io vibravo, forse,
    insieme con le corde, nei singhiozzi
    che l'anima imprimeva alla tua mano
    e t'incontravo al sommo delle dita.
    O forse ti giocavo sui capelli
    insieme con la brezza acre del mare.
    Forse m'illanguidivo nei racemi
    molli e compatti delle viole ciocche.
    E un giorno riponesti le tue musiche;
    riponesti, piangendo, il tuo strumento:
    la Morte te lo avea fasciato stretto
    coi suoi velluti neri. Io t'ho veduto,
    fratello, allora. Ma non so dov'ero.
    Forse ero solo un ramo crasso ed irto
    di fico d'India, dietro un vecchio muro.
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      Scritta da: Andrea De Candia
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Lago in calma

      No. Non si può salire: il vuoto enorme
      grava su noi, quella gran luce bianca
      arde e consuma l'anima.
      Non vedi come prone
      stanno le cime e come densi i pini
      nella valle precipitano?
      Non impeto d'ascesa
      sferza le vette ad assalir l'azzurro,
      ma paurosa immensità di cielo
      le respinge, le opprime.
      S'annidano, rattratti, nelle conche
      i nevai, disciogliendo
      sui nudi prati, fra gli abeti neri
      trecce argentee di rivi,
      come un canoro sospirar di pace
      verso il lago lontano.
      Restiamo presso il lago, anima cara;
      restiamo in questa pace.
      Guarda: il cielo, nell'acqua, è meno vasto,
      ma più mite, più vivo.
      Noi entreremo in questa vecchia barca
      tratta in secco sul lido:
      i remi sono infranti, ma giacendo
      sul fondo basso, non vedrem la terra
      e l'onda, percuotendolo da prora,
      darà al legno un alterno dondolio
      che fingerà l'andare.
      Salperemo così, da questi blandi
      pendii che odoran di ginepro: andremo
      con tutto il sole sovra il petto, il sole
      che riscalda e che nutre;
      andremo, lenti, in un bianco pio sogno
      di sconfinata pace,
      verso ignorate spiagge,
      col nostro amore solo.
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        Scritta da: Andrea De Candia
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        Dolomiti

        Non monti, anime di monti sono
        queste pallide guglie, irrigidite
        in volontà d'ascesa. E noi strisciamo
        sull'ignota fermezza: a palmo a palmo,
        con l'arcuata tensione delle dita,
        con la piatta aderenza delle membra,
        guadagnammo la roccia; con la fame
        dei predatori, issiamo sulla pietra
        il nostro corpo molle; ebbri d'immenso,
        inalberiamo sopra l'irta vetta
        la nostra fragilità ardente. In basso,
        la roccia dura piange. Dalle nere,
        profonde crepe, cola un freddo pianto
        di gocce chiare: e subito sparisce
        sotto i massi franati. Ma, lì intorno,
        un azzurro fiorire di miosotidi
        tradisce l'umidore ed un remoto
        lamento s'ode, ch'è come il singhiozzo
        trattenuto, incessante, della terra.
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          Scritta da: Andrea De Candia
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Canto selvaggio

          Ho gridato di gioia, nel tramonto.
          Cercavo i ciclamini fra i rovai:
          ero salita ai piedi di una roccia
          gonfia e rugosa, rotta di cespugli.
          Sul prato crivellato di macigni,
          sul capo biondo delle margherite,
          sui miei capelli, sul mio collo nudo,
          dal cielo alto si sfaldava il vento.
          Ho gridato di gioia, nel discendere.
          Ho adorato la forza irta e selvaggia
          che fa le mie ginocchia avide al balzo;
          la forza ignota e vergine, che tende
          me come un arco nella corsa certa.
          Tutta la via sapeva di ciclami;
          i prati illanguidivano nell'ombra,
          frementi ancora di carezze d'oro.
          Lontano, in un triangolo di verde,
          il sole s'attardava. Avrei voluto
          scattare, in uno slancio, a quella luce;
          e sdraiarmi nel sole, e denudarmi,
          perché il morente dio s'abbeverasse
          del mio sangue. Poi restare, a notte,
          stesa nel prato, con le vene vuote:
          le stelle – a lapidare imbestialite
          la mia carne disseccata, morta.
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            Scritta da: Andrea De Candia
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            Lagrime

            Bambina, ho visto che stasera hai pianto,
            mentre la mamma tua sonava: pochi,
            per questo pianto, i tuoi quindici anni.
            So che forse noi siamo creature
            nate tutte da un'ansia eterna: il mare;
            e che la vita, quando fruga e strazia
            l'essere nostro, spreme dal profondo
            un po' del sale da cui fummo tratte.
            Ma non sono per te le salse lagrime.
            Lascia ch'io sola pianga, se qualcuno
            suona, in un canto, qualche nenia triste.
            La musica: una cosa fonda e trepida
            come una notte rorida di stelle,
            come l'anima sua. Lascia ch'io pianga.
            Perch'io non potrò mai avere – intendi?
            né le stelle, né lui.
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              Pace

