Rondinella della prim'aurora che ilo hai piantato nel mio cuore nel tuo altro n'ho fissato con ardore e ancor d'allora, operano ognora. Della stagione fredda al perdurare, * lasciandomi nel nido, solo solo, spiegasti l'ali tue a lungo volo nella speme di presto ritornare.
Volasti sopra burrascosi mari col groppo in gola, lacrimando gl'occhi, poi, a lungo combattesti con allocchi martire innocente di sicari: Cadendo, infine, sotto i colpi inflitti fosti traslata in nido di rapace là dove mai il tuo cuore ha avuto pace e i dolci sentimenti furon reietti.
Rondine rimanesti, però, fida giacché natura tua è dolce e buona, meriti essere posta in una icona ch'amore porti anche a gente infida. Diventi reginetta di nidiata che pigola, ti chiama e tanto t'ama, al contro dell'allocco, lingua di lama, possiedi bontà grande, rinomata.
Di anni ne tocco ora quasi trentotto, tu ne registri appena trentatré, d'allora ne son trascorsi ventitré: Saremmo uniti, senza quel complotto! La divisione nostra è solo carnale ché dentro t'ho nel petto mio trafitto mentr'io mi resto nel tuo petto eretto e l'immensa passione resta totale.
Io t'ho presente il giorno tutt'intero, la notte m'addolcisci col tuo sogno, ti resti giorno e notte nel mio regno come regnante resta nel suo impero. Ricordi il finto nido? Era piccino. Uno n'ho costruito più grandetto onde capienza ha di grande letto nella speranza d'averti un dì vicino.
Al lato n'ho intrecciato uno più bello ch'aspetta d'ospitar tuoi rondinelli ch'anno, ho saputo, toni dolci e belli come il tuo viso delizioso e snello. I quattordici d'anni appena avea toccato quando spedisti il tristo scritto che tutto tengo in mente quell'editto che imposto fu da gente vile e rea.
Ed anelavi del mio certo aita, col pensiero di rondine sincera, speravi che al giunger della sera la trepidazione fosse finita. La missiva, ahimè! Tardi pervenne; ma s'anco giunta fosse immentinente niente potuto avrei, niente e poi niente tant'alte superar eran transenne.
Dopo aver posto copia dentro al cuore l'ho bene in uno scrigno conservata e tutta in mente, tutta l'ho fissata: Ogni parola grida: Amore, amore: Con dolor grande e tanta volontà m'astengo dal venir fino laggiù potrei, la povertà ch'avea or non è più, non licemi, però, darti altra ansietà.
D'amarti, amore, non sarò mai stanco e aspetto sempre che mi vieni a fianco e nella speme vivo del ritorno al fin che cessi questo gran frastorno.
Quando in casa poco c'era Si giocava e si rideva, ora che zeppo è ogni loco né si ride né si gioca. Tutto quanto appare poco e sia il riso sia il giuoco tramutati sono in fuoco. Le bevande e vettovaglie Fan salire altre voglie e niuno è più contento Di benessere cotanto. C'è, perciò, solo lagnanza Per la scelta e l'abbondanza. Sol li nonni e li bisnonni Con gli zii già ottantenni Dirimpetto sono al fuoco Ben contenti di quel poco Chè rammentano che c'era Gran miseria da mane a sera. Ricordano il passato, sanno quanto ch'è costato, sanno quanti patimenti san le pene e i tormenti. E, perciò, quel caldo fuoco Per quanto appar poco Dona loro giovamento e al corpo e alla mente. Ogni tanto un guardo sbieco Come dir: dico e non dico. State attenti, o voi scontenti, Che potreste ai vostri denti Solo offrire un po' di pane, Senza pranzi e scarse cene Come quando per luce c'era La candela di scarna cera.
Quando l'essere umano cullato è del benessere non tien nemico che lo sprezza o ingiuria. Tutti parenti, tutti cortesi amici, e ognun s'affretta a tessere artificioso plauso. Chiunque lo tratta da grande signore ancor più se fosse principe o duca. Largo si fanno insigniti e codardi per rimanere accosti a sua signoria. Se coincidenza vuole che fortuna allenti stretta della sua cintura allora perde quell'uomo amori, grazie ed onori e tutti quei parenti, amici e serventi non uno ne rimane a lui vicino ché veloci si squagliano, volan via, e non più saluti, inchini e reverenze ma maldicenza, perfidia e molta spregiudicata irriverenza.
