Le migliori poesie inserite da Nello Maruca

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Scritta da: Nello Maruca

Cxl

Scorre lento lo tempo e par ch'io invecchi,
sono quattr'ore di stancante attesa
e speme che a sottile filo è appesa
l'alma che sostiene parmi che stacchi.

Chiudonsi alla prece gli stanch'occhi
quando mia speme già volge alla scesa
e tosto è sobbalzo a dare ripresa
mentre campana suon dodici tocchi.

Martella il core in petto e non si cheta
ch'ansia da presso formenta e punzecchia
e alma d'apprensione da corpo è spulsa.

Nessun pensiero più nel senno specchia
ch'ogni ragionamento è di ripulsa
e soltanto il niente è di senno meta.
Composta domenica 31 ottobre 2010
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    Scritta da: Nello Maruca

    Il gentiluomo

    Disquisire di te, del tuo sembiante
    arduo perviene a me vate cadente
    che altre sublimi Menti aviano vanto
    con diligenza dire di tanto manto.
    La testa ch'è vagante e pertinace
    non tiene pace a essere incapace

    e allora s'inoltra nell'oscura selva,
    tenacemente, ad affrontar la belva.
    L'arma con cui combatte è una penna
    che patisce dir del cervel ch'affanna,
    che s'arrovella e non trova forma
    l'enunciar che vorrebbe in piena norma.

    Mò pare che irta poco meno è l'erta,
    indi, la scritta scorre un po' più certa.
    Entra nel mezzo di folta foresta
    e, caparbiamente, a belva tien testa.
    Vede la bontà dell'esser tuo, descrive
    la dolcezza del tuo cuore, rivive

    quanto grande per l'altrui hai amore
    e della carità lo gran spessore.
    Ma nell'andare incespica, cade, s'alza,
    si rincammina, ricade, sobbalza
    ma intricato di cespugli è il loco
    indi la penna più non regge il gioco.

    Si sfiducia, s'abbatte, indi, soggiace.
    ma sol per poco, essa, però, si tace.
    Chè una penna pur debole e flemma
    si scalda e brucia più d'immensa fiamma,
    e ancora maggior  di fiamma rossa diviene
    se a bontà s'affaccia e non a pene.

    Qui la dolcezza, in breve, vuol narrare
    d'uomo gentile che sa soltanto amare.
    Di te vuol dire, Cavaliere illustre,
    della schiettezza limpida, campestre
    ch'altra maggior, giammai, rilevi altrove
    e puranco la scorza zotica rimuove.

    Cuore gentile, colmo d'ogn'affetto
    che per il ben'altrui non tien difetto,
    proclive e lesto a propinar man forte
    e al bisognoso schiudere le chiuse porte.
    Se di un essere eretto già hai scritto
    e anche in verbo ripetuto e detto

    della dolcezza e umanità infinita
    ch'altro vuoi dire che porta in sé tal vita?
    Ch'altro un uomo può aver che spinge
    oltre la carità e che dolcezza aggiunge
    a stile, bontà, fede e grand'amore?
    Se cotante virtù racchiude in cuore

    cosa vorresti, penna, dire più ancora?
    Qui, diletto amore, la mente si scolora
    perciò t'implora a gentil riflessione
    alfin che t'ammanti di comprensione
    e per la mente che troppo vacilla
    quanto pel cuore che in pett'oscilla.
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      Scritta da: Nello Maruca

      Il ritorno

      In un cocente dì d'un assolato agosto
      Milite, in man di campo fiore e due viole,
      sotto il vermiglio luccicante sole
      avanza verso noi a piede lesto.

      Veste uniforme chiara, coloniale
      e casco di sughero di bianco colore.
      Piange nel rivedere il casolare
      dopo un'assenza più che quinquennale.

      Alla commossa mamma un forte abbraccio,
      un bacio in fronte, una dolce carezza,
      Sii serena: finito è il pasticciaccio.
      Con le robuste braccia mi cinge con gaiezza:

      Mai più tristezza: Or qui è il tuo papà.
      Allegro, non lacrimar: giammai parte papà.
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        Scritta da: Nello Maruca

        Nonna e il tugurio

        Vivevi sola con le tue galline
        In un locale buio e fatiscente
        Indegno posto a ospitar la gente
        Ma miglior loco sol per gente fine. *

        Eri scarsa di soldi e d'ogni bene,
        non possedevi il becco d'un quattrino,
        di tanto in tanto due uova nel cestino
        ma non per te, per lenire le tue pene

        ma per meglio nutrire i nipotini
        ch'erano tanti e, tutti piccolini.
        Ti sei involata in Ciel da quarant'anni
        E tristi ripensiamo ai tuoi malanni.

        Ora rivediamo la faccia tua patita
        E la mente ci riporta a quel tugurio.
        Se potessimo, nonna, ridonarti vita
        ti doteremmo d'una reggia qual tugurio.
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          Scritta da: Nello Maruca

          Il turbamento

          La vita è un pozzo fondo, senza fine
          ch'è pieno zeppo di miserie umane,
          per quanto tempo dura, fino alla fine,
          non son giornate che non siano vane.

