Salute a te o vento armonia vagabonda di mormorii, musicale voce lamentatrice che vieni da lontano e animo ridai a moribonda aria! Hai mugghiato tra i portici, trasportato polline, agitato ciuffi di canne, spettinato chiome e salici, attraversato contrade, scompigliato mucchi di sabbia, corrugato il ponto, soffiato su lapidi e vivi! Ora raccogli le tue forze, trova un varco nel mio cuore, increspa l'acqua stagna del mio lago, insuffla un alito da i vetri infranti della finestra delle mie speranze! È lontano ma non obliato il ricordo di quando, aspettandoti con ansia, liberavo nel cielo aquiloni colorati o sfidandoti, disarmato di abiti, nei tuoi momenti di veemenza imperterrito ti venivo incontro! Altri venti ho incontrato, altri soffi, hanno scosso gli arrugginiti cardini della porta dei miei anni, altri petali ho visto strappare al bocciolo prima che fiorisse pendie e secche foglie mulinare tra turbini di sogni; altri perduti giorni ho visto stramazzare, senza luce.
Thànatos, insopportabile vita disfatto mi trascina per giorni cupi e tristi deportandomi in funerei pensieri ove consunta anima, smarrita si aggira te invocando che, impietosa, ti attardi e più acerba e lunga fai la pena mia! Sono qui Thànatos, prendimi per mano e conducimi sulla strada da cui viene e va ogni vivente cosa! Oltre non indugiare! Non indurmi stanco... a venirti incontro! Liberami da questo fardello di uman dolore che misera fa la vita quando null'altro avanza se non malinconia che, pungente abbracciando, trafigge l'inconsistente guscio a strenua difesa opposto contro mortali insidie! Sai... fui vivo un tempo: gladio impugnai nella cruente arena di ideali battaglie! Sentii i possenti fremiti che scuotono il cuore e fanno grande l'occhio con cui penetri le cose cercando amor di vita! Tra tramonti ed albe, il cielo e le stelle scrutai nelle mia lunga notte ma non scorsi che ombre! Cuori, muti e sordi, interrogai nel solitario mio tragitto e fu sempre silenzio! Poi che il vano essere incontrai e mi avvidi che tutto muta e solo acuto dolor resta, tra metamorfosi avvilenti si spense ogni altra fiamma! Per atavico gioco di istinti in un abbandono di sensi a caso venuto al mondo, subii l'assurda sorte che la vita impone e al giogo del vortice poi l'abbandona! Ilota di me stesso al canuto traghettatore pagherò il riscatto per tornar presto su agognata riva avocando una libertà che negata è in vita! Altro non spero Thànatos! Conducimi Lì dove forse mi aspettano, riportami all'arcano lido da cui per il Quaggiù senza volerlo salpai.
Taci stupido orgoglio smorza l'insorta rancura che deluso come fuoco mi brucia! Inviperito non sospingermi abbuiato sull'orlo del pendio che scoscende fino alla fossa: abboniscimi, giungere là non voglio così infangarmi non posso... Pur se amor in petto infuria ma nulla lo cura o la carezza di una mano lo sfiora, ancora zitto zitto nell'ombra restiamo e facciamo finta di niente. Impietoso non ricordarmi che offrir volevo in dono a chi non sapeva che farsene l'oro colato dai miei sospiri. Luce non può raccogliere chi ha già occhi chiusi fragore di cuore non scuote il sordo: sasso egli resta agli scoppi di spolette d'amore tutto assorto nel suo torpore! Ah cuore, cuore immiserito come ieri non te ne sei accorto! Randeggiare, non approdare questo ci poteva essere concesso... quando avvistammo l'isola dei sogni! Dopo affondo per vortici d'assenza ora puro marame ogni riva ci respinge; sull'animo da inganno fatto diaspro un soffiar di giorni cosparge le spente ceneri di un ultimo ceppo di illusioni! Taci, taci impennato orgoglio attizzato e indignato non insorgere non inveire contro l'Invisibile o chiunque altro umano fariseo che appostato nel silenzio ci derida! Andiamo, proseguiamo pure... spogliati di miraggi e di speranze continuiamo il gravoso viaggio. Dalla prigionia del corpo sforziamo un sorriso; finti vivi e maschera, affettiamo un cordiale gesto di saluto rivolti al passante ignaro che incontreremo domani; a chi estraneo, al cuore mai appuntamento potrà dare.
