È già notte, un rintocco: è passata mezzanotte, mi stiracchio e sbadiglio m'alzo lesto pian pianino per non dar risveglio al nido; gongolante odo un coro nell'accosto alla finestra che dal basso del fossato sale in volo e si espande lentamente per le vie del ciel turchino. Sono grilli, son cicale, raganelle o grigi ghiri? Ci sono gufi e pipistrelli o son solo le raganelle?
Se fortemente speri avere ciò che non hai, se con mente vagando vai sinceramente, se desiderio ch'è in te è puro e vero, se il vagheggiar rivolto è a Dio, aspettativa, desiderio tutto s'avvererà; ché questo sogno Dio mai eluderà.
Avevo immenso bene e l'ho perduto, falce crudele passò e l'ha mietuto; venne quel giorno, venne all'improvviso, sulle labbra gli smorzò il bel sorriso.
Era d'autunno, era piovoso il giorno, inerte lo trovai al mio ritorno. Tutto si rabbuiò, fu notte fonda, sommerso fui, come da alta onda.
Nessuno al mondo è bene tanto grande che amor per quanto grande tanto spande non ricchezze vi sono ne tesori che il bene indicato solo sfiori.
Non è somma da dar per questo bene ché il mondo intero non lo contiene, nessuno può pagarlo né acquistarlo può solo averlo chi vuol solo amarlo.
Voi che l'avete ancora, voi fortunati, voi, oggi più di ieri, da esso amati stringetevelo forte sopra al cuore dategli il calore del vostro amore.
È del pianeta terra essere vivente e come nessun'altro è più amante; a nessun figlio mai procura pene, ha nome mamma, quest'immenso bene.
Tu, che rilassato, all'ombra degl'austeri pioppi sprofondato sei in sonno tranquillo e resti steso al loco dei misteri, tornato sei alla terra, suo pupillo.
Tutto scordato hai dacché sei chiuso, tutto scordato hai dacché sei steso; se piove resti là, come recluso, tra cielo e terra resti là, conteso.
Manco ti smuovono i caldi raggi di cocente sole d'estiva calura, né scuotonti li vermi dei paraggi e d'aria t'è ripugna ogni fessura.
Prima che fosti tu, fui così pur'io. Prima che mi partissi stetti lassù, non sai che stare dolce è in quest'oblio: Ah! perché non scendi pure tu quaggiù?
Non devi mai dormire perché già dormi, non devi mai svegliarti, non è risveglio; ten stai disteso sotto i grandi olmi, posto più quieto non esiste e meglio.
Beato te se scendi in quest'anfratto: Il luogo lo dimori senza sosta, nessuno sogna mai di darti sfratto, stai pur tranquillo: Non arriva posta.
Maestri qui non sono né mastri d'ascia, avvocati e notai qui non trovi; chi quivi approda tutto a terra lascia, non sono né alberghi né ritrovi.
Pioggia mai fu e immenso mare giace; tutt'è frastuono ma rumor non senti. Se qui ti stendi resti in grande pace; l'Alme son tante e tutte son'assenti.
Fors'io verrei pure in quella valle ove mi dici che c'è tutto e nulla, lasciando, ahimè, la conosciuta calle per coricarmi in quell'oscura culla.
Ma il dire che tu fai parmi mistero: Nel cranio gira forte l'emisfero, nel petto dice il cuor: Voglio pulsare: Non dire nulla ancor, lasciam'andare
Scendere in tale luogo non mi lice ove ognuno parla e nessun dice, ove tutt'è silenzio e nulla tace, ove frastuono è ma è grande pace.
Il racconto, mi pare d'altro mondo e partorito da mente malata; è come in aria fare il girotondo e la matassa è troppo ingarbugliata.
Tutto il tuo racconto è un enimma che in toto pare solo melodramma: Indi, eternamente restati laggiù ch'io preferisco starmene quassù.
Col nodo in gola, spezzato il cuore, tremante di sconforto e di paura su incerto legno con acque minacciose, turbolenti sferzanti i fianchi esule desolato strascicante va.
Trepidante alfin su sconosciuto suolo approda e pausa che generoso cuore ad esso va.
Or se l'umanità Fosse men cruda E se un poco d'amor Tenesse in cuore Né tu, né io e nessuno Terremmo corpo E anima a digiuno.
Non persona che non l'abbia pronunciata, non persona che non l'abbia ricercata non è persona cui non faccia gola ché né uman né cosa può, se non essa sola donare contentezza e appagamento giacché sol'essa di tanto può far vanto e di quanto più belle essere cose superando la dolcezza delle Muse Per settant'anni io l'ho ricercata E manco un poco d'essa ho mai trovato. Forse è manchevolezza tutta mia O forse vive solo in fantasia.
