Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Le lettere smarrite

Per favore, non recuperate le lettere smarrite.
Lasciate la busta accanto al tronco dell'albero,
sotto un'anonima pietra, o a rotolare nei giardini.
Ci sono lettere che si scrivono perché non arrivino,
perché dall'altro lato della voce diffidino di tutto,
perché esista una seconda lettera, esplicita e inutile.
Ciò accade con l'assenso di tutti,
con soprassalti premeditati e complicità.
Sono mesi, anni, di matematica innocenza.
In quelle lettere si confessava tutto,
si annunciavano pericoli che poi la pioggia ha ammorbidito;
in quelle lettere c'erano poscritti che premonivano
sul fatto che sarebbero andate smarrite.
La loro vera destinazione era il silenzio,
le erbacce al bordo dei letti,
le ragnatele sui davanzali,
le nuvole sul volto.
Definitivamente,
dall'altro lato della voce non l'aspettavano.
Lasciatela accanto all'albero,
sotto un'anonima pietra,
a rotolare nella memoria del felice mittente.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Dagli occhi di un bambino...

    Dagli occhi di un bambino decollano gli aeroplani.
    Se chiudesse gli occhi cadrebbero.
    Solo il suo stupore li mantiene sospesi,
    la sua piccola mano li innalza,
    il suo cuore li muove e li allontana.
    Senza un bambino appiccicato ai vetri,
    alle alte ringhiere di una terrazza adulta,
    gli aeroporti morirebbero d’orrore.
    Un bambino non potrà mai pronunciare la parola
    “aeronautica”
    ma da lui dipenderà l’imitazione dell’uccello.
    Un bambino non saprà calcolare le distanze
    ma è lui la garanzia del ritorno.
    Ogni aeroporto deve avere un bambino incollato ai vetri, accanto agli altoparlanti, dovunque si acquatti la paura.
    Grazie a lui durerà meno lacrime il rientro di tutti,
    dorrà meno baci l’addio delle madri
    e le hostess potranno prescindere da avvisi insulsi.

    Un aeroplano per aria
    sono molti bambini che guardano l’orizzonte.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Scritto nel giorno in cui Leigh Hunt uscì di prigione

      Benché imprigionato per aver detto il vero
      a un principe adulato, il generoso Hunt,
      in spirito immortale, libero si è serbato,
      come nobile allodola richiamata dal cielo.
      Lacchè dei Grandi, che cosa ti aspettavi?
      Ch'egli avrebbe fissato i muri della cella
      finché tu controvoglia ne riaprissi la porta?
      No! più alta e felice era già la sua sorte!
      Nelle corti di Spenser egli vagò, in pergole
      leggiadre, colse magici fiori, audace risalì,
      con Milton, i campi d'aria; e in feudi
      a lui certi da vero genio fece inebrianti voli.
      Chi potrà la sua fama funestare quando
      sarete morti tu e la tua ciurma di mariuoli?
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        A mio fratello Giorgio

        Molti prodigi ho veduto stamane:
        il sole, che col primo bacio terse le lacrime
        dagli occhi dell'aurora; le corone d'alloro
        degli eletti, chine sull'aureo manto della sera;
        l'oceano, verdeazzurro, sterminato,
        e scogli, navi, grotte, aneliti e terrori;
        e la sua voce arcana che, a chi l'ode,
        fa meditare quello che sarà o è stato.
        E anche ora, Giorgio, che ti dedico il verso,
        Cinzia fra coltri di seta appena si profila,
        come fosse una sposa alla sua prima notte,
        e lascia intravedere le amorose giostre.
        Ma che sarebbero i prodigi in mare e cielo
        senza averti compagno al mio pensiero.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Il grillo dei campi e il grillo del focolare

