Le migliori poesie inserite da Nello Maruca

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Scritta da: Nello Maruca

Il mare

Distesa immensa d'azzurr'acque
che l'uman'occhio non discerne fine
ché al ciel che sovrasta non trova confine
mai duoma d'uomo, ch'anzi sempre soggiacque
a tua possanza, mano divin ti mena
ch'innalza l'onde e infrange sulla rena,
con fragor le riporta nel tuo seno
e, come se grembo fosse troppo pieno

le confonde, le avvolge, le sparpaglia,
le compatta, le invola come vento paglia,
con vigor le rigetta sulla spiaggia
e tutt'intorno è nugolo di pioggia.
Di superficie pianeggiante e liscia
come prat'erboso dove capra pasce
ricca nel fondo di mollusco e pesce
custode, pure, di crostaceo e bisce.

Abitatori, nel ventre, mostri marini
culli come in seno mamma bambini.
Li trasporti dall'uno all'altro lido
pari rondine verme al proprio nido.
Prodiga nel dare gioia e contento
rallegri umanità piccola e grande;
l'onde sen vanno al ritmo del vento
ponendo a spiaggia altalenanti fronde

divelte d'intemperia alle madri piante.
Al pari delle gioie che son tante
di dispiaceri l'umanitade inondi
e quelle ch'eran pria carezzevol'onde
brute divengono in un sol'istante,
né suppliche odon, mai, né lamenti,
né grida le scuotono e nemmeno pianti,
seminano lutti senz'alcun compianto.

Nessuno su di esse ebbe mai vanto.
Mare! Del Globo in ogni terra vivi,
i fiumi tutti raccogli e in grembo
porti e sempre stesse emozion rivivi
sia che balena carezzi o pesce rombo.
Mare possente! Che le fort'onde, sulla
spiaggia, schiumeggianti abbatti;
mai cosa al mondo, niuno e nulla

osato pensare han mai che ti combatti.
Spengi perfino gl'incendiari razzi
che repentinamente annienti e abissi.
Mai tema avesti d'uomini e di mezzi
contro ogni cosa e ognuno segni successi.
Or burrascoso sei ed ora quieto,
ora nervoso appari ed or disteso
e i pesci pasci senz'alcun divieto,

natanti porti di gran mole e peso.
L'orca gestisci dal vorace istinto
com'anco l'alice a cattiveria non usa.
Alla Sirena dal divino canto
tua porta, da sempre, lasci schiusa.
Bellezza tant'è in te, mare divino!
Somiglia il tuo splendore a bel giardino.
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    Scritta da: Nello Maruca
    Sentivo dir di te, Padre, che c'eri
    a mamma che a Maria ardeva ceri,
    sentivo dir che stavi in lontan loco
    quando raccolti s'era accanto al fuoco.
    Parlar sentivo d'Africa Orientale:
    Speriamo, si pregava, ritorni per Natale.
    Mamma in ginocchio: a Dio, tua volontà,
    fa che torni a questi bimbi il lor papà.

    Fa che ritorni a noi il gran tesoro:
    Così, faceanci cantare tutti in coro,
    fa che ritorni a noi il dolce amore
    che qui l'aspetta il pezzo del suo cuore.
    Io non sapevo l'Africa che fosse
    né capivo papà che dir volesse,
    ma un giorno don Arlia* nell'Omelia
    disse esser figlio alla Vergine Maria.

    Indi la mamma che m'avea per mano
    spiegommi che un papà l'ha ogni umano.
    Il tuo, mi disse, sta in altra Terra
    dove chiamato è a far la guerra.
    Ma tosto tornerà: Vedrai che bello!
    La casa allieterà come fringuello
    e mi descrisse, poi, la sua bellezza
    e il cuore mio fu colmo d'allegrezza.

    Fu nell'estate del quarantacinque
    che nelle braccia forti sue mi cinse,
    sul volto dipinto avea l'amore,
    forte batteva il piccolo mio cuore.
    Seguirono, ricordo, giorni felici,
    Non tornarono più: Furon fugaci.
    Furono quando la mano sua possente
    davami il senso d'essere saliente.

