Oh, poter cantare la mia figura grave e modesta, arsa dall'amore che di notte la visita, cantare la veglia incalcolabile del sogno, il calore diffuso d'ogni senso; oh, cantare colui che mi seduce con ben morbide mani, cantare l'ora che mi risolleva all'altezza finale del suo sesso, cantare indefinibili tormenti lenti, remoti, accolti nel presente.
Madre diletta, mia sognata e vera verità, mia splendente meraviglia, madre diffusa come l'ape e il miele madre sostanza, tienimi nascosta dentro il tuo manto sì che io non veda sotterfugi ed inganni, in te io pura ridivento, siccome una bambina. Madre t'ho vista un giorno mentre prona sul pavimento t'invocavo piano eri bella e possente e mi guardavi con infinita eterna tenerezza a che più dirti, io non ho parole ma tu hai l'incanto delle cose buone, tu hai le parole che non hanno voce e che pure traversano le mura d'ogni esultanza, o madre che fanciullo tenesti il Cristo, guarda alle mie braccia che sono vuote e colmale di fiori o di spine o di luce o di tormento come ti piaccia e rendimi felice.
L'alte purezze che io non delibo debbo prima lasciare intatte estremamente dentro il tempo di un presagio non puro. Io scenderò sotterra desolata di non sapere ancora equilibrare la tua giusta bellezza alla sua luce. Che in me stessa non è che tenebrore quando la morte tutta non mi accenda.
Timorosa è la notte quando gela sopra di noi l'audace desiderio di caldi baci e nitide parole; ora rifiuto in ogni gemma il fiore poiché bianca si è fatta la mia faccia di un pallore mortale. Lunghi anni cercando sopra rocce aspro ristoro o presso la tua croce, Cristo, soffrendo, ho gravitato invano. Ora che se ne va sembra mi cada questo lungo mantello e denudata è la mia carne e presa dentro i ceppi dell'abbandono. A te volgo la mente e il sospiro profondo. Lunghi giorni simile a un negro uccello andrò vociando nel fervore notturno, lunghi giorni, padre celeste, e senza una parola, lugubre diverrò come una tomba. Né io spero risorga, tanto dura è la mia morte e tanto a te lontana.
Prima che si concluda questo amore lascia che io ringrazi il mio destino per il bene assoluto che m'ha dato, per la fame dei sensi, per l'arsura che mi ha preso alla gola. Prima di andare lascia che ti riporti sul cammino dove giungesti o mio sanato amore così divino e immobile e lontano ch'io non oso toccarti. Addio, mai Nume fu più profondo e grande, mai d'altezze tali giunsi al confine. Addio mio inganno tacito e dolce come un grande lago.
Quando codesto dèmone mi assalta, e con mani gravose e con mascelle dense di schiuma tutta mi divora, io mi rivolgo a te con gli occhi pieni di muto assenso e non ti dico basta, so quel che soffri mio signore quando ho le mani contorte e gli occhi muti, so che mi vedi fremere di rabbia contro mille imposture, o canto vero, se potessi tu pure come esperto grave chirurgo giungermi nel cuore e strapparvi il tormento, allora un urlo io darei di beata meraviglia, di contentezza, o Dio adorato e pieno come la notte, se mi capovolgo vedo le stelle e oscuri firmamenti tremano in me, di notte, quando taci.
Padre, se amo e dimentico, perdono, spiga profonda dell'ardore mio, padre non disdegnarmi anche se accendo alle tue antiche e gelide ginocchia questo rogo violento che ti atterra. Vedo dentro nell'anima il tuo volto così profondo di minaccia e altero, sento su me il tuo dialogo scoperto, ho la visione assurda del tuo riso. So che mi hai rilanciata dal tuo grembo priva di tutto, nuda come un ramo che non possa per te rendere fiori so che mi appoggi ad una rupe spenta per saggiare il mio moto. Ebbene, Iddio, io son fatta così, una mendicante, una che geme se tu l'allontani, una che senza te non può volare ma strisciare per terra. Fa che amore mi riporti al tuo seno, io sono tua sino da quando mi posasti in seme dentro grembo di donna, io sono tua sino da quando in me nacque ragione. Ora perché me la riporti via?
Se in mezzo al petto mi nascesse stalagmite di fuoco e in lacrime calcaree librassi in passi di cielo, una preghiera diverrebbe tetto e nevicherei tutti gli schiaffi dell'aria dolorosa
Se la pelle mi diventasse d'amianto e il gelo scrostasse patine di paura precipiterei acqua per risalire e svaporare fumogena pellicola rarefatta rifratta per gioco di luce tra cristalli fragili
Se fossi stagione mieterei adesso per sfamarmi di pane e farmi scorta e formica piccola nera così lontana dai cicalecci
Anima granulare brina e germe freddo con la secchezza del peso verso il suolo e il terrore del gelicidio sarei gragnola e muterei il nome in Siberia.
Dalla spoglia di serpe alla pavida talpa ogni grigio si gingilla sui duomi... come una prora bionda di stella in stella il sole s'accomiata e s'acciglia sotto la pergola... come una fronte stanca è riapparsa la notte nel cavo d'una mano...
La linea oscura del silenzio è grande, passa sopra le cose all'infinito, le deterge le tinge le colora, la linea enorme del silenzio è retta, retta come l'assenza del Signore, e se scende nel cuore vi risolleva l'acqua intorpidita da una lunga tangente di menzogna, la linea curva del silenzio è grande.