Poesie d'Autore


Scritta da: Cheope
in Poesie (Poesie d'Autore)

A vucchella

Si comm'a nu sciurillo...
tu tiene na vucchella,
nu poco pucurillo,
appassuliatella.

Méh, dammillo, dammillo,
è comm'a na rusella...
dammillo nu vasillo,
dammillo, Cannetella!

Dammillo e pigliatillo
nu vaso... piccerillo
comm'a chesta vucchella

che pare na rusella...
nu poco pucurillo
appassuliatella...
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    Scritta da: Cheope
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    L'amico che dorme

    Che diremo stanotte all'amico che dorme?
    La parola più tenue ci sale alle labbra
    dalla pena più atroce. Guarderemo l'amico,
    le sue inutili labbra che non dicono nulla,
    parleremo sommesso.
    La notte avrà il volto
    dell'antico dolore che riemerge ogni sera
    impassibile e vivo. Il remoto silenzio
    soffrirà come un'anima, muto, nel buio.
    Parleremo alla notte che fiata sommessa.

    Udiremo gli istanti stillare nel buio
    al di là delle cose, nell'ansia dell'alba,
    che verrà d'improvviso incidendo le cose
    contro il morto silenzio. L'inutile luce
    svelerà il volto assorto del giorno. Gli istanti
    taceranno. E le cose parleranno sommesso.
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      Scritta da: Cheope
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Il vino triste

      La fatica è sedersi senza farsi notare.
      Tutto il resto poi viene da sé. Tre sorsate
      e ritorna la voglia di pensarci da solo.
      Si spalanca uno sfondo di lontani ronzii,
      ogni cosa si sperde, e diventa un miracolo
      esser nato e guardare il bicchiere. Il lavoro
      (l'uomo solo non può non pensare al lavoro)
      ridiventa l'antico destino che è bello soffrire
      per poterci pensare. Poi gli occhi si fissano
      a mezz'aria, dolenti, come fossero ciechi.

      Se quest'uomo si rialza e va a casa a dormire,
      pare un cieco che ha perso la strada. Chiunque
      può sbucare da un angolo e pestarlo di colpi.
      Può sbucare una donna e distendersi in strada,
      bella e giovane, sotto un altr'uomo, gemendo
      come un tempo una donna gemeva con lui.
      Ma quest'uomo non vede. Va a casa a dormire
      e la vita non è che un ronzio di silenzio.

      A spogliarlo, quest'uomo, si trovano membra sfinite
      e del pelo brutale, qua e là. Chi direbbe
      che in quest'uomo trascorrono tiepide vene
      dove un tempo la vita bruciava? Nessuno
      crederebbe che un tempo una donna abbia fatto carezze
      su quel corpo e baciato quel corpo, che trema,
      e bagnato di lacrime, adesso che l'uomo
      giunto a casa a dormire, non riesce, ma geme.
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        Scritta da: Cheope
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Estate

        È riapparsa la donna dagli occhi socchiusi
        e dal corpo raccolto, camminando per strada.
        Ha guardato diritto tendendo la mano,
        nell'immobile strada. Ogni cosa è riemersa.

        Nell'immobile luce dei giorno lontano
        s'è spezzato il ricordo. La donna ha rialzato
        la sua semplice fronte, e lo sguardo d'allora
        è riapparso. La mano si è tesa alla mano
        e la stretta angosciosa era quella d'allora.
        Ogni cosa ha ripreso i colori e la vita
        allo sguardo raccolto, alla bocca socchiusa.

        È tornata l'angoscia dei giorni lontani
        quando tutta un'immobile estate improvvisa
        di colori e tepori emergeva, agli sguardi
        di quegli occhi sommessi. È tornata l'angoscia
        che nessuna dolcezza di labbra dischiuse
        può lenire. Un immobile cielo s'accoglie
        freddamente, in quegli occhi.
        Fra calmo il ricordo
        alla luce sommessa dei tempo, era un docile
        moribondo cui già la finestra s'annebbia e scompare.
        Si è spezzato il ricordo. La stretta angosciosa
        della mano leggera ha riacceso i colori
        e l'estate e i tepori sotto il viviclo cielo.
        Ma la bocca socchiusa e gli sguardi sommessi
        non dan vita che a un duro inumano silenzio.
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          Scritta da: Cheope
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Tremola poco lontano

          Tremola poco lontano la tua fragrante figura.
          Sarò dolce in questa notte fatata, di stella,
          lacrima e poesia; tra le mie mani si ribella,
          l'arancia che solo nella mia bocca matura.