    Erano tempi duri, era la fame;
    necessitava ricercare il pane.
    Lo facesti, Papà, coi bidoni in mano
    andando dalla casa ancor lontano.
    A cavalcioni stavi ai respingenti
    di quei vagoni merce traballanti
    ché posto non era su miglior convoglio
    per chi non possedeva portafoglio.

    Fosti amico duro ma sincero,
    ti dimostrasti uomo, un uomo vero,
    burbero padre fosti m'affettuoso
    e pur nell'austerità giammai odioso.
    Sotto finzione della noncuranza
    d'amor profondo segno era presenza.
    Lo sguardo torvo, l'animo benevolo
    piccolo sorriso tradiva finto nuvolo.

    Mi torna alla memoria il tuo dispero
    allorquando finir potevo in cimitero.
    Er'avvilito, confuso e desolato:
    Ah! Povero figlio mio, che sfortunato.
    Ma tutto è solo nella mia memoria;
    l'Anima tua s'è alzata in aria
    e il ricordo ch'è nel mio pensiero
    è che di Te, Padre, fui e sono fiero.
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      Scritta da: Nello Maruca

      Il destino

      O che sorriso sia oppure lagna
      L'ineluttabile destino t'accompagna
      Così come legge Suprema ha stabilito
      Finché il corso di vita sarà finito.

      Deciso è sin dall'attimo vitale
      Quale d'ognuno sarà il percorso reale;
      potere sovrumano l'ha stabilito
      e mutamento non si avrà all'infinito.

      Per quanto ci si maceri e dimeni
      Nulla si cambia l'oggi né il domani;
      nessuno mutarne mai potrà il corso
      ch'ogn'essere conficcato l'ha nel dorso-
      Così ha deciso il Re, per suo volere,
      Colui che tiene in mano ogni potere.
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        Scritta da: Nello Maruca

        Il fico

        Ogn'anno al giungere dell'estate afosa
        a noi che al fresco tuo ci si riposa
        fico, che vecchio ti ricordo d'anni assai,
        di frutto dolce non fosti avaro mai.

        Delle cure avute, quasi a dispetto,
        quest'anno di pregiati fichi fai difetto,
        giacché confronto non è coi passat'anni
        di pene mi riempi e tant'affanni.

        Ma ora che ci penso, mi ricordo,
        tutto mi torna in mente or che ti guardo:
        Tu pure l'anno scorso fosti fermo
        e prim'ancora ti mostrasti infermo.

        Qui ti lasciò mio nonno al dipartirsi
        e ancor prima il bisnonno vide aprirsi
        la bella chioma che tale fu per anni
        che, poi, curò mio padre per trent'anni.

        A loro mai donasti alcun cordoglio
        ma a me, che t'accarezzo come figlio,
        dal dispiacere m'hai levato il sonno
        come non mai a padre, nonno e bisnonno.

        Io non ho forza più di tolleranza,
        da me s'è dipartita la pazienza;
        ora m'appari come fossi morto
        perciò toglierti voglio dal mio orto.

        Con quest'arnese ch'è d'acciaio puro
        ti tolgo il fiato con un colpo duro,
        levoti, così, dal mio cospetto
        onde non far mai più alcun dispetto.

        Molto frutto, per te, questo fusto tira
        e nulla feci per muovere la tua ira;
        bene mi comportai sempre finora
        e riconoscoti mio padrone ognora.

        Per te produco, nobile signore,
        nella giornata, fresco, a tutte l'ore,
        dei tuoi bimbi soggiaccio a frusta e grida
        ferma la mano, non renderla omicida.

        La frutta la produco in abbondanza.
        son sempre pronto, in ogni circostanza,
        son sempre qui che sono ad aspettarti
        qual è lo sbaglio, forse il troppo amarti?

