Le migliori poesie inserite da Nello Maruca

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Scritta da: Nello Maruca

La fede

Se il guardo porti in cielo
e vedi Dio,
se lo riporti in terra
e ancor l'incontri,
se spazi sopra al mare
e lì galleggia,
se sul lago lo trovi
e pur sui monti,
se pensi al bruco fuoruscir
dall'uovo, al cambiar
di pelle e divenire
crisalide e poi farfalla,
se il pensier ti ritorna
dalla farfalla all'uovo
e in questa metamorfosi
l'opera Sua immensa
vedi e credi,
se riconosci Egli nel tuo corpo,
se tua fiducia in Egli tu riponi,
se i bisogni tuoi ad Egli esponi
e se confidi in Lui ogni certezza,
se credi che in Egli sol'è salvezza,
se ovunque il guardo giri
e lì lo vedi,
se nel morire credi andargli incontro,
se credi ch'ha poter sui tuoi peccati,
che per essi il Suo Figliolo in croce
ha dato
e che soltanto Lui tutt'ha creato,
se tutto quest'è in te:
Questa è la vera fede, la fede in Dio.
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    Scritta da: Nello Maruca

    L'insegnamento

    Sono allo scorcio, ormai, del mio sentiero
    ma più che mai vivere vorrei tanto
    per ricordare a tutti del tuo pianto
    e mantenere a lungo il tuo pensiero.

    Io a rimuginare lo tengo in testa
    quell'eufemismo che mi desti in pasto
    quando aggiungesti, col tuo fare mesto,
    tace chi tiene perspicacia lesta.

    Pure affermasti che giudizio tiene
    colui che in petto sempre l'ira contiene;
    lo dicesti con fermezza e certezza
    tanto che l'acquisii senza dubbiezza.

    Nel bagaglio d'esperienza l'ho aggiunto
    e, in toto, ha già domato la mia grinta.
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      Scritta da: Nello Maruca

      Qualità del cornuto

      La bontà, è risaputo, qualità
      è del cornuto che quand'anco la sua donna
      trova a letto con l'amico a sfregarsi
      l'ombelico, li osserva desolato
      e per mera umanità, avvilito,
      se ne va..
      Poi credendo che l'amico dipartito
      si sia già, come d'uso d'ogni dì,
      torna a casa al mezzodì; da sull'uscio
      fragoroso ode il riso degl'amanti
      e allora cosa fà? Scoraggiato
      se ne va.
      Attraversa il ponte grande, scende giù,
      verso la valle, si sofferma sulla sponda,
      guarda l'acqua gorgogliante: si lo fò.
      Indi pensa alla sua donna, indietreggia
      di un bel po': Poverina! Non lo fò.
      Ed allora cosa fa? Mogio, mogio
      se ne va.
      La campana dondolante dona l'ora
      della sera, il profumo delle viole
      sta a nunziare la primavera;
      Lui è solo nei suoi pensieri: a quest'ora
      ancor lo trovo? Certo no!, è ora di cena.
      Farfugliando in questo dire verso casa
      s'incammina.
      Mentre il sole cala a ponente
      avanzando lentamente, con il cuore
      palpitante guarda in alto, ahimè
      chi vede? È l'amico alla veranda
      che ridendo sta cenando. Si domanda:
      Mo che fò? Più lontano me ne vo.
      Poi, intanto, la campana dalla vetta
      al campanile lenta batte mezzanotte;
      con in cuore speranze vane fa ritroso
      il suo cammino, alla luce della luna
      della casa ai gradini stancamente
      s'incammina e la chiave nella toppa
      ruota lento, pian pianino e con fare
      quasi furtivo alla camera da letto
      tristemente s'avvicina. La sua donna
      con la guancia è distesa sulla pancia
      dell'amante ch'è d'accanto. Indietreggia,
      va in cucina, un trinciante stringe
      in pugno e s'avventa alla consorte
      e dell'uomo fa stessa sorte. Poi s'accascia
      lentamente e riposa, finalmente.
      Pure questo è risaputo qualità
      è del cornuto. N. Maruca.
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        Scritta da: Nello Maruca

