Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

I colchici

Il prato è velenoso ma bello in autunno
Le mucche pascolandovi
Lente vi s'avvelenano
Vi fiorisce colore d'occhiaia e di lillà
Il colchico I tuoi occhi sono come quel fiore
Violastri come il livido che li cerchia e l'autunno
E lenta la mia vita per loro s'avvelena

Arrivano fracassoni da scuola i ragazzini
Incasaccati di panno e suonando l'armonica
Colgono le freddoline che sono come madri
Figlie delle loro figlie e color delle palpebre
Che batti come i fiori batte il vento demente

Il mandriano canta dolcissimamente
Mentre per sempre il prato mal fiorito da autunno
Abbandonan muggendo le mucche lentamente.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Notte renana

    M'empie il bicchiere un vino che ha tremori di fiamma
    Udite la canzone lenta d'un battelliere
    Dice di sette donne viste sotto la luna
    Torcersi i capelli verdi e lunghi fino ai piedi

    Alzatevi e in girotondo cantate più forte
    Ch'io più non senta il canto di quel battelliere
    E mettetemi accanto tutte le ragazze bionde
    Col loro sguardo fisso le loro trecce ritorte

    Il Reno s'ubriaca il Reno specchio alle vigne
    Vi cadono a riflettervisi tremando gli ori notturni
    La voce canta sempre da rantolomorirne
    Le fate in verdi chiome che incantano l'estate

    Il bicchiere ha lo schianto d'un romper di risate.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Hotels

      La camera è sola
      Ognuno per sé
      Presenza nuova
      Si paga a mese

      Il padrone dubita
      Pagheranno
      Giro per strada
      Come una trottola

      Il rumore delle carrozze
      Il mio brutto vicino
      Che fuma un acre
      Tabacco inglese

      O La Vallière
      Che zoppica e ride
      Delle mie preghiere
      Tavolo da notte

      E tutti insieme
      In questo hotel
      Sappiamo la lingua
      Come a Babele

      Serriamo le porte
      A doppia mandata
      Ognuno porta
      Il suo solo amore.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Rammarico

        Chi questo nuovo pianto in cuor mi pone?
        Verso Occidente, o dolce madre Aurora,
        da te lontano la mia vita è corsa.
        Il cielo s'alza e tutto trascolora;
        passano stelle e stelle in lenta corsa;
        emerge dall'azzurro la grand'Orsa,
        e sta nell'arme fulgido Orione.
        Come più lieta la tua vista, quando
        un poco accenni delle rosee dita;
        e la greggia s'avvia scampanellando,
        esce il bifolco e rauco i bovi incìta,
        canta lassù la lodola - apparita
        ecco Giulietta, e piange, al suo balcone! -.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          La cavalla storna

          Nella Torre il silenzio era già alto.
          Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
          I cavalli normanni alle lor poste
          frangean la biada con rumor di croste.
          Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
          nata tra i pini su la salsa spiaggia;
          che nelle froge avea del mar gli spruzzi
          ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
          Con su la greppia un gomito, da essa
          era mia madre; e le dicea sommessa:
          "O cavallina, cavallina storna,
          che portavi colui che non ritorna;
          tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
          Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
          il primo d'otto tra miei figli e figlie;
          e la sua mano non toccò mai briglie.
          Tu che ti senti ai fianchi l'uragano,
          tu dai retta alla sua piccola mano.
          Tu ch'hai nel cuore la marina brulla,
          tu dai retta alla sua voce fanciulla".
          La cavalla volgea la scarna testa
          verso mia madre, che dicea più mesta:
          "O cavallina, cavallina storna,
          che portavi colui che non ritorna;
          lo so, lo so, che tu l'amavi forte!
          Con lui c'eri tu sola e la sua morte.
          O nata in selve tra l'ondate e il vento,
          tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
          sentendo lasso nella bocca il morso,
          nel cuor veloce tu premesti il corso:
          adagio seguitasti la tua via,
          perché facesse in pace l'agonia... "
          La scarna lunga testa era daccanto
          al dolce viso di mia madre in pianto.
          "O cavallina, cavallina storna,
          che portavi colui che non ritorna;
          oh! Due parole egli dové pur dire!
          E tu capisci, ma non sai ridire.
          Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
          con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
          con negli orecchi l'eco degli scoppi,
          seguitasti la via tra gli alti pioppi:
          lo riportavi tra il morir del sole,
          perché udissimo noi le sue parole".
          Stava attenta la lunga testa fiera.
          Mia madre l'abbracciò su la criniera
          "O cavallina, cavallina storna,
          portavi a casa sua chi non ritorna!
          A me, chi non ritornerà più mai!
          Tu fosti buona... Ma parlar non sai!
          Tu non sai, poverina; altri non osa.
          Oh! ma tu devi dirmi una cosa!
          Tu l'hai veduto l'uomo che l'uccise:
          esso t'è qui nelle pupille fise.
          Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
          E tu fa cenno. Dio t'insegni, come".
          Ora, i cavalli non frangean la biada:
          dormian sognando il bianco della strada.
          La paglia non battean con l'unghie vuote:
          dormian sognando il rullo delle ruote.
          Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
          disse un nome... Sonò alto un nitrito.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Canzone di nozze

            Guardi la vostra casa sopra un rivo,
            sopra le stipe, sopra le ginestre;
            ed entri l'eco d'un gorgheggio estivo
            dalle finestre.
            Dolce dormire con nel sogno il canto
            dell'usignuolo! E sian sotto la gronda
            rondini nere. Dolce avere accanto
            chi vi risponda,
            sul far dell'alba, quando voi direte
            pian piano: È vero che non s'è più soli?
            Sì, sì, diranno, vero ver... Che liete
            grida! Che voli!
            Sul far dell'alba, quando tutto ancora
            sembra dormir dietro le imposte unite!
            Sembra, e non è. Voi sì, forse, in quell'ora,
            madri, dormite.
            Sognate biondo: nelle vostre teste
            non un fil bianco: bianche, nel giardino,
            sono, sì, quelle ch'ora vi tendeste,
            fascie di lino.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
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              Il gelsomino notturno

              E s'aprono i fiori notturni
              nell'ora che penso à miei cari.
              Sono apparse in mezzo ai viburni
              le farfalle crepuscolari.

              Da un pezzo si tacquero i gridi:
              l sola una casa bisbiglia.
              Sotto l'ali dormoni i nidi,
              come gli occhi sotto le ciglia.

              Dai calici aperti si esala
              l'odore di fragole rosse.
              Splende un lume la nella sala.
              Nasce l'era sopra le fosse.

              Un'ape tardiva sussurra
              trovando già prese le celle.
              La Chioccetta per l'aia azzurra
              va col suo pigolio di stelle.

              Per tutta la notte s'esala
              l'odore che passa col vento.
              Passa il lume su per la scala;
              brilla al primo piano: s'è spento...

              È l'alba: si chiudono i petali
              un poco gualciti; si cova,
              dentro l'urna molle e segreta,
              non so che felicità nuova.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Lessi la mia sentenza con fermezza

                Lessi la mia sentenza con fermezza -
                la controllai per essere sicura
                di non aver frainteso
                nella clausola finale
                la data e la forma della vergogna -
                e poi la frase
                "Dio abbia misericordia" dell'anima -
                i giurati si espressero così.

                Cercai di abituare la mia anima
                alla sua fine, perché in quel momento
                non le sembrasse estranea l'agonia -
                ma lei e la morte, fatta conoscenza,
                s'incontrassero tranquille, come amiche -
                salutandosi e passando senza un cenno -
                e lì si concludesse la faccenda.
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