Poiché si dice che tutto venga dal mare e ognuno sempre torna dove è nato, taglia gli ormeggi e scosta cuore timoniere! Sotto voce abbandoniamo questo attracco di malinconie, via da questa terra ferma ricoperta di secce aride or che alta è la marea! Addio terra ferma, coste di tenebre montagne d'angoscia dinieghi di germogli acque morte mattatoio di sogni! Mare, primigenio nascere, se rigenerato ti solco mostrami i tuoi confini, dal vento mi giunga un soave eco qual ammalio di mitiche sirene; riflesso dal tuo specchio riappaia il biavo firmamento! Cuore, raccogli la bottiglia entro cui è scritto il tuo destino: pompa il mio sangue nelle vene al par di un rabido vortichio che s'avventi e speroni rocce, cavalca questi flussi, danza su queste crespe: tra le schiume e i fiocchi di neve degli spruzzi ritrova la felicità del sughero che sui marezzi fluttua! Abbacinato da scotoma scintillante, al risveglio di una luce mattutina, non ti smarrire: bussola e timone riprendi segui tra apriche volte la scia di raggi dorati naviga allo zenit e non voltarti! Procellarie, portatemi lontano dalle burrasche. Guidate la mia prima rotta diretta al sereno di altri giorni!
La ruota del tempo ne ha fatto di giri da quando lasciai la città del sole e delle canzoni! Il clamore delle voci nel budello dei vicoli che ti soffocano, la miseria che vi ha fissa dimora, i bassi angusti affollati da nugoli di fanciulli senza avvenire, una gioventù che sfiorisce per orditi di strade sconnesse lastricate di sogni stroncati, la tristezza che scolorisce il volto di chi non trova la mano tesa della speranza, dalla memoria, da allora che via me ne andai, più non si invola! Là, una canzone zittisce ogni dolore, una pizza sazia un pinzare di fame, un mandolino in dolcezze scioglie il cuore come il burro se esposto a calura eccessiva! Sotto il Parco delle rimembranze, il progresso e il tornaconto di pochi da tempo hanno dato un colpo di spugna all'altoforno e alle ciminiere! Effeminati ed esotiche clacson girls come cavallette, in una nuova apocalisse la notte hanno invaso; la polvere bianca con i suoi annessi dilaga: a venti anni la vita già si perde in un pronto soccorso finale! Neanche il mare è lo stesso dall'ultima volta che azzurro lo vidi! Da quei moli, quante navi sono salpate negli anni trasportando destini quante vite sono state traslate! I distacchi, le partenze forzate la malinconia di chi rimane, la nostalgia che addentella il cuore di chi va lontano, per ressa di ricordi, addosso mi ripiombano come una grandinata improvvisa! È vero, sulla collina, tra i quartieri buoni, là dove affacciandoti a un balcone il pino ripiantato, i panfili e uno scenario disegnato su un lenzuolo di mare si mostrano, tutto diverso e trasformato t'appare. Ma ciò appaga l'occhio e non il cuore: la bassura dove si affonda conosce l'indifferenza che viene dall'alto! Vorresti le cose diverse, una chiarìa che non fosse mero vaneggio; vorresti la gente tutta felice e che sotto il bistro e il belletto, sotto il sudore e lo sconforto tutti i sogni fossero uguali! Oh i guasti antichi del mondo, la pena che il cuore distilla e amara s'affolta nel tempo che fugge senza rinascimenti.
Nessuno mi chiama nessuno mi aspetta nessuno mi ascolta: ogni sponda è deserta e deluso io vi guardo. Solo sono io, ripa arsa solo come i viali dei cimiteri nei meriggi assolati; solo come le cime innevate che riverberano di lontano al venire del giorno; solo come petraia di fiume che da millenni abbia perso le sue acque; solo più del passero solitario del recanatese che in primis ammirai. Morto, già mi riconosco... Io sono la zolla tutta asseccata a cui pioggia non ridarà mai più vita e che aspetta di essere interrata; nessuna altro risvolto sospiro all'impigrire del giorno che rintomba. Non ti avvicinare illusione! Dileguati, perderesti il tuo tempo non potrei battere al tuo ritmo l'anima chiusa non ti apre se vi bussi: nel vuoto sono da tanto svanito corporeo fantasma, indarno mi attardo per un mondo che mi ignora! Brezza d'amor più non dubito che possa increspare cuore solo fattosi pozzanghera d'acqua morta.