        Randagi

        Fummo perch'eravamo quand'ancor
        erano vitali, focosi e fermi Lor;
        or più non siamo perché saremmo solo
        se confissi rimasti fossimo in suolo
        e fosse in noi presenza vista di Loro
        e nostre ovazioni al Ciel fossero coro;
        contenti ancor vivremmo com'allora,
        quel ch'eravamo allora saremmo ancora.

        Ma più non è e, più mai così potrà
        ch'ognuno disperso s'è dritto sentiero,
        colui che s'accompagna mai vorrà
        che si ritrovi quel sentiero primiero.
        China la fronte a ciò che a lor piace,
        imbelli seguitiamo l'altrui volere,
        ad altra volontà noi si soggiace.
        Non intelletto umano ma sol di fere.
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          Scritta da: Nello Maruca

          Ricordi

          Rosa il tuo nome e rosa eri di viso
          Ricordo, Mamma, il tuo bel sorriso;
          ricordo quell'incedere tuo lesto,
          ricordo radunati i capei a cesto.

          Ricordo gli occhi tuoi castano scuro,
          ricordo del tuo amore sempre puro;
          ricordo il tuo bel mento ovaleggiante
          su quel bel viso splendido, raggiante

          Ricordo, Mamma, quando al casolare,
          raccolti accanto al grande focolare
          raccontavi per noi fatti e romanze
          di principi e duchesse in grandi stanze.

          Principato, ducato e marchesato
          Quante fiabe per noi hai tu inventato!
          Altro dare di più non si poteva:
          in miseria di guerra si viveva.

          Ricordo i tempi degl'oscuramenti,
          i razzi a notte fonda rilucenti,
          ricordo le nottate fredde, io ignudo,
          quando il Tuo corpo a me facea da scudo

          per quei rumori forti ed assordanti
          di velivoli in cielo roteanti.
          Di gran paura si stringeva il core
          ma Tu coprivi tutto col tuo amore.
          .
          Allo scoppio di bombe a noi vicino
          stringevi a Te più forte il corpicino;
          lo facevi così, con tant'ardore,
          che risentirlo lo vorrei a quest'ore.

          E, mi ricordo, Mamma, le speranze
          che in quelle tristi, brutte circostanze
          trasmettevi nel debol cuoricino
          Dell'arrivo di Papà così vicino.

          Lo facevi con sì tanta fermezza
          che dissolvevi in me forte l'ebbrezza
          nella certezza di veder domani
          il Suo bel volto e le Sue grandi mani.

          Or più non sei, dolce mia Mamma
          cara, di Te solo ricordi in alma
          serbo, ricordi che mi servono a pensare,
          ricordi che mi portano a sperare.
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            Scritta da: Nello Maruca

            Lussuria

            Dapprima all'uomo Iddio donò la vita,
            del costato di lui donna formò ardita,
            d'ella ad Adamo regalò il sorriso
            assieme a regale casa in Paradiso.

            Nasce, così, il connubio umano
            ch'essendo buono diventa tosto strano
            tanto che pur di cristianità esser dottrina
            stringi una mano e presto sei in berlina.

            Finché il giorno arrivò del matrimonio
            giammai fu Adamo d'abominio a Dio.
            Sempre fedele fu agl'insegnamenti,
            mai il proibito toccò degl'alimenti.

            Ma quando ch'ebbe con egli la compagna
            lasciossi intenerire da sua lagna;
            a viso bello, in personaggio abietto,
            resistere non seppe, poveretto!

            Onde non essere ad ella in dispiacere
            fece quel ch'era d'ella il suo volere:
            Avido ingurgitò il frutto proibito
            che penzolava dall'albero lì sito.

