In un cocente dì d'un assolato agosto Milite, in man di campo fiore e due viole, sotto il vermiglio luccicante sole avanza verso noi a piede lesto.
Veste uniforme chiara, coloniale e casco di sughero di bianco colore. Piange nel rivedere il casolare dopo un'assenza più che quinquennale.
Alla commossa mamma un forte abbraccio, un bacio in fronte, una dolce carezza, Sii serena: finito è il pasticciaccio. Con le robuste braccia mi cinge con gaiezza:
Mai più tristezza: Or qui è il tuo papà. Allegro, non lacrimar: giammai parte papà.
Non si capisce qual ch'è il motivo di quella grinta del porco cattivo; non si capisce, ancor, perché al mattino dimenasi don Lollò al balconcino. Si sa, però, ch'è insofferente nato e il mal ch'addosso porta è una nota ch'à disegnato sulla suina faccia e la stortura ch'à in gambe e braccia.
L'accosto al pirandelliano personaggio non è al mostro nostro un omaggio ma è sol per illustrare la tracotanza di questo don Lollò dell'ignoranza. IL teschio in toto di cervello privo lascia abbondante spazio a corrosivo; La colpa è certo del paterno gene tramatore di male, sdegnator di bene.
Quello, il vero don Lollò, l'intollerante aveva di che dare al confidente ché beni possedea in terre e case e perdere potea danaro, tempo e cose per rimanere agiato, in ogni caso. Quest'altro, storpio, brutto e d'altro stampo cui sola proprietà è l'essere intrigante resta misero, impertinente questuante.
Ricchezza di cose, case e palazzi, abbondanza di roba e di denaro da sempre questo gli uomini cercaro; per questo furo eternamente pazzi.
Per essi cedono affetti, bimbi, ragazzi, calpestano sovente la coscienza, ripudiano la propria figliolanza. Son porci rozzi, luridi e pur sozzi.
Questo e ben altro è la vil ricchezza che in vero è solo squallida miseria in quanto al male volta e a cattiveria; assai lontana d'Egli, àncora di salvezza.
Vera ricchezza è quella che in cuore si tiene, che di spirito è, non materia e all'animo più apporta miglioria e sa donare con ardore amore.
Quest'ultima tu abbia d'abbondanza e a uso dell'altrui mettila in atto, per gli altri l'amor tuo sia loro motto, non sia timor, se in altri discrepanza.
Quell'altra lascia l'abbiano gli avari, miscredenti, ipocriti, triviali. Destino loro è sol bocconi amari ché di lor cattiveria traboccano gli annali.
Tu sei gioiello d'altissimo splendore; restati bella nel tuo bel candore, non offuscare, mai, per l'altrui l'amore, lasciati guidare dal nobile tuo cuore.
Fulgido fiore al pari di violetta Candida più del candor di giglio, profumatissima qual fiore di tiglio; e tant'altre qualità hai pargoletta.
Quanto profumo e qual da giovinetta Custodirai nel tuo diletto petto? Quanti steli piegheranno al tuo cospetto Se già cotanta ricchezza hai piccoletta!?
Se in terra ubertosa è allignato Querciolo che sviluppa dritto e robusto Qual in altro terreno può dirsi arbusto Meglio o al par di quello là maturato?
In fronte a esso ognun s'affloscia E reggere non può al suo cospetto Chè se un arbusto già splendido nasce Già tutte qualità racchiude in petto.
Scarso è lo mio dir per te, o bella Ilenia, perché dire di splendida Stella Non può chiunque a tavolo s'accosta Ma chi ha cervello assai e niente crosta.
La vita che sol triboli mi ha dato, l'amor qual sentimento mi ha insegnato e poiché soltanto in bene essa spendo nato son io per morire cantando.
Sono, pertanto, grato al divin Padre d'avermi dato in uso strada madre, che se anche ho sudato in suo percorso molte di pene ho scosso di sul dorso.
Sono in attesa, ora, dell'ultimo atto, mentre pago canto l'appreso motto: Padre celeste, Iddio dell'Universo fa che Ti giunga, in prece, ogni mio verso.