Fredda era la notte ed innevata e la Pia Donna di bontà infinita di stanchezza e doglianza già stremata Al Redentore del mondo dava vita. Bussò Giuseppe a tutti i casolari Onde dare a Maria caldo giaciglio ma tutti gli occupanti furo avari Disdicendo Chi portava Divin Figlio. Aveva posto solo in una stalla, per letto il fieno d'una mangiatoia, al respiro del bue e l'asinella tenea Maria della maternità la gioia. Lui di tutto il creato possidente luogo migliore per nascere non ebbe, per l'ingordigia dell'umana gente nacque in miseria ed in miseria crebbe. Quel sembiante Umano, ch'era Divino, da Castissima Donna concepito al Dio Grande e Beato era l'affine ma da bieca umanità non fu capito. A Betlemme di Giudea resta la Grotta Che il Vagito Divino prima intese; luogo diviene di retta condotta cui grazia rende il cristiano e rese. Regnava, allora, nella Giudea Erode, uomo protervo, essere triviale d'ognuno paventava tranello e frode, poiché l'istinto suo era carnale. Seppe, dai Magi, di Gesù la nascita che di Giudea predicavano Re, decretò, quindi, togliere la vita agl'innocenti sotto gli anni tre.
Al Puro putativo Padre Giuseppe un Angelo veloce venne in sogno: corri in Egitto, non badare a steppe ch'Erode al Piccoletto porta sdegno. Dell'Angelo a Maria dato l'avviso lasciavano quel luogo benedetto, in braccio Gesù dal casto bel sorriso in cerca d'altro tetto e d'altro letto. Quando l'Onnipotente al sonno eterno gli occhi chiudeva al bruto re regnante fu la Divina Famiglia di ritorno alle mura paterne, alla sua gente. A Nazareth di Galilea con i parenti rimaneva Gesù fino ai trent'anni, per essere battezzato tra le genti incontravasi al Giordano con Giovanni. Sconfiggeva Satana tra i monti; poscia, in testa a moltitudine gaudente cominciava gl'insegnamenti itineranti. Or visitando questa or quella gente. Seguito da Gerusalemme e da Giudea sanava storpi, ciechi ed ammalati; da riva al mar di Cafarnao in Galilea tutti erano accolti, toccati, graziati. Dai guarimenti dati al Suo passaggio la Siria tutta n'ebbe conoscenza; Ovunque dava del Padre il buon messaggio mostrando la grandezza e la Sua scienza.
Moltiplicava i pesci e pure il pane, le acque quietava, comandava i venti, ai tormentati dava le Sue cure, sui mari e sopra i laghi camminava. Nemici farisei, scribi e sinedrio da Giuda, Suo discepolo, tradito ebbe Pilato giudice avversario capo di crudel popolo inferocito. Al posto di Barabba condannato fu crocefisso in mezzo due ladroni; Spirò, il cielo fu squarciato, fu boato, tremò la terra, tremaro i sommi troni. L'esanime Divin Corpo torturato, avvolto nel lenzuolo di bianco lino al suolo della tomba fu adagiato d'uomo devoto, avverso di Caino. Restava il Corpo esanime tre giorni, indi in cielo accanto al Padreterno, in terra, poscia, dai lochi Sempiterni a recare agli Apostoli governo. l'incredulo dei dodici Tommaso le dita nelle piaghe mettere volle, restò, ciò fatto, sgomento ma persuaso, cadde in ginocchio nelle carni imbelle. Ai Discepoli, Gesù, lascia la pace indi s'invola al Divin Palagio e, dal cospetto di Dio, dall'amor verace, guida gli Apostoli al Divin Messaggio.
Aurora che in mezzo siedi rosseggiante poi della bianca alba e pria del luccicante sole che di luce cielo e mondo inonda ma tua luminosità supera e abbonda.
Pria ch'esso compare e cielo di luce sua colori già tuo splendore riluce, ché qual alba a ritroso lo cammino fai e, di splendore prima sei del trino.
Chi già candido origina tra splendore di due e forma di luce e di colore trino, percorso di sua vita è rilucente ché di macchia nell'andar rimane assente.
Posta con l'Alba e il Sole nell'Olimpo al mondo doni luce a tutto campo, d'essa ne resti tutta quant'avvolta e la spandi ogni dì dall'alta Volta.
Ogni mattina allo spuntare del giorno, all'apparire dell'attesa aurora sorgesse il sole o spirasse bora * o ch'estate fosse o piovoso inverno
senz'alcun'indugio al campicello sperando mettere qualcosa nel paniere t'incamminavi per la ricerca giornaliera, con chissà qual'altri pensieri nel cervello:
Quante volte, però' fu la ricerca vana, quante volte il ritorno fu triste e deluso che vuota fu la cerca quotidiana e altro giorno in fame s'è concluso.
Nel desolato teterrimo abituro, sfumata la speranza del mattino tutt'intorno t'appariva ancor più scuro ma la speranza non avea confino.
In quegl'anni di epidemica carestia puranco d'affetti, nonna, fosti scarsa. Povera in tutto, o nonna, io nol capia perciò lo cuore me lo stringe morsa.
Grande, se solo poco avessi riflettuto t'avrei qualche sospiro, forse, lenito. nol feci, più nulla or posso, t'ho perduto! Il rimorso mi rode all'infinito.
Scrive un Nobel che pur stando in punta di piedi mai vide il Signore Iddio passare per le vie. E allora bisognerebbe arrampicarsi in cima al sicomoro per vedere il Signore se mai passi. Di contro, posso dire, inchinandomi umilmente al Grande del novecento, che pur senza sforzarmi di stare in punta di piedi o arrampicarmi sugli alberi l'Onnipotente lo incontro tutti i giorni e in ogni luogo, nelle grandiose opere da Lui compiute e nei miracoli che perpetua, da sempre, ogni giorno.