            Subito preso fu da gran terrore
            e d'incontrare Iddio ebbe timore;
            paura aveva d'essere trovato
            ma fu scovato e lesto fu scacciato.

            Errabondo va l'uomo da quel dì
            per la scomunica ch'addosso gli finì,
            per colpa della donna maledetta
            l'umanità ridotta è alla distretta.

            Beato chi da sol vita conduce
            ché, d'essa a fine, finisce nella Luce.
            Il Maligno da sé ha distanziato
            giacché donna in vita ha mai amato.

            Per quel che sopra è detto, o uomo saggio,
            deserta il tristo tuo retaggio
            e da cattiva lonza stai in lontananza
            poiché lupo la veste perde, non l'usanza.
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              Scritta da: Nello Maruca

              L'insatanassato

              Di Preziosissime pietre adorni, due gioielli
              di platino con arte di divin mano forgiati,
              che mai ad umano concesso fu far sì belli
              ad altro, di men preziosità, furo affiancati.
              Alfin che in scrigno, come in corpo anima,
              li custodisse al par di reliquie di beati
              essi, cui alto valore dato non è far stima,
              ad orafo in cura furono affidati.

              Fu l'orafo, ahimè, turbato dal Maligno
              che con fare suasivo quanto loquace dire
              a distruggere i preziosi del pregiato scrigno
              lo spinge e la ricchezza nel fango fa finire.
              Come voce umana sotto palazzi sgretolati
              miste a pianto e suppliche infinite
              due voci s'alzano a lamenti tormentati,
              per l'azione ricevuta, inorridite.

              Sono le voci di due rondinini ch'assistono
              dolenti al frantumarsi del lor caldo nido
              di Dio, la sua pietà, piangendo implorano:
              Non trasportarci, no! in altro estraneo lido.
              All'esile filo della speranza appesi
              col cuore in gola, con la voce spenta, sconfitti,
              feriti, stressati, offesi e vilipesi
              pietà, oh Dio, pietà! Perché ci vuoi trafitti?

              In un angolo remoto sono due stanche latte
              che il satanasso a calci e appulsi precipita
              in un fosso i cuori infranti, le costole rotte;
              mortificata ognuna, sì, ma non stizzita
              a sera lo guardo triste volgono al Ciel beato
              col pianto in cuore, col perdono in mente
              pregano alfin che l'orafo nel baratro calato
              al nido piagnucolante torni, serenamente.
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                Scritta da: Nello Maruca

                Il pentimento

                O Genitori che state sotto ai pini
                Udite la mia prece o miei divini,
                sentite quanto grande è il pentimento
                di me che non ho colto il buon momento.

                Di stupidità pervasa la mia mente
                Indegnamente fui da Voi assente
                Ed or che più rimediar non posso
                Il danno rimpiango e il tempo lasso

                E me compiango di quanto non fui lesto
                E per quanto vile fu ogni mio gesto
                Nel trascurare per bramosia i Vostri affanni
                ArrecandoVi assai molti più danni.

                Per i dovuti e mancati omaggi
                Perdono: la mia prece è per Voi oggi,
                finché vivrò nel profondo del petto Vi terrò
                e sempre nei pensieri reconditi Vi avrò.

                Del male fatto assai molto mi dolgo
                E a Voi Anime elette mi rivolgo:
                Alfin che trovi la perduta calma
                Raggiunga il perdon Vostro la mia alma.
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                  Scritta da: Nello Maruca

                  Arrivismo

                  Pusillanime, miserevole don Abbondio
                  dell'Opera manzoniana turpe figuro,
                  alla vista dei bravi, dal guardo truce e duro
                  fu, tremante del proprio io, dimentico di Dio.
                  Poscia, ancor, fremente di rabbia e di paura
                  cavalcar dovette la dispettosa mula
                  che rasentando sen'iva l'orlo dell'altura
                  con la testardaggine degna d'essa mula.

