Le migliori poesie inserite da Nello Maruca

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Scritta da: Nello Maruca

Il destino

O che sorriso sia oppure lagna
L'ineluttabile destino t'accompagna
Così come legge Suprema ha stabilito
Finché il corso di vita sarà finito.

Deciso è sin dall'attimo vitale
Quale d'ognuno sarà il percorso reale;
potere sovrumano l'ha stabilito
e mutamento non si avrà all'infinito.

Per quanto ci si maceri e dimeni
Nulla si cambia l'oggi né il domani;
nessuno mutarne mai potrà il corso
ch'ogn'essere conficcato l'ha nel dorso-
Così ha deciso il Re, per suo volere,
Colui che tiene in mano ogni potere.
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    Scritta da: Nello Maruca

    Luce

    Raggio di sole apparso è in firmamento
    ch'illumina ogni ambiente circostante
    mentre calore inietta ogni momento
    in cuore di chi resta suo amante.

    Il raggio ch'è apparso è imponente
    poiché coronamento d'amor grande
    in gesti e in movenza aitante,
    intorno armonia, qual capinera spande.

    Sì, qual persona il nome è grande
    che in Pietro da Gesù fu trasmutato,
    dall'une a benedire fu, all'altre sponde
    canco di guarigione decision fu dato.

    Indi, Simone pescatore è Pietro
    ch'assecondar divino deve disegno
    e della Chiesa è sesquipedale Pietra
    Perciò esser Simone per tutti è sogno.
    Composta martedì 5 giugno 2001
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      Scritta da: Nello Maruca

      Fanciulla

      Par voglia entrare tu pria ancora
      che scocchi l'ora al tempo dell'amore,
      d'esso a scoprire passione e ardore
      lasciando primeggiar l'ingenuo core.

      Alla tua etate, bambola, son sogni
      ch'anno parvenza di sincero affetto
      ma spine, tosto, sono, poi, in petto
      avverso sentimento nobile ch'agogni...

      Fermati pria che tardi ancor poi sia,
      non dare sferza a tempo che già corre,
      sii pulit'acqua che a ruscello scorre
      lenta, cristallina: tale tua puerizia sia.

      Non si può dire a notte: Corri ch'io giorno
      rivoglio che risposta sola essa darebbe:
      Colui che pria mi fece e poi mi crebbe
      lo tempo dell'andar ridona a torno.

      L'acqua che scorre da montagna a mare
      spumeggiando serpeggia infra pietrame
      e sponde e, se corso ha deviato infame,
      dritta prosegue e va, comunque, in mare.

      Fanciulla, indi, da retta via non deviare
      che pur se cammino par più lungo e storto
      è, invece, il più diritto e lo più corto
      e consente al proseguir lo dolce andare.

      Non precorrere il tempo, lascia che passi.
      Parti ch'è fermo ma corre a lunghi passi.
      Verrà lo giorno che aprirai lo core
      per consacrarlo al tuo unico amore.

      Saltando, fanciulla, non si tocca luna
      e nelle lande perisce bionda e bruna...
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        Scritta da: Nello Maruca

        La desolazione

        Pregno di gaiezza ai dì di fanciullezza
        Ti ricordo, ancora gaio nella giovinezza.
        Ti rivedo, da adulto, in contentezza
        Ti ritrovo e io maturo in allegrezza

        Sei. Fece l'ingresso, poi, lo sfollamento
        E la migrazione divenne grand'evento
        Come deflusso in grande scorrimento,
        presto, indi, rimanesti in isolamento.

        Eri un paesino, mia cara Falerna,
        da dolce espressione e sorridente
        ma poiché, ahimè, nulla cosa è eterna
        divenisti, pure tu, debole e perdente.

