Lontano da uccelli, da greggi, da paesane, io bevevo, rannicchiato in una brughiera, cinta da una selva di noccioli leggera, in verdi e tiepide foschie meridiane.
Che potevo bere in quella giovane Oïsa, muti olmi, cielo coperto, erba senza fiori. Che spillavo alla mia fiasca di colocasia? Un liquore d'oro, insulso, che dà sudori.
Cattiva insegna d'osteria sarei stato. Poi il temporale mutò il cielo, fino a sera. Furon laghi, pertiche, stazioni, una nera regione, e nella notte blu fu un colonnato.
L'acqua dei boschi moriva alla verginale sabbia, e il vento, dal cielo, ghiacciava acquitrini... Io, pescatore d'oro e di gusci marini, dire che non pensai di bere, come tale!
Se non temprasse il foco del mio core l'umor, che verso per gli occhi sì spesso, io avrei visto già di morte il messo, e l'alma ad ubidirla uscita fore; perché la speme omai cede al timore, ed ogni cosa mia soggiace ad esso, poi che si vede a mille segni espresso che chi può farlo vuole il mio dolore. Dunque, s'io vivo, è mercé del mio pianto; s'io moro, è colpa de le crude voglie del mio signor, in vista dolce tanto. Ei mi legò sì ch'altri non mi scioglie, ei vuol aver de la mia morte il vanto. O poco chiare ed onorate spoglie!
Beate luci, or se mi fate guerra voi, donde può venir sol la mia pace; se 'l viver mio a voi, luci alme, spiace e la mia vita in voi solo si serra; mi converrà (e chi nol crede s'erra) o viver sempre in guerra aspra e tenace, o tosto tosto l'anima fugace, lasciato il corpo, se n'andrà sotterra. E così rimarrete senza poi soggetto, ove possiate essercitare la crudeltade vostra, Amor e voi. Io ne verrò al fine a guadagnare; ché, morend'un senza peccati suoi, felicemente suol al ciel poggiare.
Qual sempre à miei disir contraria sorte fra la spiga e la man mi s'è trasmessa, sì che la gioia, che mi fu promessa, tarda tanto a venir per darmi morte? Le mie due vive, due fidate scorte il signor mio, anzi l'anima stessa, l'imagin, che nel cor m'è sempre impressa, perché non batte omai, lassa, a le porte? L'alma allargata a questa nova speme che ristretta nel duol prendea vigore, mancherà tosto certo, se non viene. E saran dè miracoli d'Amore, ch'un'ombra breve di sperato bene tolga altrui vita, e dia vita il dolore.
Se tu vedessi, o madre degli Amori, e teco insieme il tuo figlio diletto, l'accese e vive fiamme del mio petto, a quali altre fûr mai pari o maggiori; se tu vedessi i pelaghi d'umori, che, dapoi che 'l mio cor ti fu soggetto, mercé del vago e grazioso aspetto, per questi occhi dolenti verso fuori; so ch'avresti pietà del mio gran pianto e de la fiamma mia spietata e ria, che per sfogar talor descrivo e canto. Ma voi ferite, e poi fuggite via più che folgor veloci, ed io fra tanto resto col pianto e con la fiamma mia.
Se con tutto il mio studio e tutta l'arte io non posso accennar pur quanto e quale è 'l foco mio dal dì che 'l primo strale m'aventò Amor ne la sinistra parte, come volete voi signor, che ex parte l'altrui voglie amorose e l'altrui male con questa forza stanca e così frale ì dica in vive voci, o scriva in carte? Datemi o 'l ciel più stile o voi men pena, ond'abbia o più vigor o men martìre, sì che la vostra voglia resti piena. E, se ciò non si può, vostro desire adempiete da voi, ch'avete vena, stile ed ingegno eguale al vostro dire.
Cesare e Ciro, i vostri fidi spegli, in cui mai sempre, signor, vi mirate, poi ch'a seguir le lor chiare pedate par che ciascun di lor v'infiammi e svegli, perché, sì come è stato questi e quegli essempio di clemenzia e di pietate, solo in questa virtù v'allontanate da què due chiari ed onorati vegli? Perché non sète voi mite e clemente a me vostra prigion, vostra fattura, come fûr essi a l'acquistata gente? Anzi forse voi sète di natura mite con tutti, e meco solamente d'aspra e spietata. Oh mia somma sventura.
Sai tu, perché ti mise in mano, Amore, gli stral tua madre, ed agli occhi la benda? Perché quella saetti, impiaghi e fenda i cor di questo e quel fido amatore; e con questi non possi veder fuore de' colpi tuoi la crudeltà stupenda, sì che pietoso affatto non ti renda, o almen non tempri l'empio tuo furore. Che, se vedessi un dì la piaga mia, o non saresti dio, ma cruda fèra, o pietoso o men aspro ti faria. Non vorrei già che tu vedessi in cera i raggi del mio sol; ché ti parria forse a l'incontro picciola e leggera.