Mai grand'amore per il denaro ebbi tanto che poco e male lo conobbi; m'accorgo, ora, però, che mancando esso nemmanco il necessario t'è concesso. Vero che la felicità non la precetta ma di piaceri, sì, fa grand'incetta. Indifferente gli resta la morte ma dona garanzia di buona sorte. Non assicura, no, la vita eterna ma dona ricchezza ed agio sulla terra. Certo, beato non è chi lo possiede ma il misero ginocchioni, lui in piedi.
Pur quest'anno son disceso per recarti il dono atteso; ma se pensi che son scemo perché ancor mi sforzo e remo t'assicuro: o men capricci o mi chiudo come i ricci. e, ahimè, per te son guai perché sol schiaffi acquisirai. Ma se invece ti correggi Avrai baci e tant'omaggi.
Tanti furo i lupetti che in grembo teneva mamma lupa e al lembo di sua veste ciascuno s'attaccava appresso che amorevolmente allattava. Alla ricerca almeno del minimale, al fine di nutrire la prole frale, lontana dalla tana, in sofferenza il tutto procurava in perseveranza.
Del provveduto tutto ad essi dava e ogni cosa per se trascurava; allo stremo di forze pur ridotta giammai modificava la condotta. Onde impinguare di carne ad essi l'ossa il fisico distruggeva di se stessa; tutt'essi circondando del suo amore ch'ora, per gratitudine, pestano suo coro.
Mentre i lupetti, ora, son forti e belli del lor comportar ne tien gli affanni ché se pur avanti ita è negl'anni pochi di questi i danni, tanti di quelli. Essi or sono grandi, scostanti e arroganti, privi di dolcezza, tolleranza e garbo. Di mamma lupa, dei sacrifici e stenti alcuna memoria più tengono in serbo.
Per questo, poveretta, essa si contrista, la notte sul giaciglio sbuffa, si rigira, pensa quel ch'è stato, chiede a Colui ch'ispira: Iddio, ho tanto amato, perché mi si rattrista? Rivede i cuccioletti che ad essa s'aggrappavano quando scarne le ossa il caldo del suo corpo ognuno ricercava e lei, d'amor di mamma, tutti circondava.
Tutto è finito, ormai, tutto è concluso. Dei stenti e sacrifici tutto è fuso, tutto quel che fece era dovuto e, nulla, rispetto al dato, ha ricevuto. Sperando che i lupetti cambino gesta nei ricordi cheta se ne resta, delusa e sconfortata se ne giace, tornare a pensar quel ch'era le piace.
In quest'attesa ch'è mesta speranza l'è di conforto un essere vivente che sempre è fermo, per amore e usanza e in ogni occasione resta presente. Peccato! Sua natura verso non consente indi, dire non può, solennemente quant'è riconoscente. Il dolce strofinare, l'effusion gioiose lo stanno a dimostrare.
Di pelo biondo chiaro, striato grigio scuro, baffi lunghi e irsuti, pupille verde bruno affetto le dà grande, amor tenero e puro. Micio di razza, in cure supera ognuno.
Per volere del destino ebbe intoppo nel cammino e da molti, tanti anni vive in speme, tormenti e affanni; come erbivoro destriero al galoppo uso e corsa rallentato in galoppare per malore d'ungula afflitto appar mesto, mogio appare e derelitto. Tal si è, desolato e moscio ché mai spiraglio s'aperse all'orizzonte che nel calore sciogliesse il moral floscio e da valle lo proiettasse al desiato monte. Come avviene non sa e forse mai saprà.
Avendo un po' di fede, però, in Dio il cuore gli detta:: Fu sfortuna dell'io.
E fu Giuseppe per quarant'anni ed oltre a far'inchini e salutar dappresso finché trovossi un dì su stessa coltre * accanto colui che prima era cipresso. Parve, indi, con stupore immenso d'avere inchino da sì alto fusto; anchilosato fu, disse: Che penso? No! Cervello mio: Sei vecchio e guasto.
E chiusi gli occhi, ch'era stanco assai, la destra penzoloni giù dal letto s'assopì pian pianino pensando ai guai ed alla vision ch'oggi fu oggetto. Così restossi: Tempo quanto nol seppe ma parvegli poi da tocco essere scosso mentre affettuosamente: Che fai o Peppe? Sentì stanco quel dire, quanto commosso.
Per i suoi vitrei, da peso oppressi occhi forza non ebbe di guardar chi fosse, chi a voce lo chiamava e piccoli tocchi e debolmente pensava chi esser potesse. Fu il dì di poi, a mattino andato che disteso a letto a lui di presso scorge vetust'uomo, volto emaciato che credere stenta ch'esser sia lo stesso
che per tant'anni ebbe ad inchinarsi. Quello lo guarda e stancamente dice: Ho, qui, nel petto di dolor dei morsi, stanco mi sento e d'essere infelice. Io non pensavo mai, Vossignoria, un giorno di trovarmi accanto a Voi, quest'oggi il cuore mio è in allegria ch'ha la fortuna d'essere con Voi.
Prim'io voglianza avevo di morire che sempre fui più stanco e tribolato sper'ora, invece, manco di guarire ch'accanto Vossignoria sono appagato. Certo! Tu allato sempre sei vissuto e ancorché steso resti consolato. Non me, però, da nobil stirpe nato sempre diverso fui, e non reietto.
Vossignoria restate tale e quale con l'arroganza nelle vostre vene ma l'altezzosità più a nulla vale perché acuisce solo le vostre pene. Da parte mia vi dico: Io vi perdono e mi prosterno a voi per quella gioia che il cuore mio ha ricevuto in dono d'avere accanto a sé vossignoria.
Lo rossore assomiglia ad un bel fiore; se lo coltivi, lo curi e l'hai nel cuore dal gambo alla corolla resta splendore e in ogni ora t'inebria del suo odore. Ma se nol curi, lo strappi e lo calpesti è qual morente dagli occhi spenti e pesti. E se pure lo raccogli tutto quanto mai riavrà la primiera bellezza del suo manto.
Così è l'uomo se decoro mantiene, se saldo lo rossore sempre detiene; ma se perde o oscura la sua faccia è pari al verme che sguazza nella feccia. E qui dire vorrei del topo di fogna che nella melma vive e la vergogna; ed è quell'uomo che col capo chino striscia qual biscia mentre fa l'inchino.
È faccia porcina, aspetto orripilante, nel letto dell'avverso trovasi d'amante e sol per qualche chicco di lenticchia tradisce la famiglia e la sua cerchia. Pezzente! Fare poteva solo l'inserviente ma lo portaro in cima: Ad assistente. E pure se insuperbito dell'alto rango la nostalgia lo rituffò nel fango...
Di limo in limo, ahimè, vaga strisciando ed or questo padrone or quel servendo ansimando ricerca lo caldo d'altro fuoco ma ognuno lo manda altrove: In altro loco. Stolto! Crede di fare dell'inciucio e non s'accorge d'esser nato ciuccio. Cerca di gareggiare con abili cervelli ma è solamente il re degl'asinelli.
Assicurando va d'essere paladino del cittadino e del suo destino. Nemmanco fosse il Grande Napolitano che nel costume è retto, integro, sano. Invece, il vero chiodo ch'ha in mente è rimanere lacché del presidente.