Vaneggiando spirati eventi, da voi, maritata e madre di più figli, folle evaso da una cella di sogni incanutito odisseo infelice ritorno! Orsù, non me ne vogliate se per una volta, irriconoscibile, emerso da una voragine di tempo, infrangerò la ferrea legge che disciplina le nostre separate esistenze, se inquirente estorcerò nuove o vecchie verità sui vostri giorni, la confessione con cui, compunta e a malincuore, ammetterete arrossendo che qualcosa di me in voi pur sia sopravvissuto; che talvolta, al viver di un ricordo, il cuore in segreto riattizzato, e a mia insaputa, abbia poi tremato. Il tempo dell'assenza, ove regna fatale il silenzio, è senza fine: non posso percorrerlo fino in fondo e negarmi di renderlo sonoro! Lasciate che qualche facella, un lustro io strappi al buio che mi accompagna in queste orripilanti lande disseminate di carcasse interiori e spenti accadimenti. Sullo spartito del cuore orchestrale, sapete, le note d'amor che innamorata appuntaste, sopravvivono indelebili: fughe di attimi felici risuonano nella casa delle mie risonanze e vibrante il cuore vi si riaccorda. Pur se amor continuerà, chissà per qual arcano prodigio, a fruttificare tra sabbie e pietraie e all'arsura del mio deserto negata sarà ogni fonte che la calmi, non temete: remissivo obbedirò come predestinato alla mia sorte, ma ingenerosa non privatemi di una intenerita parola, dell'illusione di aver rubato un luccichio dai vostri occhi. Incurabile, mi riprenderà la nostalgia tra le sue braccia; baccello vuoto ritornerò ad essiccare al sole; mi condurrà la morte un giorno tra plaghe di ammortate presenze. Dalle strade da voi percorse, caduti fitti fiocchi d'oblio si cancellerà il tangibile segno di ogni mia traccia; acquietata, per altri abbrivi e senza indugio riprenderete il cammin vostro archiviando l'infausto verdetto emesso dal tribunale del cuore per un errore d'amore: errore da voi perpetrato, e da me, condannato, nell'ombra sofferto. Forse un giorno, in un vicolo, o sulla collina dove ci avvampò un bacio, o in un bosco, sotto un pino seduto, tra pause di vento, guardando aghi cadere, ancora, a voi perduta, come flutto alla riva, improvviso andrà il pensiero ed esclamerò un nome, un nome (il vostro nome!) che per apòcope diventa rosa e da anni mi ricorda la pena alla sepoltura di un sogno.
Asseconda i capricci del vento la foglia superstite sul ramo brullo trai i campi o sui muriccioli nessun fiore riceve raggi di sole da un cielo biavo e trasparente. Mite letargo di natura: un pieni nulla par avvenire spoglia la vita nega i suoi sorrisi l'animo, triste fatto, reclina il capo. S'aprirà un valico alla floridezza e tornerà il colore delle selve irromperà il getto di una linfa ansia di verdeggiare siepi e alberi domani auspichiamo. Oh quante volte si muore e si risorge secca e straripa amore tacciono e borbottano le voci dei lontani fiumi! Aspettiamo senza impazienza un sortilegio, diamo più credito alla speranza, accoriamoci alla persuasiva voce che ci intima di attendere e scaccia dal sangue la precognizione della morte. Cuore strepita! Dubbioso non attendere per risalire un palpito, abbozza spiragli: un giorno, nell'euforia di un cambiamento, sorpresi, risorgeremo senza dolore tra urli di vita e ritinteggiate illusioni.
Cu 'e penziere mieje senza arrepuoso miezzo all'ate i' cammino. Pe' nu me fa scuprì cupo e appucundruto ogne mumento me travesto e fingo nu surriso. Nisciuno sape ca si dinto so' amariggiato e 'a fore pare ca rire nun è pecché 'o tiempo passa e 'a morte s'avvicina ma è pecché l'ammore aggiù perduto e suppurtà chesto, n'omme, nun 'o po'! Ah quanta senghe s'arapeno ogni juorno e pe' l'anema po' trase nu male scuro! Vulisse caccià l'ogne e te difendere 'a nu nemico ca nun cunusce, 'a nu nemico ca nun te guarde dint'a faccia! E si 'e tutto chesto a quaccheruno parlasso? Ma chi me desse aurienzo! Chi po' sentì 'o rummore forte e cupo e na vita sulagna ca scarrupa! Ah putè ncuntrà na femmena e ce dicere: - Facite assaggià n'ata goccia d'ammore, truvà nu poco 'e luce dint'a l'uocchie vuoste a chi cchiù niente s'aspetta; a st'ommo ca cchiù niente le resta regalatelo si putite na vrenzula 'e speranza! E sì, pe' te rassignà a na vita senz'ammore nun aviss'a tenè core e i' 'o tengo .. 'o tengo 'o core!
'A do pruvene stu lebèccio ca friddo spira e chiacchiareja 'o pentone 'e sti vie sulitarie? Arraggiato e nzisto, appriesso se porta tutto chello ca trova, p' 'e senche trase d'int'e vasce, fronne secche e carte abbandunate sorchia e sperde pe' l'aria. Arrecietto nun trovano chiantulelle appena chiantato, 'e rammere tremmulejano scujetate, d ' 'a albere scippa fronne a palate. Luntano addò sta 'o mare l'onne se fanno argentate, cu nu rummore cupo e surdo, arrivate ncopp'e scoglie, spumma e schizzi a cchiù nun dico menano p' 'e l'aria. Viento fatto lièggio, nun frangere sti barche spaventate, srareca 'a paura 'a dint'o core d ' 'a gente miezz 'o mare! Ferma stu scioscia scioscia ca capricciuso nun dà pace, abbrucato e senza ammuine cunzegnato a 'o Pataterno ca cchisà d ' 'a dò t'ha mannato! Oje viento, cchiù nun te sento.. Addò ti si annacuso? Tutto mo s'è accujetato! Overo 'e perso 'o sciato? E allora statto buono scrianzato, ce sentimmo n'ata jurnata!