Poesie inserite da Alexandre Cuissardes

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Scritta da: Alexandre Cuissardes

Alle prove della nuova recita

Ho visto un corpo che ti stava accanto
dentro quel letto fino a ieri nostro.
E quel lenzuolo
ci ha coperti entrambi.
Neppure il tempo di un doveroso cambio,
tanta la fretta per il consumare,
l'assaporare un corpo nuovo.
E ti ho ascoltata fare bei progetti
con le parole che ho sentito già.
Ma sono stanco
di sentirti dire
e di vederti fare.
Non vedo l'ora che vi addormentiate
per venir fuori da uno stupito armadio
strisciare piano sui tappeti
e abbandonare il set di una commedia troppe volte vista
e recitata.
Appena in strada getto via il biglietto,
quello della "prima visione con l'ultimo arrivato".
Brava l'attrice
ma non da premio.
Bravo l'attore
ma forse perché non pensava di essere un attore.
Bravo invece io,
io sì,
bravo a strisciare,
bravo a scappare.
Composta sabato 20 settembre 2014
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    Scritta da: Alexandre Cuissardes

    la casa un pò appartata

    Salgono in coppia
    e scendono divisi.
    A salire la voglia ed i sorrisi,
    a scendere il pudore,
    l'andare via veloce,
    di chi ha pagato.
    Ha goduto.
    Per portarla su gli ha offerto anche da bere. Quando è finita neppure un bicchier d'acqua.
    Lei scende lenta
    giusto un po' più indietro.
    L'aria di chi ha finito.
    Il viso è ravversato
    per la volta dopo.
    Trucco su trucco,
    così fino a stasera,
    a stanotte,
    a domattina.
    Composta domenica 14 settembre 2014
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      Scritta da: Alexandre Cuissardes

      la casa della stanza murata

      Speriamo solo di non continuare
      ad avercela cosi tanto con noi stessi.
      Quando non ci basterà più il vino,
      come non ci sono bastate le erbe prima,
      a cosa ricorreremo.
      Alle risse tra di noi
      coi coltelli delle cene,
      sporchi di carne infilzata,
      alla testa sbattuta forte sulla pietra
      per fare uscire il nulla,
      ad una stupida tardiva vocazione
      che ci illuda di avere cento guance ancora da mostrare,
      da porgere,
      o alla solita serata di parole,
      i "ti ricordi"
      "mi ricordo"
      i "ma lasciamo stare",
      col solito finale:
      "dai passami il bicchiere".
      Dalle risse di piazza
      a quelle da pollaio.
      E quando i mitra appoggiati al muro
      di quella stanza che nessuno rammenta più
      ci odieranno
      per esser stati presi una sola volta in mano
      e mille volte in giro,
      e le bandiere
      con i colori dell'allora saranno stracci
      per ripulire casa e non la società,
      chi sa che cosa penseremo delle rivoluzioni
      che ci hanno messo in testa
      ed anche nel didietro.
      In un raro momento
      di libertà di mente
      ci accorgeremo quanto si sta bene soli
      senza compagni o camerati,
      senza ideologie.
      E sarà d'obbligo evitare per un po' gli specchi
      che impietosamente ci direbbero
      che tutto questo
      l'abbiamo capito troppo tardi,
      e forse non del tutto,
      e siamo vecchi.
      Ma che triste sensazione
      se quando metteremo il naso fuori,
      magari per comprarci l'ennesimo quartino (di vino)
      ci rivedremo in qualche matto che urla in giro o sventola bandiere che diventeranno straccio,
      o tiene il mitra nascosto sotto il braccio.
      Uno di quei mitra anche lui fra un po' ridotto a ferro vecchio
      ed appoggiato al muro,
      ma in casa d'altri.
      Il muro,
      l'unico nel tempo
      ad essere rimasto duro e puro.
      Composta mercoledì 11 giugno 2014
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        Scritta da: Alexandre Cuissardes