                  Di sua paura colpa nessuna avea, il poverello,
                  giacché cavalcato mai avea mulo o asinello.
                  Mai, prima, di brutti ceffi fu a lor cospetto
                  perciò il freddo trafissegli carni e petto.
                  La sua dimestichezza era il breviario
                  che al libro accompagnava del lunario;
                  marchiato, pur tuttavia, fu di vigliaccheria
                  cui mescolanza avea a risaputa tirchieria.

                  Col segno a fuoco sulla fronte impresso
                  per la codardia, vittima fu di se stesso;
                  qual'uomo da nonnulla fu additato
                  e da ciascuno schivato e allontanato.
                  Misero più d'egli è il cavaliere esperto
                  che di bestie da soma fu domatore certo,
                  dacché teschio è vuoto e di cervello senza
                  per perdita d'onestà, scienza e coscienza.

                  Grand'uomini furonvi d'onori e d'armi
                  che per amore ridussero lor intelletti inermi;
                  l'Orlando per l'Angelica perse il cervello
                  ma egli, per poco o nulla, perse il fardello.
                  Quegli nobile sentimento seguitava
                  per cui la sua pazzia giustifica trovava;
                  questi l'amata lasciava per materia
                  quando già dava, da trent'anni, onori e gloria.

                  Perso, con l'abbandono ha amori, grazie, onori
                  e scomparsi sono i prati seminati a fiori;
                  d'irsute spine la via tortuosa prende
                  mentre ogni giorno più in basso scende.
                  In quel che don Abbondio credea infausto giorno
                  reggere, della stupida mula, seppe il governo
                  e tra preghiere, lamentele, suppliche e lagne
                  agli applausi, alla fine, passò dalle vergogne.

                  Il cavaliere credendosi sommo del meglio
                  da furente il destriero lancia allo sbaraglio
                  mentre, lemme, l'arciere scaglia la freccia
                  che il cavaliere nuotar fa nella feccia.
                  Ora s'affligge sull'operato suo nefasto
                  cercando dar riparo al provocato guasto;
                  al coccodrillo s'accosta a somiglianza
                  che piange su distrutta figliolanza.
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                    Scritta da: Nello Maruca

                    Carogna

                    Frutto di un emerito cretino
                    circola per le vie un volantino;
                    scritto l'ha con mano malandrina
                    persona disgraziata, burattina.

                    Verme strisciante, misera carogna
                    l'essere tuo è tutto una vergogna;
                    sei un vile mascalzone puzzolento,
                    essere abietto, indegno e virulento.

                    Mente maligna, produttor di male
                    la lordura scritta, dimmi, a cosa vale?
                    Il profano al divino hai mescolato
                    per questo, farabutto, sarai schiacciato.

                    Mente malata, instabile e corrotta
                    l'opera infame segna la tua condotta;
                    peggio di Giuda sei e di Caino
                    impiccati, bastardo, sei un assassino.

                    Di giovani hai violato i sentimenti,
                    perché non hai attaccato altri elementi?
                    Rispondi, lestofante, vieni avanti
                    mostra tua faccia, i toni tuoi arroganti:

                    Aguzzino, miscredente, delinquente
                    degno non sei di stare tra la gente
                    giacché rifuggi dal civil confronto
                    e dell'anonimato tieni conto.

                    Vergognati! Anima vile di peggiore
                    specie, bestia feroce, trafiggitor di cuore,
                    al posto delle mani hai degli artigli
                    dimmi, carogna, tu ne hai di figli?

                    Hai conosciuto mai dei sentimenti?
                    Sai dirmi quanto sono sublimanti?
                    O rettile sei nato tu strisciante
                    ed odio alberghi per la buona gente?

                    Hai segnalato del Vangel dei versi
                    ma quei tuoi scritti ad esso son'inversi:
                    Hai giudicato senz'alcun diritto
                    possa in eterno piangere il tuo scritto.
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