        Ti sorrideva il mar Tirreno in faccia
        E ancor'oggi, tuttora, ti sorride.
        Allora sul terrazzo era gente all'affaccio
        Ora qualche vecchio che i tuoi fulgori vide.
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          Scritta da: Nello Maruca

          La chiesetta

          Se prima c'era solo una Madonna *
          Uno stipo, un messale e un altare,
          una finestra a mò di campanile
          senza né scala, senza né colonna
          or t'assicuro, Letterato altero **
          molte di cose ha la chiesa, invero.

          Da Eccellenza, il Vescovo in persona
          Fu consacrata il dì otto dicembre
          e affidata al popolo votato
          Rappresentato dall'uomo fidato
          Che sono certo, per innato istinto
          Non abbandona caso, pria ch'estinto.

          Indi gli spettri Catroppa e Pantano
          Dalla chiesetta, ormai, restan lontano
          Che il loco sacrato è ai cristiani
          e nei dintorni mai più saran villani.
          Né il demone potrà fare più presa
          Giacché il devoto con Gesù ha intesa.

          Presto il suono s'udrà della campana
          Che dal colle eco farà al monte e al piano.
          Presto saranno i fari illuminati
          Cosi come volevi Tu e gl'antenati.
          Ancora il vento grida e si lamenta
          Ma in Chiesa troneggia la sua Santa
          Che benedice noi, ogni momento
          e i caduti del Sacro Monumento.
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            Scritta da: Nello Maruca

            L'opportunità della vita

            L'Onnipossente, immenso Creatore,
            l'Iddio che dell'Universo è fondatore,
            che dal nulla formò cielo, terra e mare
            che se odiato sa soltanto amare
            onde lo sacrificio del Figliol non fosse vano
            all'uomo crudele volle stendere la mano.
            Decise, quindi, di donare due calle;
            l'una che scende liscia verso valle
            l'altra di rovi cosparsa, macigni e sassi
            che difficoltoso è muovere i passi.
            La prima mena dritta al fuoco eterno
            Perché percorsa dal male dell'inferno;
            la seconda stretta, cosparsa di pece
            porta alla carità, la luce e pace.

            L'una a misura di cattivi e stolti
            l'altra pei buoni, di carità avvolti.
            Queste le opportunità che Dio ha dato;
            a noi andare a destra o a manco lato.
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              Scritta da: Nello Maruca

              I

              Era d'avvento, nasce prematuro.
              Il padre da poco, per sempre, taccio
              lui, poverino, ignaro del futuro,
              fredda la casa che pareva ghiaccio.

              Pur di giorno tutto pareva scuro
              poiché il demone preso aveva al laccio
              colui che teneva fermo e sicuro
              timone di dimora a forte braccio.

              Così inizia il percorso il pargoletto
              tra per lui gioia e per papà tormento
              pria ancor che bocca s'accostasse al petto

              della nutrice che distesa a letto,
              affranta, pensava al poco alimento
              che il pargolo avrebbe sotto quel tetto.
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                Scritta da: Nello Maruca

                La consapevolezza

                Allorquando lo corpo di vigore iva
                percorso e mai mancar sentii le forze
                in esso, la morte mi parea solo
                uno scherzo e ne facea, perciò, fonte
                di scherno e ci ridevo e di battute
                tante ne facevo. Or che lo corpo
                è debole e floscio e alla vecchiezza
                s'è incamminato essa m'appare
                qualcosa di possente che pria del corpo
                schiacciami la mente. Ora la temo,
                più che temer la tremo, e ogni dì
                ver me venir la vedo. S'avanza
                e non s'arresta neppur per un momento
                brandendo negli artigli falce tagliente.
                Paura di guardarla in faccia tengo,
                la scarna sua figura m'appare mostro
                e a ogni passo più mi dà tremore.
                Vorrei poter sparire, nuvola divenire
                Per dare pace alla mia spaurita mente
                E allontanarla dal tremor di morte
                E riportarla ai gioiosi dì di giovinezza
                quando al rimembrare di cotanto mostro
                scherzavo e ridevo di gaiezza.
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                  Scritta da: Nello Maruca

                  La prece

                  Quando il dispero l'alma avea invaso
                  dell'ineluttabilità già persuaso
                  un pensier fosco insinuò la mente
                  e del cervello ne fu preminente
                  per quel qualcosa che portommi via
                  nella certezza ch'essere più non sia.
                  Altro non era ragionar diverso
                  ch'ogni pensier gentile era disperso.

