Ah! Se potessi essere non io e al par di Dante mi facesse Iddio dell'Esercito branca tant'onesta con diligenza canterei le gesta. Con mano lesta stilerei lo scritto e, di Te, Grande, narrerei l'editto.
Se, poi, di Giotto avessi mente esperta Tua storia pingerei con mano certa; l'illustrerei su tela ricamata come nessuna mai fu disegnata. A Dio che innalza e abbassa pregherei Onde uguagliare altra mai potrei.
Se del musico Verdi avessi l'estro le lodi canterei da gran maestro: Le canterei al suon di cornamusa e in ciel l'innalzerei, storia diffusa. Dolce all'orecchio il suono giungerebbe Tal che manco melodia d'Angeli terrebbe.
Povero sono, però, in mente e arte perciò ogni velleità metto da parte; il sangue forte pulsa nelle vene sferzando nel cervello forti pene. In minuetto mi muovo in queste righe come formica nel trascinar le spighe. M'accosto, con timore, tremolante a narrare di Te, Uomo importante.
Degno di fede e di vetusto onore il bene altrui alberghi dentro al cuore, da sempre per l'altrui la vita doni: Fedele più dei cani ai lor padroni. Quella divisa nera a strisce rosse vanta conquiste di molte riscosse: La porti con l'orgoglio del gran Fante d'importante battaglia reduce zelante...
Ti volle Emanuele Primo di Sardegna quale tutore d'ordine e di legge; presente sempre dove il male affligge resti al tuo posto fino alla consegna: Rivedo la battaglia di Pastrengo, della Sforzesca e quella di Novara, per questo dentro al cuore mio Ti tengo e la Figura Tua m'è dolce e cara.
In Aspromonte e sul silano monte hai combattuto lotte da valente, avverso i disonesti, per l'ostaggio, reprimesti nel silenzio il brigantaggio. In Libia fosti a conquistar medaglie lasciandoti alle spalle molte Spoglie, nella campagna fosti a Senafè e combattesti in quel di Macallè.
Del sangue Tuo inondasti Podgora e quel Tuo sacrificio vale ancora, mostrandoti al dovere servo ligio rendesti alla Nazione gran servigio. Nei secoli fedele: Qesto il Tuo Motto fedele resti in tal mondo corrotto, lo fai per dedizione al Tuo dovere, degno sei d'ogni stima, carabiniere.
La serenità non è roba palpabile tanto che cosa non è manco visibile, nemmanco è qualcosa d'acquistabile possederla, però, è anche possibile.
Di quel che si ha bast'essere contento; ti basti il dieci, non cercare il cento, non t'irritar se forte soffia il vento mentre la pioggia speravi qual'evento.
Non pensar quel che potea ma che non fu pensa, invece, piuttosto a quel ch'hai tu, non desiare di scala andar sempre più su fermati! Guarda quant'altri a te son giù.
Indi, restando immoto di serenità l'animo t'è pervaso ché sazietà ha per quel che il Ciel gli ha dato e l'essere n'è tutto inebriato.
In croce al posto di essere spergiuro Quei ch'affossar pote mondo sotterra, umil soggiace a man crudel che sferra frusta su corpo gentil, docile e puro.
E tutt'intorno annerisce: È scuro. Assordante boato scote la terra qual più mille cannon tonanti in guerra e squarcio corre per lo cielo oscuro.
Ed Ei spirò, e l'Alma da Suo petto uscio; trema lo Cielo ed è tremor di terra. Centuria tutta è terror.
Centurione, pur ei, ghiaccio da timor destra man porta su gelido petto e per malvagità di pria mostra terror.
Forgiata da Mastro che dei maestri è Mastro di nobili metalli in uno fusi cornice pende, di fiori ricamata. Non di minore pregio nastro la regge che, ad avorio appeso, più regal la rende.
Da sfondo, luminoso come sole, appare un cuore che a caratteri di fuoco ha inciso: Amore. Dal dio Vulcano indelebile la stampa è apposta che alle cure affidata l'ha della dea Vasta
che al focolar dei buoni è attenta e lesta. Nel mezzo, la cornice, un quadro la sovrasta ch'a le immagini di tre racchiuse in una da divinità bendata, detta Fortuna.
Una, grande e possente è la figura che alle altre due profonde dolce cura. Dal petto emette solo dolci suoni; dolce lo sguardo, occhi belli e buoni.
Gentile nel suo far, cortese in tutto grand'albero v'appar cui pende buon frutto, Il frutto coprodotto è dolce e fresco ch'anco il pianto per l'anima è rinfresco.
Altra dolce e buona figura l'accompagna ch'è degnamente degna sua compagna; reso felice ha lui col pregiato frutto, ella è felice mamma e moglie in tutto.
Assai più bello è il quadro quì descritto ma riportar su carta non m'è concesso ché ai soli Grandi ascritto è tal diritto: Sol loro, a cose belle, han riservato accesso.