          Mai la terrestre poesia non muore.
          Quando tutti gli uccelli al solleone
          vengono meno e stan nascosti in mezzo
          la frescura degli alberi, una voce
          corre di siepe in siepe intorno al prato
          su cui appena passò rasa la falce:
          è del grillo dei campi, il capintesta
          nel tripudio d'estate, mai godere
          non cessa, perché quando a giuochi è stanco
          posa con agio sotto una grata erba.
          Fine non ha la poesia terrestre.
          D'inverno, in una sera solitaria,
          quando il silenzio è opera del gelo,
          strepe fuor della stufa il suon del grillo
          del focolare che col caldo sempre
          viene crescendo, e a uno che smarrito
          a mezzo sta fra sonno e veglia, il canto
          par del grillo dei campi ai colli erbosi.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Sulla Gloria

            Quale febbre ha mai l'uomo! Che guardare
            ai suoi giorni mortali con il sangue
            temperato non sa, che tutto sciupa
            le pagine del libro della vita
            e deruba virtù al suo buon nome.
            È come se la rosa si cogliesse
            da sé; o quand'è matura la susina
            la sua scura lanugine raschiasse;
            o a guisa di un folletto impertinente
            la Naiade oscurasse la splendente
            sua grotta di una tenebra fangosa.
            Ma sullo spino lascia sé la rosa,
            che vengano a baciarla i venti e grate
            se ne cibino le api: e la susina
            matura indossa sempre la sua veste
            bruna, il lago non tocco ha di cristallo
            la superficie. Perché dunque l'uomo,
            importunando il mondo per averne
            grazia, deve sciupar la sua salvezza
            in obbedienza a un rozzo, falso credo?
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Le stagioni umane

              Quattro stagioni fanno intero l'anno,
              quattro stagioni ha l'animo dell'uomo.
              Egli ha la sua robusta Primavera
              quando coglie l'ingenua fantasia
              ad aprire di mano ogni bellezza;
              ha la sua Estate quando ruminare
              il boccone di miel primaverile
              del giovine pensiero ama perduto
              di voluttà, e così fantasticando,
              quanto gli è dato approssimarsi al cielo;
              e calmi ormeggi in rada ha nel suo Autunno
              quando ripiega strettamente le ali
              pago di star così a contemplare
              oziando le nebbie, di lasciare
              le cose belle inavvertite lungi
              passare come sulla siglia un rivo.
              Anche ha il suo Inverno di sfiguramento
              pallido, sennò forza gli sarebbe
              rinunciare alla sua mortal natura.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Al sonno

                O soave che balsamo soffondi
                alla quieta mezzanotte, e serri
                con attente e benevole le dita
                gli occhi nostri del buio compiaciuti,
                protetti dalla luce, avvolti d'ombra
                nel ricovero di un divino oblio.
                O dolcissimo sonno! Se ti piace
                chiudi a metà di questo, che è tuo, inno
                i miei occhi in vedetta, o attendi l'Amen
                prima che il tuo papavero al mio letto
                largisca in carità il suo dondolio.
                Poi salvami, altrimenti il giorno andato
                lucido apparirà sul mio guanciale
                di nuovo, producendo molte pene,
                salvami dall'alerte coscienza
                che viepiù insignorisce il suo vigore
                causa l'oscurità, scavando come
                una talpa. Volgi abile la chiave
                nella toppa oliata e dà il sigillo
                allo scrigno, che tace, del mio cuore.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  A...

                  Se avessi le forme di un bel corpo virile,
                  sottili i miei sospiri potrebbero echeggiare,
                  come in tornito avorio, al tuo orecchio,
                  trovando via al tuo cuore gentile - passione
                  bene mi armerebbe all'impresa. Ma, ahimé!
                  Non sono il cavaliere che uccide l'avversario,
                  corazza non risplende sul mio petto elato,
                  né sono l'ingenuo pastore della valle,
                  le cui labbra han tremato per occhi di fanciulla.
                  Eppure devo delirare per te, dirti più dolce
                  delle rose melate dell'Ibla, asperse di rugiada
                  così densa che inebria. Ah! tal rugiada mi giova,
                  la suggerò, cogliendola, con incanti e magia,
                  quando si svela il volto pallido della luna.
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