          Pigro ti ascolto morire e quasi muoio sereno.

          Saluto con un cenno di cuore il tuo sorriso
          che guarda altrove, e deformandoti in viso,
          scivola una lacrima di cristallo sul tuo seno.

          La tua bocca s'apre a guisa di rosa e tace.

          Un cenno di primavera sembra verdeggiare
          nei tuoi occhi, come scoglio in calmo mare
          o brezza di vento tra le foglie, pianto di pace;
          che brucia tutto il resto che per me è natale;
          brucia il fuoco dentro se stesso nel movimento,
          solo una lacrima può redimere uno, dieci, cento
          errori che mi hanno visto sbagliare uguale.

          Ti vedo tra le sordide finestre del pensiero,
          uguale a mille baci di donna già assaporati
          allora, finiti già, ancor prima d'esser iniziati,
          persi nella notte di chi sono o di chi ero.

          E continuo a non capire tutto il tuo pianto di cera.

          Barcollo nella nebbia delle mie troppe risposte
          accompagnate poche volte, da domande poste
          male o mai poste, che di luce illuminano la sera.
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            Scritta da: Cheope
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Elegia XIX: andando a letto

            Vieni, mia Donna, vieni mio vigore sfida di ogni riposo,
            finché mi affanno resterò in affanno.
            Spesso il nemico avendo il suo nemico in vista
            dalla sola presenza vien fiaccato, anche se non combatte.
            Getta pur quel cinto che splende simile allo Zodiaco,
            ma che nasconde al mio sguardo un mondo assai più bello.
            Togli gli spilli dal pettorale cosparso di lustrini,
            così che gli occhi dei maliziosi vi si possono fermare.
            Slacciati, perché quell'accordo armonioso
            mi dice di esser già l'ora di recarsi a letto.
            Via quel busto felice, che invidio,
            perché può starti così stretto.
            E via la gonna che svela una tanto bella condizione,
            come quando dai campi fioriti l'ombra dei colli si fugge.
            Via il diadema tenace, ed esso mostri
            il diadema fluente dei capelli che da te si leva:
            e ora via quelle scarpe, posa il tuo piede libero
            in questo sacro tempio dell'amore, su questo soffice letto.
            In vesti così bianche che gli Angeli del cielo erano soliti
            essere accolti dagli uomini; Angelo, conduci insieme a te
            un cielo simile al Paradiso di Maometto; e sebbene
            cattivi spiriti biancovestiti passino, noi facilmente riconosciamo
            questi Angeli da uno spirito malvagio,
            quelli rizzano i nostri capelli, ma questi ci rizzano la carne.

            Dona licenza alle mie mani erranti, lasciale andare
            avanti e indietro, in mezzo, sopra e sotto.
            Oh mia America! Mia nuova terra scoperta,
            mio regno, più sicuro se solo un uomo lo domina,
            miniera di pietre preziose, mio Impero,
            come sono benedetto in questo mio scoprirti!
            Entrare in questi ceppi significa essere liberi;
            dove metto la mia mano sarà il mio suggello.

            Completa nudità! Tutte le gioie a te sono dovute,
            come le anime si separano dal corpo, così i corpi si devono spogliare
            per gustare la gioia interamente. Le gemme che voi donne usate
            sono come i miei dorati pomi d'Atlanta, davanti allo sguardo degli uomini,
            tali che quando l'occhio di uno stupido s'illumina a una gemma
            la sua anima terrena non vuole la donna, ma vuole i suoi beni.
            Come dipinti, o come gaie rilegature di libri
            fatte per i profani, così sono le vesti delle donne;
            in sè le donne sono libri mistici che solo noi,
            fatti degni della loro grazia, vediamo rivelati.
            E poiché io sono chiamato a conoscere tanto,
            liberamente mostrati come a una levatrice;
            getta via tutto, si, getta i tuoi bianchi lini:
            all'innocenza nessuna penitenza è mai dovuta.

