Le migliori poesie inserite da Nello Maruca

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Scritta da: Nello Maruca

Il denaro

Mai grand'amore per il denaro ebbi
tanto che poco e male lo conobbi;
m'accorgo, ora, però, che mancando esso
nemmanco il necessario t'è concesso.
Vero che la felicità non la precetta
ma di piaceri, sì, fa grand'incetta.
Indifferente gli resta la morte
ma dona garanzia di buona sorte.
Non assicura, no, la vita eterna
ma dona ricchezza ed agio sulla terra.
Certo, beato non è chi lo possiede
ma il misero ginocchioni, lui in piedi.
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    Scritta da: Nello Maruca

    La gratitudine

    Tanti furo i lupetti che in grembo
    teneva mamma lupa e al lembo
    di sua veste ciascuno s'attaccava
    appresso che amorevolmente allattava.
    Alla ricerca almeno del minimale,
    al fine di nutrire la prole frale,
    lontana dalla tana, in sofferenza
    il tutto procurava in perseveranza.

    Del provveduto tutto ad essi dava
    e ogni cosa per se trascurava;
    allo stremo di forze pur ridotta
    giammai modificava la condotta.
    Onde impinguare di carne ad essi l'ossa
    il fisico distruggeva di se stessa;
    tutt'essi circondando del suo amore
    ch'ora, per gratitudine, pestano suo coro.

    Mentre i lupetti, ora, son forti e belli
    del lor comportar ne tien gli affanni
    ché se pur avanti ita è negl'anni
    pochi di questi i danni, tanti di quelli.
    Essi or sono grandi, scostanti e arroganti,
    privi di dolcezza, tolleranza e garbo.
    Di mamma lupa, dei sacrifici e stenti
    alcuna memoria più tengono in serbo.

    Per questo, poveretta, essa si contrista,
    la notte sul giaciglio sbuffa, si rigira,
    pensa quel ch'è stato, chiede a Colui ch'ispira:
    Iddio, ho tanto amato, perché mi si rattrista?
    Rivede i cuccioletti che ad essa
    s'aggrappavano quando scarne le ossa
    il caldo del suo corpo ognuno ricercava
    e lei, d'amor di mamma, tutti circondava.

    Tutto è finito, ormai, tutto è concluso.
    Dei stenti e sacrifici tutto è fuso,
    tutto quel che fece era dovuto
    e, nulla, rispetto al dato, ha ricevuto.
    Sperando che i lupetti cambino gesta
    nei ricordi cheta se ne resta,
    delusa e sconfortata se ne giace,
    tornare a pensar quel ch'era le piace.

    In quest'attesa ch'è mesta speranza
    l'è di conforto un essere vivente
    che sempre è fermo, per amore e usanza
    e in ogni occasione resta presente.
    Peccato! Sua natura verso non consente
    indi, dire non può, solennemente
    quant'è riconoscente. Il dolce strofinare,
    l'effusion gioiose lo stanno a dimostrare.

    Di pelo biondo chiaro, striato grigio scuro,
    baffi lunghi e irsuti, pupille verde bruno
    affetto le dà grande, amor tenero e puro.
    Micio di razza, in cure supera ognuno.
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      Scritta da: Nello Maruca

      CXLIV

      Quando la meta già tocca la mano
      qualcosa di contorto allora appare
      bloccando, nel mezzo, il camminare
      e lo percorso vinto rende vano.

      Boccheggiante, giovane francescano
      correndo supera portico e Altare
      e un non so che riesce a balbettare
      a fiato grosso, faccia e occhio strano.

      Passa minuto che par lunga attesa,
      riesce a stento dire suora Brunetta
      caduta monte donna Maria Marchesa.

      Vocio, singultire di donne sfatte
      è il dir sciagura repentina scesa
      su tetto che per l'altrui amor si batte.
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        Scritta da: Nello Maruca

        Il Portento

        Se davvero sei un portento
        E rimani sempre attento
        Restar devi ognor contento
        Pur se storto soffia il vento.

        Se invece, ahimè, t'ammosci
        E l'ardir non riconosci
        E il tuo io, indi, tradisci
        Sol perché non lo capisci

        Caro portento te lo dico:
        La corteccia hai del fico.
        Se t'incunei in questo vico
        Rimarrò comunque amico

        Perché inciso è nel mio cuore:
        tanta stima e fratern'amore.
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          Scritta da: Nello Maruca

          CLXXXI

          Inebetito, steso mi fui cheto
          per nove dì che tutto ardea di foco
          e membra consumommi poco a poco
          e lo pensare al cranio fummi veto.