        Osi essere sdegnoso ed arrogante?
        Dimentichi che sono alto e importante?
        Tosto ti sfratto dall'orto e dal cospetto
        perché osi mancarmi di rispetto.

        Con questa scura ch'è tagliente
        più di quanto il tuo mordente dente
        ti stendo lesto sulla nuda terra
        giacché osasti dichiararmi guerra.

        No! non toccarmi con quel ferro rozzo;
        se morir debbo fa che sia in un pozzo:
        Mi pare a questa fine esser più degno
        che se pur vecchio, tenero è il mio legno.

        Per l'affanno di padre, nonno e bisnonno
        rimanda la mia fine al prossim'anno;
        fallo pel fresco che ti stai godendo
        e per il frutto ch'ivi oggi gustando.

        Taci! Scampo per te alcun non è,
        schiavo sei, io sono podestà e pure re
        e fermare non posso l'omicida impulso
        finché non t'ho da mia vista espulso.

        Il dolore lasciommi senza fiato
        giacché pugno violento avea sferrato
        alla base del fico, della cui ombra
        affidato avea in sonno le mie membra.
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          Scritta da: Nello Maruca

          II

          Buona tiene la mamma formazione
          Cresciuta, com'è, in casa patriarcale.
          Per l'Onnipossente ha venerazione;
          d'indole docile, cuore regale.

          Pur nel rispetto di Dio ha afflizione
          e, certo non più presente la gioviale
          Costumanza seppur nell'orazione
          Trova sollievo di linfa vitale.

          Cresce il bimbo sano e robustello
          e tra privazioni e qualche stento
          Sopporta la famigliola il suo fardello,

          Indi, il ragazzin ch'è florido e bello
          Raggiunge il suo primo bell'evento.
          E varca di Scuola soglia e cancello.
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            Scritta da: Nello Maruca

            La debolezza paterna

            Allorché l'animo invaso da timori
            e dubbi spezzommi qual fuscello
            lo corpo in due non odi, non rancori
            nulla tenevo e nessun fardello
            poiché la volontà s'era dissolta
            e latitante qual fuggiasco ai boschi
            iva veloce in cupa nebbia avvolta
            pensieri abbandonando buoni e loschi.

            Intorno ruotano i conosciuti affetti
            d'ognuno m'avvidi la profond'amarezza
            impressa al volto qual medaglia ai petti
            per repente paterna debolezza.
            Mi scossi allora e superai l'umana
            incertezza rizzando il corpo, l'anima
            svegliando, con piglio fermo e buona
            rinnovata lena, mi fui qual ero prima.

            Di ciascuno cogliendo ogni bisogno
            di giorno in giorno mi fui tanto attento
            quanto che a me pure quel fare parve sogno
            giacché lo pensier mio non fu più spento.
            Quanto saliente fosse lo star me bene
            intesi che nell'altrui sminuivano le pene
            e la tristezza che pria copria i volti
            dissolta fu e prese lieti risvolti.
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              Scritta da: Nello Maruca

              Il trombatore

              Quel saccente "Cacasenno"
              Nella smania di far danno
              Come sempre, pur quest'anno
              Ha imbastito altro inganno.
              Con l'arte del tranello
              Sospinge il "comparello"
              buttarsi all'impazzata
              a tentare la traversata;
              indi assieme a scarpetta
              avvelena la polpetta.
              Acquattato tra le spine
              te, avversario, tiene a mira
              e tra rovi e tra spine
              è con ansia che respira
              Ha puntato, al petto strette,
              tutte quante le doppiette
              pronto a far partir le frecce.

              Se assurgi e siedi in trono,
              a dispetto del "nostromo"
              mi costringi a farti un dono:
              La promessa fò su strada
              della sicula contrada.
              Se sarà tuo il successo
              venir meno non m'è concesso
              di donar quel ch'ò promesso.
              Se, però, ahimè non t'ergi
              e resti fermo e non emergi
              della sicula contrada
              la promessa è ritirata.