        Socchiudo gli occhi a Venezia

        Cala il sole sulla laguna a mare.
        In quanti lo avranno detto,
        ad un volto vicino,
        alla propria testa,
        al primo che passava.
        Lui continua a farlo
        come noi continuiamo a dirlo,
        a scriverlo,
        a pensarlo.
        Ed osserviamo l'arancio
        il marrone
        il sabbia,
        che si distendono davanti a lei,
        a noi.
        Adesso il sole
        si è fatto esagono che scompare,
        spandendo la luce,
        l'ultima luce,
        la luce gialla,
        rasa all'acqua.
        Cala la sera sulle gondole stanche
        che pattinano di traverso
        nel loro tornare.
        Ed ogni volta la stessa illusione.
        Che fermino il tempo,
        che fermino l'acqua.
        Turisti
        che si sentono viaggiatori
        si lasciano andare.
        Hanno negli occhi
        il giorno trascorso
        e pensano già
        a quando ritornare.
        Fra un po' i neri docili animali di legni
        si culleranno aspettando domani,
        coperti da un telo azzurro
        o nudi all'aria di notte.
        Sta seduto sull'ultimo muretto all'acqua
        l'annoiato perdigiorno.
        Adesso che un altro giorno è perso
        fuma lentamente
        sputa tabacco alla nebbia.
        -Io ti aspettavo -
        dice muto alla "Vespucci"
        quell'umile antico palo,
        dritto in acqua,
        pieno di rughe e tagli
        che è sempre il primo a salutare
        la nave nera
        che a Venezia si fa
        gondola madre.
        Intanto è vivo quel lampione,
        l'ultimo,
        alla punta d'acqua.
        Quello all'arsenale,
        quello che poi è laguna
        come se fosse il mare.
        Illumina l'ultimo abbraccio
        di chi si lascia
        o si fa promesse
        ed una coppia che mano nella mano
        passa sul ponte bianco
        e torna a casa per la cena.
        Composta lunedì 19 maggio 2014
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          Scritta da: Alexandre Cuissardes

          il giorno giusto

          Oggi non è un giorno a caso.
          Mi sono svegliato col diciotto in testa.
          Buon compleanno.
          Perché?
          Perché oggi?
          Perché stamani mi sono alzato cosi,
          cosi mi va.
          Del resto
          un giorno vale l'altro.
          Sono anni
          che non lo festeggiamo insieme
          il giorno in cui sei nato.
          In qualunque giorno venga
          il diciotto non è mai
          un giorno a caso.
          Composta martedì 4 marzo 2014
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            Scritta da: Alexandre Cuissardes

            il cuore perduto

            guardo svogliato le immagini di un film,
            la mano gratta distratta il telecomando.
            Sento il rumore dell'acqua nella doccia,
            scorre sul corpo che ho sporcato stasera.
            Annuso le mani
            che prima profumavano di lei
            adesso puzzano di vecchia storia
            durata un'ora.
            Strano concetto
            che ho maturato
            del tempo dell'amore.
            Come se fossero
            le fasi di una vita a due.
            All'inizio ti distendi
            alla fine non ti lasci,
            ti alzi dal letto ed è finita.
            Non mi domando
            perché abbia accettato,
            si sia spogliata.
            Forse mi ha amato,
            almeno per mezz'ora.
            Ho solo fretta che se ne vada,
            che porti via il suo corpo,
            le parole dette,
            l'intero fatto.
            Per ritornare in me
            dovrò domani
            non ospitare qualcuno in casa mia,
            ma suonare a quel campanello,
            entrare in quella casa
            dove dopo un'ora,
            prima di andarmene,
            tolgo dal portafogli il suo "dovuto",
            incasso il
            "ciao tesoro è stato bello, torna presto se vuoi sei sempre il benvenuto".
            E mentre lei lo dice
            osservo il portafogli
            e penso che sia lui il vero benvenuto.
            Composta lunedì 17 febbraio 2014
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              Scritta da: Alexandre Cuissardes

              La "visita serpenti"

              Vago per cimiteri,
              sempre meglio
              che per gli ospedali.
              Qui nessuno si lamenta,
              il peggio l'hanno già passato
              o fatto passare.
              Qui ci cammino vivo
              e quando mi sdraio
              mi posso riposare,
              non c'è rumore.
              La scelta è ampia
              c'è l'erba
              oppure il marmo,
              la pietra
              o piccoli sassi levigati.
              Anche il più cattivo,
              visto in fotografia
              non mi fa paura,
              e se gli auguro l'inferno
              so che non si potrà incazzare
              e farmi del male.
              E quando leggo
              "dopo una lunga malattia"
              per qualcuno non posso che gioire.
              Quando è "penosa" poi
              spero proprio che lo sia.
              Ed a chi qualche volta ci ha provato
              a farmi crepare,
              dico sorridendo
              "vedi, mi hai preceduto",
              anzi,
              per esser chiaro,
              "vedo che mi hai preceduto"
              e lo vedo con piacere.
              Ma se ci penso meglio
              poi mi chiedo se
              in fondo in fondo
              sia proprio un gran vantaggio
              restare in piedi
              a queste condizioni,
              né più né meno
              che per respirare,
              e venir qui,
              vagare fra le tombe,
              sputare addosso
              giusto a qualche foto.
              In fin dei conti
              voi siete stati bene,
              anche se non meritavate niente,
              e poi,
              il fatto che mi abbiate preceduto
              non è che mi risolva molto.
              Per voi
              il tempo che avete avuto
              è sempre stato di un bel sereno,
              il mio invece è stato ed è
              un tempo che è tempesta.
              Composta martedì 11 febbraio 2014
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