Solenne, alta s'ergea al centro Torre che d'onore ricopria queste sue terre; era rifugio di sciancati e stracchi, vanto d'ognuno era, giovani e vecchi.
Tutti copriva col paterno manto. Mai turbativa fu, mai fu tormento, non discrimine mai, mai differenza; d'ogni seme traeva buona essenza.
Forte s'udì, per l'aria, grande sussulto: Cadde tra nebbia il gran Gigante avvolto; Tremò la terra, le case furon scosse Piegò la testa, ahimè! E più non resse.
Tra tanti ti scegliesti il miglior frutto, alla famiglia tu levasti tutto, per la sua gente fu immane sorte; perché non ti fermasti o crudel Morte?
Fu il Ciel che mi richiese anima eletta, perciò falciai la troneggiante Vetta; Ma se or lo guardo volgi al firmamento sorrideti una Stella risplendente.
Nelle tristi passeggiate estive solo mi trovo presso quel ruscello laddove era tutto lustro e bello mentr'ora appare sterile e brullo per la tua assenza, mia soave stella, e pure le foglie che son verdi e vive
paiono mosce, penzolanti, smorte. Ti dipartisti e più non ritornasti, provocato in cuore m'hai enormi guasti. Sono certo, non a male lo facesti se dentro tieni quei sentimenti onesti d'allora che amore giurasti fino a morte.
Certo è la sorte che ti tien discosta, non scema, però, la pena dell'abbandono giacché sognato sempre avea in quel dono ch'avere la donna amata spera ognuno; sentirsi gratificato, essere qualcuno d'aver seco l'amata di carezze desta.
D'Epifania, d'incerto sole, in tiepida giornata, giunge la prima Gemma tant'amata. Brillano i suoi occhi per bontà ed amore, di tenerezza mi riempie il cuore. Suo lamento è dolce nota, bel carattere denota.
La seconda, ch'è seconda in tempo, di luce brilla più del firmamento; lunghi capelli, grand'occhi, luminoso viso a giugno mi perviene all'improvviso. Tutto piglia, tira, strilla, tutt'intorno ad ella brilla.
In un febbraio tetro, freddo e gelo la terza, poi, calata m'è dal cielo; di gioia sussultar fa l'alma mia mentre m'appresto a dir l'Ave Maria. Occhio piccolo, lucente, sguardo fermo, intelligente.
Nell'odoroso di fiori e biancospino maggio mi giunge all'improvviso il grand'omaggio di quarta Gemma splendida, lucente che tra le Gemme è Gemma delle Gemme. Tosto pare assai carino, un tantino birichino.
A capodanno la quinta mi compare venuta all'improvviso a illuminare la nera notte di fulmini percossa, di vento e tuoni forti molto scossa. Di furbizia mente fina lesto offre lo spuntino. *
Cinque di Gemme splendide ho nel cuore, ognuna d'inestimabile valore. La vita che pur tanto m'ha deluso in fin sì grandi beni m'ha profuso.
Quando ch'ancora il latte mi donava persi l'aggrappo a lauta mammella di quella nobile figura dolce e bella che sopra al core suo mi dondolava. Un dì per smisurata malasorte in fretta si partì per luminosa via lasciandomi di nettare desiosa alfin di Dio venire a maestose Porte.
Inver con me voleva ella restare ma divin Forza al ciel la fa carpire e a nulla valser lo suo reagire né le suppliche mie per fer voltare. Troppo piccina per attaccarmi a Te, Madre Divina, che se possanza avessi avuto per'amore Tuo, e gl'eccessi pianti, per caritade, mi sarei gaudente.
Qual uccelletto io ancora implume restar volevo nel mio caldo nido ma lo destino tristo quant'infido non volle lì mettessi le mie piume. Pregarti, allora, Madonna, non potevo ché ancor lo cervel mio non connetteva né la mia lingua verbo ancor diceva né di mie gambe passo alcun movevo.
Ma ora che lo cervello s'è ingrandito e lo cuor mio per malor si è spanso e molto a ragionar riesco e penso a questa preghiera l'ascolto Tuo invito: Se darmi non vuoi ancor l'amata mamma perché poss'io toccarla e abbracciarla, se in Cielo vuoi Tu ancora trattenerla privandomi ognora della mia fiamma
fa ch'io giunga almeno ai Tuoi piè santi, fa che alla scala dell'empireo approdi, lascia almeno lì che la mia mamma godi e di sospiri la copri e di miei pianti.