          Lo cinquettar d'uccello del vigneto
          fecemi intraveder dond'ero il loco
          e a fiato fioco la mia mamma invoco
          ché dal cald'affetto ancora non desueto

          Giovane suora che a mio canto siede,
          flebile e dolce voce sì mi dice:
          Mamma ch'invochi tosto qui riede

          Ch'affiancata dalla madre Badessa
          siede al cospetto di Signora Contessa
          ch'è di colei che ami generatrice.
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            Scritta da: Nello Maruca

            Lo scalognato

            Per volere del destino ebbe intoppo
            nel cammino e da molti, tanti anni
            vive in speme, tormenti e affanni;
            come erbivoro destriero al galoppo
            uso e corsa rallentato in galoppare
            per malore d'ungula afflitto
            appar mesto, mogio appare e derelitto.
            Tal si è, desolato e moscio
            ché mai spiraglio s'aperse all'orizzonte
            che nel calore sciogliesse il moral floscio
            e da valle lo proiettasse al desiato monte.
            Come avviene non sa e forse mai saprà.

            Avendo un po' di fede, però, in Dio
            il cuore gli detta:: Fu sfortuna dell'io.
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              Scritta da: Nello Maruca

              Il cipresso

              E fu Giuseppe per quarant'anni ed oltre
              a far'inchini e salutar dappresso
              finché trovossi un dì su stessa coltre *
              accanto colui che prima era cipresso.
              Parve, indi, con stupore immenso
              d'avere inchino da sì alto fusto;
              anchilosato fu, disse: Che penso?
              No! Cervello mio: Sei vecchio e guasto.

              E chiusi gli occhi, ch'era stanco assai,
              la destra penzoloni giù dal letto
              s'assopì pian pianino pensando ai guai
              ed alla vision ch'oggi fu oggetto.
              Così restossi: Tempo quanto nol seppe
              ma parvegli poi da tocco essere scosso
              mentre affettuosamente: Che fai o Peppe?
              Sentì stanco quel dire, quanto commosso.

              Per i suoi vitrei, da peso oppressi occhi
              forza non ebbe di guardar chi fosse,
              chi a voce lo chiamava e piccoli tocchi
              e debolmente pensava chi esser potesse.
              Fu il dì di poi, a mattino andato
              che disteso a letto a lui di presso
              scorge vetust'uomo, volto emaciato
              che credere stenta ch'esser sia lo stesso

              che per tant'anni ebbe ad inchinarsi.
              Quello lo guarda e stancamente dice:
              Ho, qui, nel petto di dolor dei morsi,
              stanco mi sento e d'essere infelice.
              Io non pensavo mai, Vossignoria,
              un giorno di trovarmi accanto a Voi,
              quest'oggi il cuore mio è in allegria
              ch'ha la fortuna d'essere con Voi.

              Prim'io voglianza avevo di morire
              che sempre fui più stanco e tribolato
              sper'ora, invece, manco di guarire
              ch'accanto Vossignoria sono appagato.
              Certo! Tu allato sempre sei vissuto
              e ancorché steso resti consolato.
              Non me, però, da nobil stirpe nato
              sempre diverso fui, e non reietto.

              Vossignoria restate tale e quale
              con l'arroganza nelle vostre vene
              ma l'altezzosità più a nulla vale
              perché acuisce solo le vostre pene.
              Da parte mia vi dico: Io vi perdono
              e mi prosterno a voi per quella gioia
              che il cuore mio ha ricevuto in dono
              d'avere accanto a sé vossignoria.
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                Scritta da: Nello Maruca

                Lacché

                Lo rossore assomiglia ad un bel fiore;
                se lo coltivi, lo curi e l'hai nel cuore
                dal gambo alla corolla resta splendore
                e in ogni ora t'inebria del suo odore.
                Ma se nol curi, lo strappi e lo calpesti
                è qual morente dagli occhi spenti e pesti.
                E se pure lo raccogli tutto quanto
                mai riavrà la primiera bellezza del suo manto.

                Così è l'uomo se decoro mantiene,
                se saldo lo rossore sempre detiene;
                ma se perde o oscura la sua faccia
                è pari al verme che sguazza nella feccia.
                E qui dire vorrei del topo di fogna
                che nella melma vive e la vergogna;
                ed è quell'uomo che col capo chino
                striscia qual biscia mentre fa l'inchino.

                È faccia porcina, aspetto orripilante,
                nel letto dell'avverso trovasi d'amante
                e sol per qualche chicco di lenticchia
                tradisce la famiglia e la sua cerchia.
                Pezzente! Fare poteva solo l'inserviente
                ma lo portaro in cima: Ad assistente.
                E pure se insuperbito dell'alto rango
                la nostalgia lo rituffò nel fango...

                Di limo in limo, ahimè, vaga strisciando
                ed or questo padrone or quel servendo
                ansimando ricerca lo caldo d'altro fuoco
                ma ognuno lo manda altrove: In altro loco.
                Stolto! Crede di fare dell'inciucio
                e non s'accorge d'esser nato ciuccio.
                Cerca di gareggiare con abili cervelli
                ma è solamente il re degl'asinelli.

                Assicurando va d'essere paladino
                del cittadino e del suo destino.
                Nemmanco fosse il Grande Napolitano
                che nel costume è retto, integro, sano.
                Invece, il vero chiodo ch'ha in mente
                è rimanere lacché del presidente.
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