                  Prostato, un giorno, mi apprestai al Divino
                  e grazia domandai pel mio destino,
                  lo feci con fiducia mai avuta
                  a Colui che sollievo dona, ama ed aiuta.
                  Di naufrago che a tavol'aggrappato
                  da fort'ondate a lungo sballottato
                  che già fiducia tutta avea perduto
                  e in quel relitto ebbe un fort'aiuto.

                  Io aggrappommi all'Essere Supremo
                  che della barca tiene timone e remo,
                  pace Gli domandai con la mia prece
                  e nella prece riedemi la perduta pace.
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                    Scritta da: Nello Maruca

                    Il camposanto

                    Coperto d'un lenzuolo di bianco lino
                    Mi ritrovai disteso sotto un pino.
                    Il luogo mi pareva squallido e nero
                    E il tutto m'appariva un gran mistero.
                    Strani rumori, fruscii, non voci né lamenti,
                    non alcuno presente, non erano viventi
                    ma com'infiniti oceani pianeggianti
                    solo lanterne fievoli e tremanti.
                    Forte pulsavami lo core dentro al petto,
                    sparire avrei voluto ma restai interdetto
                    di freddo tremando e di paura
                    mentre la mente si volgea a sciagura.
                    Sussultando, stordito e impaurito
                    Mi rigirai un poco e guardai indietro
                    Da dove mi parea giungessero suoni
                    D'inestricabili voci e di scarponi.
                    Con lenta cadenza e andatura austera
                    Avanzavano ver me, in veste nera,
                    con in mano una un bastone dorato,
                    l'altra, sul braccio, un pastrano ornato
                    due alte figure di nobile casato
                    con lo stemma sul petto disegnato.
                    M'apprestai ad un inchino riverente
                    Ma lor giraro tosto lato ponente.
                    Consolato di sì tanta presenza
                    Stanco, sedetti sopra una sporgenza
                    Ch'avea pensato essere un muretto
                    Invece, ahimè, trattavasi d'un ometto.
                    Con tanto spazio che ti trovi intorno
                    Non mi par vero che non senti scorno
                    D'appollaiarti sul mio teschio scarno
                    Come su ceppo di pietra di marmo.
                    Giammai avrei osato così tanto
                    Se non avessi pensato lungi alquanto
                    Essere tu prossimo a un vivente
                    In questo campo ove l'umano è assente.
                    E, poiché la mente mia è allo sbaraglio
                    Vogliami perdonare per lo sbaglio,
                    per non avere in tempo conosciuto
                    chi come me, in terra, era pasciuto.
                    Mi girai, una grande distesa di viole,
                    lui squagliato come neve al sole.
                    Poggiai la mano sopra una casupola,
                    caddi su un prato coltivato a rucola.
                    Tre cagnolini dal pezzato pelo
                    Guaivano tremanti intorno a un palo
                    Mentre due donne dal vestito nero
                    Avanzavano ver me a passo leggero.
                    Dovere di cortesia m'imponeva inchino
                    Ma già rivolte altrove, dietro un pino,
                    Ignoravano lo saluto e a passo lesto,
                    a testa china e con fare mesto
                    giravano attorno un grande casolare
                    dove erano più cani ad abbaiare.
                    Per chetare la morsa della fame
                    Seppur in pantofole e pigiama,
                    l'abbaiare dei cani l'un l'altr'ostile
                    tosto mi portarono in cortile
                    ché l'alba da tre ore era già sorta
                    e i poveracci non avean più scorta.
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