              Se assurgi oppur non ergi
              il saccente serpentello * *furbetto
              fuoriesce di cervello.
              Indi sii vigile e lesto
              giacché chiusi i luoghi adatti
              al ricovero dei matti
              altro posto non l'accetta
              e perciò con furia matta
              spranghe impugna e doppietta
              qual suo ultimo rimedio
              a placare rabbia e tedio.
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                Scritta da: Nello Maruca

                Luce

                Raggio di sole apparso è in firmamento
                ch'illumina ogni ambiente circostante
                mentre calore inietta ogni momento
                in cuore di chi resta suo amante.

                Il raggio ch'è apparso è imponente
                poiché coronamento d'amor grande
                in gesti e in movenza aitante,
                intorno armonia, qual capinera spande.

                Sì, qual persona il nome è grande
                che in Pietro da Gesù fu trasmutato,
                dall'une a benedire fu, all'altre sponde
                canco di guarigione decision fu dato.

                Indi, Simone pescatore è Pietro
                ch'assecondar divino deve disegno
                e della Chiesa è sesquipedale Pietra
                Perciò esser Simone per tutti è sogno.
                Composta martedì 5 giugno 2001
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                  Scritta da: Nello Maruca

                  Fanciulla

                  Par voglia entrare tu pria ancora
                  che scocchi l'ora al tempo dell'amore,
                  d'esso a scoprire passione e ardore
                  lasciando primeggiar l'ingenuo core.

                  Alla tua etate, bambola, son sogni
                  ch'anno parvenza di sincero affetto
                  ma spine, tosto, sono, poi, in petto
                  avverso sentimento nobile ch'agogni...

                  Fermati pria che tardi ancor poi sia,
                  non dare sferza a tempo che già corre,
                  sii pulit'acqua che a ruscello scorre
                  lenta, cristallina: tale tua puerizia sia.

                  Non si può dire a notte: Corri ch'io giorno
                  rivoglio che risposta sola essa darebbe:
                  Colui che pria mi fece e poi mi crebbe
                  lo tempo dell'andar ridona a torno.

                  L'acqua che scorre da montagna a mare
                  spumeggiando serpeggia infra pietrame
                  e sponde e, se corso ha deviato infame,
                  dritta prosegue e va, comunque, in mare.

                  Fanciulla, indi, da retta via non deviare
                  che pur se cammino par più lungo e storto
                  è, invece, il più diritto e lo più corto
                  e consente al proseguir lo dolce andare.

                  Non precorrere il tempo, lascia che passi.
                  Parti ch'è fermo ma corre a lunghi passi.
                  Verrà lo giorno che aprirai lo core
                  per consacrarlo al tuo unico amore.

                  Saltando, fanciulla, non si tocca luna
                  e nelle lande perisce bionda e bruna...
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                    Scritta da: Nello Maruca

                    La chiesetta

                    Se prima c'era solo una Madonna *
                    Uno stipo, un messale e un altare,
                    una finestra a mò di campanile
                    senza né scala, senza né colonna
                    or t'assicuro, Letterato altero **
                    molte di cose ha la chiesa, invero.

                    Da Eccellenza, il Vescovo in persona
                    Fu consacrata il dì otto dicembre
                    e affidata al popolo votato
                    Rappresentato dall'uomo fidato
                    Che sono certo, per innato istinto
                    Non abbandona caso, pria ch'estinto.

                    Indi gli spettri Catroppa e Pantano
                    Dalla chiesetta, ormai, restan lontano
                    Che il loco sacrato è ai cristiani
                    e nei dintorni mai più saran villani.
                    Né il demone potrà fare più presa
                    Giacché il devoto con Gesù ha intesa.

                    Presto il suono s'udrà della campana
                    Che dal colle eco farà al monte e al piano.
                    Presto saranno i fari illuminati
                    Cosi come volevi Tu e gl'antenati.
                    Ancora il vento grida e si lamenta
                    Ma in Chiesa troneggia la sua Santa
                    Che benedice noi, ogni momento
                    e i caduti del Sacro Monumento.
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