            Per insegnarti, per primo ecco son nudo; allora dunque,
            per coprirti che altro ti occorre più di un uomo?
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              Scritta da: Cheope
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Psycocanto

              Caro mio, cosa fai tutto solo nel pollaio?
              - Le galline io ammiro per la loro maestà,
              quando placide ti guardano e ti fanno
              coccodè, coccodè, noi siam con te! -
              Caro mio, non ti vergogni? Cosa dici?
              - Dico che mi piace il gallo per la sua
              autorità. Osserva tutti con occhio
              obliquo e poi fa chicchiricchiii! -
              Caro mio, ti senti male? Un dottore
              ti ci vuole del cervello conoscitore.
              - A me piace molto l'uovo; la mattina
              me lo succhio in un baleno. Bene sto
              tutto il giorno, benedetto sia l'uovo! -
              Caro mio, tu sei matto! Più dell'uovo
              ti ci vuole una mazzata che ti faccia
              rinsavire. Anormale tu mi sembri!
              - Senti senti chi mi parla! Bacchettone
              conformista sempre più trasformista.
              Io di te me n'impipo; vacci tu
              dall'analista ché mi pari nichilista.
              Io amo polli e galli, embè, che te ne frega?
              Pensa un po' ai fatti tuoi
              che ai miei ci penso io! -.
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                Scritta da: Cheope
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Cobò

                Chicchicchirichi!... Chicchicchirichi!...
                "Ecco il dì".
                Cantano i galli di Cobò.
                Il vecchio Cobò è sul suo letto che muore
                fra poche ore.
                Povero Cobò! Povero Cobò!
                Ciangottano i pappagalli.
                Addio Cobò! Addio Cobò!
                E le galline:
                cocococococococodè:
                "oggi è per te"
                cocococococococodè:
                "Cobò tocca a te".
                Le tortore piene di malinconia
                si sono radunate in un cantuccio:
                glu... glu... glu...
                "non ti vedremo più".
                I cani si aggirano mesti
                con la coda ciondoloni, mugolando:
                bau... bau... baubaubò:
                "addio papà Cobò".
                E i gatti miagolando:
                gnai... gnai... gnai... fufù
                "Mai... mai... mai più".
                E le cornacchie:
                gre gre gre gre
                "anche a te, anche a te".
                Fissando il capezzale
                la civetta
                veglia e aspetta.
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                  Scritta da: Cheope
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  Questa notte

                  Vibrano corde stonate
                  al pensiero di lei.
                  Riverberi di specchio e stelle
                  annegano nel mare
                  della mia rinnovata solitudine;
                  schiantano sui miei occhi
                  stanchi bagliori, nuovi,
                  tristi piaceri che l'anima rude schiude;
                  antichi suoni,
                  schiusi dalla porpora di stelle
                  di cui si bagna mesta
                  la mia pelle; questa,
                  è la polvere stellare;
                  lascia la scìa,
                  mi sugge linfa vitale da bere dalla sorgente:
                  la mia.

                  Guardo il suo sguardo
                  che nell'infinito oceano
                  mi mostra le mille rotte,
                  sono solo, io,
                  questa notte
                  e mille altre.

                  Lacero in brandelli di seta e pianto
                  il pensiero fugace; di lei.

                  L'animo mio innamorato,
                  è fallace
                  dinanzi al canto inumano;
                  è straziato. Tremola
                  la mano levata verso il tuono,
                  poco distante,
                  in segno di sfida
                  o forse di perdono,
                  ma il gesto è insistente,
                  non odo alcun suono,
                  se non il pensiero
                  d'un uomo che si pente
                  d'aver intessuto di passato
                  il suo presente,
                  tanto d'aver finito
                  con il vestire d'abito scuro
                  ciò che poteva avere tra le mani ora;
                  o in futuro.

                  Ascolto solo l'urlo
                  che mi accompagna,
                  mi consola,
                  questa notte sola
                  o mille altre
                  e altre ancora.
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                    Scritta da: Cheope
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                    Edonismo puro

                    Dolci
                    le mani smaniose di proibito su di me torci
                    piano;
                    un filo di gemito m'accarezza le tempie,
                    soffio leggero,
                    gonfio è il pensiero mio
                    nel ventre; un'impudica ebbrezza m'empie
                    di getto,
                    rosso di voglia il mio petto nudo,
                    distratto dalla tua carnosa opulenza,
                    s'agita sotto.
                    Imploro clemenza, assaporo i tuoi gemiti,
                    scostanti;
                    linfa s'insinua in ogni poro lasciando distanti
                    i gesti di mano e le colate d'oro pressanti,
                    come acqua e diga in esplosione
                    rallento dolcemente,
                    lo sento lei mi sente mentre pigra
                    la mia voglia latente lacera il mio ventre e grida.
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