              Ascolta:
              come sono vicine le campane!
              Vedi: i pioppi, nel viale, si protendono
              per abbracciarne il suono. Ogni rintocco
              è una carezza fonda, un vellutato
              manto di pace, sceso dalla notte
              ad avvolger la casa e la mia vita.
              Ogni cosa, d'intorno, è grande e ombrosa
              come tutti i ricordi dell'infanzia.
              Dammi la mano: so quanto ha doluto,
              sotto i miei baci, la tua mano. Dammela.
              Questa sera non m'ardono le labbra.
              Camminiamo così: la strada è lunga.
              Leggo per un gran tratto nel futuro
              come sul foglio che mi sta dinnanzi:
              poi, la visione cade bruscamente
              nel buio dell'ignoto, come questa
              pagina bianca, che si rompe, netta,
              sul panno scuro della scrivania.
              Ma vieni: camminiamo: anche l'ignoto
              non mi spaventa, se ti son vicina.
              Tu mi fai buona e bianca come un bimbo
              che dice le preghiere e s'addormenta.
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                Le mani sulle piaghe

                E quando tu te ne sarai andato,
                fratello, io seguirò la bianca strada
                ovattata di nebbia.
                L'acqua andrà remigando come un'ala
                languida e nera: giù dai vecchi muri,
                qualche grido di verde e di scarlatto,
                vite, edera, veccia.
                Tanto silenzio ci sarà, lì presso:
                un silenzio d'attesa.
                Allora farò lieve la mia voce,
                farò lievi i miei passi:
                m'inoltrerò nel luogo dei malati
                come il bimbo che entra in un suo sogno
                di paradiso, dove tutto è bianco.
                Non ci saran più volti, né capelli,
                né età, né nomi: ci sarà un candore
                infinito, vorace.
                Ma, dal candore, mille urli rossastri
                si leveranno: oh, mani
                livide, abbandonate sulle coltri;
                mani che vi portate come artigli
                sopra le piaghe aperte
                per difenderle a unghiate o per squarciarle;
                mani che avete in voi tutto il dolore
                e il mistero dell'essere;
                io farò lievi, un giorno, le mie mani
                sopra di voi. E là dove il silenzio
                è un'attesa di morte o di salvezza,
                il silenzio e la fede vestiranno
                la mia esistenza nuda.
                Fratello, io farò lieve il mio respiro,
                l'anima mia farò lieve e sicura
                sopra il gran male umano:
                dentro i labbri di tutte le ferite
                io stagnerò il tuo sangue,
                fra le ciglia di ognuno che si strazia
                asciugherò il tuo pianto.
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                  Scritta da: Andrea De Candia
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  Maria Egiziaca (Tintoretto)

                  Sulla chiara aderenza del suo viso
                  dove balena il ritmico, selvaggio,
                  sentimento dell'alba
                  mentre della notturna s'addolora
                  quiete silvestre e cinge a dominare
                  il boato del tempo la più cauta
                  trepida luce, salgono veloci
                  i profili irrequieti del destino.

                  Mirabile linguaggio che trascorre
                  dalle limpide acque alla vibrata
                  forza dell'inumana profezia!

                  Ora nell'ampia conca dell'eremo
                  un soffuso candore si raccoglie
                  dalle acque sui rami ed accompagna
                  di cenni lacrimevoli il congedo.
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                    in Poesie (Poesie d'Autore)

                    Il mondo malato

                    La ragazzina all'angolo
                    vestita da sgualdrina e faccia d'angelo
                    sorriso artificiale
                    barcolla, ride e dopo cade
                    la tossica sul marciapiede
                    la guardano e ridono mentre passa
                    per le strade vende se stessa
                    e sa di essere già persa
                    non sa (più) quel che fa
                    non ha più dignità
                    io non so più che cos'è
                    il bene e cos'è il male
                    appeso a testa in giù,
                    mi fermo un po' a guardare
                    il mondo gira storto
                    sono come imprigionato,
                    come incatenato
                    in questo mondo corrotto
                    in questo mondo malato.
                    È un mondo perverso
                    è un mondo malato
                    sogno un mondo diverso
                    un mondo guarito
                    è un mondo perverso
                    è un mondo inquinato
                    voglio un mondo diverso
                    un mondo pulito
                    (un mondo pulito)
                    dei ragazzini agli angoli
                    occhi d'assassini e volti candidi
                    già pronti per sparare
                    coltelli e lame più affilate...
                    si guardano e si uccidono
                    per il motivo più banale
                    anche se non so che fare
                    io non potrò restare
                    per sempre qui a guardare
                    finché non torna il sole
                    adesso è tempo di cambiare,
                    tempo di lottare
                    ma una vecchia canta ancora
                    le sue canzoni d'amore
                    ricordi ormai lontani
                    tra gioia e dolore
                    e una vecchia canta ancora
                    le sue canzoni d'amore
                    ed io sogno ancora...
                    un mondo guarito,
                    un mondo pulito.
                    È un mondo perverso
                    è un mondo malato
                    sogno un mondo diverso
                    un mondo guarito
                    è un mondo perverso
                    è un mondo inquinato
                    voglio un mondo diverso
                    un mondo pulito
                    e la mia chitarra, un rock
                    suona senza fare stop
                    non voglio più soltanto giudicare
                    adesso è tempo di cambiare,
                    tempo di lottare
                    finché non torna il sole
                    e sogno ancora...
                    un mondo guarito,
                    un mondo pulito.
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