Veleggio come un'ombra nel sonno del giorno e senza sapere mi riconosco come tanti schierata su un altare per essere mangiata da chissà chi. Io penso che l'inferno sia illuminato di queste stesse strane lampadine. Vogliono cibarsi della mia pena perché la loro forse non s'addormenta mai.
Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso sei un granello di colpa anche agli occhi di Dio malgrado le tue sante guerre per l'emancipazione. Spaccarono la tua bellezza e rimane uno scheletro d'amore che però grida ancora vendetta e soltanto tu riesci ancora a piangere, poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli, poi ti volti e non sai ancora dire e taci meravigliata e allora diventi grande come la terra.
Bella ridente e giovane con il tuo ventre scoperto, e una medaglia d'oro sull'ombelico, mi dici che fai l'amore ogni giorno e sei felice e io penso che il tuo ventre è vergine mentre il mio è un groviglio di vipere che voi chiamate poesia ed è soltanto tutto l'amore che non ho avuto vedendoti io ho maledetto la sorte di essere un poeta.
Se la mia poesia mi abbandonasse come polvere o vento, se io non potessi più cantare, come polvere o vento, io cadrei a terra sconfitta trafitta forse come la farfalla e in cerca della polvere d'oro morirei sopra una lampadina accesa, se la mia poesia non fosse come una gruccia che tiene su uno scheletro tremante, cadrei a terra come un cadavere che l'amore ha sconfitto.
Se ti dicessi che ti amo direi una infame bestemmia perché i fratelli non si amano mai eppure è vero; nel fuoco dell'arte abbiamo un amore in comune, questo non posso dimenticarlo e dirti ti amo per un poeta assume un significato diverso dal volgere umano delle cose. Amo i tuoi orizzonti impossibili la tua coscienza perfetta il tuo volgere ad ogni stagione, la tua pennellata distratta la tua fiducia in te, che è in fondo l'umiltà di Cristo che pure era figlio del Padre.
Non è che dalle cuspidi amorose crescano i mutamenti della carne, Milano benedetta Donna altera e sanguigna con due mammelle amorose pronte a sfamare i popoli del mondo, Milano dagli irti colli che ha veduto qui crescere il mio amore che ora è defunto. Milano dai vorticosi pensieri dove le mille allegrie muoiono piangenti sul Naviglio.
C'è un giardino chiaro, fra mura basse, di erba secca e di luce, che cuoce adagio la sua terra. È una luce che sa di mare. Tu respiri quell'erba. Tocchi i capelli e ne scuoti il ricordo. Ho veduto cadere molti frutti, dolci, su un'erba che so, con un tonfo. Così trasalisci tu pure al sussulto del sangue. Tu muovi il capo come intorno accadesse un prodigio d'aria e il prodigio sei tu. C'è un sapore uguale nei tuoi occhi e nel caldo ricordo. Ascolti. La parole che ascolti ti toccano appena. Hai nel viso calmo un pensiero chiaro che ti finge alle spalle la luce del mare. Hai nel viso un silenzio che preme il cuore con un tonfo, e ne stilla una pena antica come il succo dei frutti caduti allora.
Tocco forte e deciso di mani; lenti massaggi sulla pelle, che presto diventa ardente. "Fammi sognare!" Mi stringi, fino a farmi confondere col profumo di te. Bocca che conosce, che brucia, che assaggia. Gusto di ciliegie mature. Cerniera che stride. Schegge di passione, colpiscono in pieno. Tutta la notte, senza stancarsi. Sospiri intrecciati, a formare una fune, unica via di scampo da questa prigione. Vibrazione dei sensi. Ruggito dei corpi. Ci sbraniamo d'Amore, come belve feroci. E mi guardi, mentre lentamente... scivoli in me. Ora... non ci distinguiamo più.