È già notte, un rintocco: è passata mezzanotte, mi stiracchio e sbadiglio m'alzo lesto pian pianino per non dar risveglio al nido; gongolante odo un coro nell'accosto alla finestra che dal basso del fossato sale in volo e si espande lentamente per le vie del ciel turchino. Sono grilli, son cicale, raganelle o grigi ghiri? Ci sono gufi e pipistrelli o son solo le raganelle?
Se fortemente speri avere ciò che non hai, se con mente vagando vai sinceramente, se desiderio ch'è in te è puro e vero, se il vagheggiar rivolto è a Dio, aspettativa, desiderio tutto s'avvererà; ché questo sogno Dio mai eluderà.
Tu, che rilassato, all'ombra degl'austeri pioppi sprofondato sei in sonno tranquillo e resti steso al loco dei misteri, tornato sei alla terra, suo pupillo.
Tutto scordato hai dacché sei chiuso, tutto scordato hai dacché sei steso; se piove resti là, come recluso, tra cielo e terra resti là, conteso.
Manco ti smuovono i caldi raggi di cocente sole d'estiva calura, né scuotonti li vermi dei paraggi e d'aria t'è ripugna ogni fessura.
Prima che fosti tu, fui così pur'io. Prima che mi partissi stetti lassù, non sai che stare dolce è in quest'oblio: Ah! perché non scendi pure tu quaggiù?
Non devi mai dormire perché già dormi, non devi mai svegliarti, non è risveglio; ten stai disteso sotto i grandi olmi, posto più quieto non esiste e meglio.
Beato te se scendi in quest'anfratto: Il luogo lo dimori senza sosta, nessuno sogna mai di darti sfratto, stai pur tranquillo: Non arriva posta.
Maestri qui non sono né mastri d'ascia, avvocati e notai qui non trovi; chi quivi approda tutto a terra lascia, non sono né alberghi né ritrovi.
Pioggia mai fu e immenso mare giace; tutt'è frastuono ma rumor non senti. Se qui ti stendi resti in grande pace; l'Alme son tante e tutte son'assenti.
Fors'io verrei pure in quella valle ove mi dici che c'è tutto e nulla, lasciando, ahimè, la conosciuta calle per coricarmi in quell'oscura culla.
Ma il dire che tu fai parmi mistero: Nel cranio gira forte l'emisfero, nel petto dice il cuor: Voglio pulsare: Non dire nulla ancor, lasciam'andare
Scendere in tale luogo non mi lice ove ognuno parla e nessun dice, ove tutt'è silenzio e nulla tace, ove frastuono è ma è grande pace.
Il racconto, mi pare d'altro mondo e partorito da mente malata; è come in aria fare il girotondo e la matassa è troppo ingarbugliata.
Tutto il tuo racconto è un enimma che in toto pare solo melodramma: Indi, eternamente restati laggiù ch'io preferisco starmene quassù.
Non persona che non l'abbia pronunciata, non persona che non l'abbia ricercata non è persona cui non faccia gola ché né uman né cosa può, se non essa sola donare contentezza e appagamento giacché sol'essa di tanto può far vanto e di quanto più belle essere cose superando la dolcezza delle Muse Per settant'anni io l'ho ricercata E manco un poco d'essa ho mai trovato. Forse è manchevolezza tutta mia O forse vive solo in fantasia.
Aurora che in mezzo siedi rosseggiante poi della bianca alba e pria del luccicante sole che di luce cielo e mondo inonda ma tua luminosità supera e abbonda.
Pria ch'esso compare e cielo di luce sua colori già tuo splendore riluce, ché qual alba a ritroso lo cammino fai e, di splendore prima sei del trino.
Chi già candido origina tra splendore di due e forma di luce e di colore trino, percorso di sua vita è rilucente ché di macchia nell'andar rimane assente.
Posta con l'Alba e il Sole nell'Olimpo al mondo doni luce a tutto campo, d'essa ne resti tutta quant'avvolta e la spandi ogni dì dall'alta Volta.
O campagna dei miei dolci anni verdi che l'animo m'empisti di bontate per tutte tue amabili qualitate disseminate ne li prati verdi.
Tutto di te mi è caro, dolce campagna! Dal fine olezzo di fragile viola, all'incessante frinire di cicala al raglio d'asino e abbaiar di cagna,
L'odor di biancospino e di mortella frammisto a quel di mosto e uva passa, con quel dall'oro che giammai si cessa e quell'intenso della cedronella.
Lo lieve mormorio di fronde intorno, la quiete a frescura di quercia annosa, il tenue venticel che ognun riposa m'invitano se vado, al lesto torno.
E io mi tornerò alla tua dolce quiete giacché qualvolta che a te m'appresso turbamento ch'ò in cor tosto m'è cesso ché in mente è 'l rimembrar giornate liete.
In te ritrovo del gran Dio la pace cinta d'amenità e Sua fulgente face.