Poesie personali


Scritta da: Andrea De Candia
in Poesie (Poesie personali)
Se tua madre sapesse amore mio
che io mi sto traslando per amore
diventerebbe la più cieca Erinni
del creato, che io sono tua madre
ma se tua madre amore mio perfetto
sapesse tutto il male che ho patito
e che i poeti non invecchian mai
allora le due madri innamorate
l'una di Fedra e l'altra sai di Edipo
si alzerebbero dritte dalla tomba
a piangere due parti.
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    Scritta da: Andrea De Candia
    in Poesie (Poesie personali)
    Per te musica è solo silenzio.
    Per questo passeggiate solitarie.
    Per questo il sipario
    nero del cielo alzato ad offuscare
    la visione del pubblico solare,
    per questo solamente il silenzio,
    vuol dire che nessuno può inventarlo
    lo strumento da cui
    può scaturire nell'eternità.
    Il silenzio diventa musicista
    e ti utilizza come suo strumento.
    E la strada è spartito ed è teatro.
    E il corpo penna ed esecuzione.
    E i passi note e mimica che interpreta.
    E l'ombra che continua come una eco
    è una clemenza per chi resta indietro,
    incluso te stesso se poi ti volti.
    Non sai nemmeno se il vento è un applauso.
    Non sai di quante mani.
    Se sia una sola oppure
    si giochino a confondersi
    fino a finire nell'innumerevole.
    Tu giochi, e ormai lo sai, e al tuo ritorno,
    al tuo rientro in casa dal portone
    è terminata la vita dell'opera.
    E se si cerca il cadavere è
    che tu non sei, non sai, non puoi sapere.
    Un attimo brevissimo immortale
    che hai consumato e gettato nel cesto
    indifferenziato di un lungo oblio.
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      Scritta da: Andrea De Candia
      in Poesie (Poesie personali)
      Sono venuto e indietreggiavi, nulla,
      ho lasciato la compagnia del vento,
      ai miei piedi la cenere dell'ombra
      pezzi di me al passato anche al futuro
      la carne-fiamma bruciava di insonnia -
      vedevo profilarsi all'orizzonte
      la tua porta, un addio prima di nascere -
      veniva lacrimato via il mio sogno
      ed ero troppo inerte per accorgermene.
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        Scritta da: Andrea De Candia
        in Poesie (Poesie personali)
        La civiltà della luce è crollata,
        e neanche la polvere riesce
        a dare una parvenza del suo esistere,
        cantano un pianto carillon di stelle
        sul neonato che è una culla di scheletro,
        si calpesta, scavandolo, il terreno,
        e il passo è il grido nel buio insicuro
        del fatto che sia carne oppure cenere:
        vi si affacciano, Narcisi nolenti
        su un lago ormai di ostinato ghiaccio, scivolano in compromessi di riflessi,
        infimità marina in decomposte
        urla, disfatta tela di Penelope,
        gesso caduto orizzontalmente
        su una lavagna davanti alla quale
        non c'è mai stato fosse anche un alunno,
        dove scrittura è un oblio ribevuto,
        dove non si fa in tempo a dire fine.
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          Scritta da: Andrea De Candia
          in Poesie (Poesie personali)

          La trinità

          Questa sigla d'Amore che mi afferra
          le impavide ginocchia, è il decadere
          della mia angoscia per la Creazione.
          Un anelito bianco mi sospinge
          a che io stenda in empito le mani
          sopra il mio grigio esistere e lo turbi
          in multiformi giri di intelletto.
          Ed il Mondo discende poderoso
          dalla malinconia che mi ritiene.
          Ma il vocabolo esatto del presente
          io lo cerco anelando sulla terra
          e non posso non bere dalla coppa
          che m'offre il Cristo la mia persa "Idea".
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            Scritta da: Andrea De Candia
            in Poesie (Poesie personali)
            Legna carbonizzata è questa notte,
            estesa senza avere intermittenze,
            fiamme accese di zanzariere, gli astri,
            gocce di fuoco piante da paura,
            solitudini di distanziamento,
            sorelle che s'osservano
            in modo circospetto:
            entra in scena lo sguardo dell'insonne
            dal palcoscenico di un marciapiedi
            al proscenio d'una strada isolata
            in cui la passeggiata si è tenuta
            come monologo della sua insonnia,
            ed è il silenzio del suo sguardo, parla
            l'occhio di bue in un occhio di uomo
            proietta in una folle lontananza
            l'orizzonte della sua direzione,
            è arrivato da sempre a quella vetta,
            all'applauso dell'occupar (n)e il centro,
            alla pausa scandita d'altro tempo
            risponde con sublime indifferenza:
            consuma il pasto d'ossa della luce.
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