Quanta tristezza, o Dio, che sofferenza avere tanti fratelli e esserne senza. Forse perché l'umanità non tiene essenza diniego, perciò, d'affetto e indulgenza. Se nell'amor non è la temperanza tosto scompare da mente la pazienza, si spezza il sottil fil della speranza, subentra, indi, rabbia e arroganza. Finché della sincerità c'è la presenza appare tutto favola e romanza; allorquando qualcuno vive d'importanza l'altro fa calare nell'impotenza perciò a mano che quell'altro avanza colui che pria tenea pari uguaglianza cade e finisce presto nell'indigenza. Quell'altro, lo spergiuro, nell'indecenza. Se spiegare si dovesse la causanza di tal caparbia e stupida perseveranza ciascuno direbbe: In me è tolleranza. Altri son privi di buona coscienza ignari di cos'è la fratellanza.
Per più mesi fui protetto tra le mura d'una roccia ma anelavo d'essere stretto con amore tra le tue braccia.
Le pareti lisce e spesse aveano forza di corazza, sol poté la tua tristezza penetrare entro le stesse.
Or con l'uovo che s'è schiuso finalmente son disceso a ridare il perso riso al dolcissimo tuo viso.
Questa notte t'ho sognata, ti ho veduto addolorata per dei scrupoli e rimorsi ai reali fatti inversi.
Dal natante dondolato m'ero un poco appisolato quando in cima a scalinata una scritta illuminata
l'arcano mi ha svelato: Un Arcangelo alato in Cielo era cercato, indi a sé l'ha richiamato.
Era scritto, decretato che l'evento fosse stato. Perciò, il pianto sia sorriso, la tristezza sia allegrezza, il dispero sia speranza e la fine sia l'inizio.
Dal chiarore delle stelle, nella notte fredda e buia nel fetore della stalla s'è calato il Redentore. adagiato sul giaciglio, ricoperto fu di paglia ché quell'era il focolare attizzato dal respiro di quegl'esseri viventi che al peccato erano assenti. Gli era accanto, un po' tremante per stanchezza e di paura, quella Donna mesta e pia che più avanti prende il nome di Santissima Maria. Cereo il volto, stanchi gli arti per cammin di lunga via, aggravata dal gran parto, mal reggevano i suoi occhi ma l'evento era sì grande che le pene poco sentia. Ad un lato, inginocchiato, era in umile preghiera quel brav'uomo falegname che d'averi superava un qualunque alto reame. Era fredda quella notte, era neve a fiocchi a fiocchi, v'era turbinio di vento, era buio tutt'intorno. S'aspettava il nuovo giorno. Una stella rilucente si partì dall'Oriente rischiarando dal gran buio il cammino ai viandanti ch'erano i tre grandi re magi. Da dimora dei lor luoghi carchi ivano d'omaggi alla grotta di Betlemme onde rendere ovazione d'ogni cosa al Creatore che pur piccolo com'era l'universo gli soggiaceva. Cielo e terra, mari e laghi, acqua e vento, monti e piani, neve e nebbia, sole e stelle, luna e buio, grandine e gelo tutto quanto gl'apparteneva. Tutto suo era il creato ma, poi, l'uomo vile e ingrato Tutto quanto gli ha negato. Solo il bue e l'asinello con Giuseppe e con Maria i re Magi e l'Angioletto gli rimasero vicino mentre Erode già pensava come farlo eliminare. Dai re Magi s'aspettava di sapere ove cercare ma dal cielo appare un Angelo ch'altra strada fa lor fare. Ampie ali, vesti bianche dalla Reggia del Divino con un tuffo s'avvicina a Giuseppe che dormiva Messaggero, che il Buon Dio giù spedito avea al Messia e, accosto all'orecchio gli sussurra: Presto, presto per il ben del Pargoletto svelto, giù, salta dal letto, corri via con Gesù e la Santissima Maria. Questo è loco non adatto, questo è loco di misfatto. La Santissima Maria pur se stanca non dormia, indi, stretto tiene in braccio il Figliolo benedetto. Quindi al bue dolce e buono danno in testa una carezza e in fretta dalla stalla menan fuora lo somarello e la Donna benedetta, la Santissima Maria, stretto in braccio il Bambinello, si sistema sulla sella del docile asinello e, intraprendono il cammino per il loro nuovo destino.