          Per quanti sforzi son, per quanto t'opri,
          per quanto ti dibatti ed arrovelli,
          per quanto pace che bisogni copra
          non v'è cosa che plachi quel cervello.

          Non ragionamento che lo porta altrove,
          non problemi di natura maggiore,
          lo ritrovi ovunque e in ogni dove
          ch'è tutto scuro, pur bianco colore.

          Com'erba cattiva che su prato nasce
          che estirpata con certosina usanza
          in perseveranza presto rinasce
          a dimostrar dell'uomo l'impotenza.

          Così, quel turbamento, se si cheta
          riemerge, all'improvviso, dopo poco,
          nel cervello ritorna e non è quieta
          e fin che la vita è fa questo giuoco.

          Invero per chi ha credo è una sol via:
          è quella d'aggrapparsi al Sommo Iddio.
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            Scritta da: Nello Maruca

            Don Lollò

            Non si capisce qual ch'è il motivo
            di quella grinta del porco cattivo;
            non si capisce, ancor, perché al mattino
            dimenasi don Lollò al balconcino.
            Si sa, però, ch'è insofferente nato
            e il mal ch'addosso porta è una nota
            ch'à disegnato sulla suina faccia
            e la stortura ch'à in gambe e braccia.

            L'accosto al pirandelliano personaggio
            non è al mostro nostro un omaggio
            ma è sol per illustrare la tracotanza
            di questo don Lollò dell'ignoranza.
            IL teschio in toto di cervello privo
            lascia abbondante spazio a corrosivo;
            La colpa è certo del paterno gene
            tramatore di male, sdegnator di bene.

            Quello, il vero don Lollò, l'intollerante
            aveva di che dare al confidente
            ché beni possedea in terre e case
            e perdere potea danaro, tempo e cose
            per rimanere agiato, in ogni caso.
            Quest'altro, storpio, brutto e d'altro stampo
            cui sola proprietà è l'essere intrigante
            resta misero, impertinente questuante.
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              Scritta da: Nello Maruca

              Abbondanza

              Ricchezza di cose, case e palazzi,
              abbondanza di roba e di denaro
              da sempre questo gli uomini cercaro;
              per questo furo eternamente pazzi.

              Per essi cedono affetti, bimbi, ragazzi,
              calpestano sovente la coscienza,
              ripudiano la propria figliolanza.
              Son porci rozzi, luridi e pur sozzi.

              Questo e ben altro è la vil ricchezza
              che in vero è solo squallida miseria
              in quanto al male volta e a cattiveria;
              assai lontana d'Egli, àncora di salvezza.

              Vera ricchezza è quella che in cuore
              si tiene, che di spirito è, non materia
              e all'animo più apporta miglioria
              e sa donare con ardore amore.

              Quest'ultima tu abbia d'abbondanza
              e a uso dell'altrui mettila in atto,
              per gli altri l'amor tuo sia loro motto,
              non sia timor, se in altri discrepanza.

              Quell'altra lascia l'abbiano gli avari,
              miscredenti, ipocriti, triviali.
              Destino loro è sol bocconi amari
              ché di lor cattiveria traboccano gli annali.

              Tu sei gioiello d'altissimo splendore;
              restati bella nel tuo bel candore,
              non offuscare, mai, per l'altrui l'amore,
              lasciati guidare dal nobile tuo cuore.
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                Scritta da: Nello Maruca

                Il rimorso

                Ogni mattina allo spuntare del giorno,
                all'apparire dell'attesa aurora
                sorgesse il sole o spirasse bora *
                o ch'estate fosse o piovoso inverno

                senz'alcun'indugio al campicello
                sperando mettere qualcosa nel paniere
                t'incamminavi per la ricerca giornaliera,
                con chissà qual'altri pensieri nel cervello:

                Quante volte, però' fu la ricerca vana,
                quante volte il ritorno fu triste e deluso
                che vuota fu la cerca quotidiana
                e altro giorno in fame s'è concluso.

                Nel desolato teterrimo abituro,
                sfumata la speranza del mattino
                tutt'intorno t'appariva ancor più scuro
                ma la speranza non avea confino.

                In quegl'anni di epidemica carestia
                puranco d'affetti, nonna, fosti scarsa.
                Povera in tutto, o nonna, io nol capia
                perciò lo cuore me lo stringe morsa.

                Grande, se solo poco avessi riflettuto
                t'avrei qualche sospiro, forse, lenito.
                nol feci, più nulla or posso, t'ho perduto!
                Il rimorso mi rode all'infinito.
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                  Scritta da: Nello Maruca

                  Sogno

                  Se l'amicizia al mondo quand'è pura
                  come ogni cosa bella poco dura
                  come a lungo durare poteva mai
                  l'agognata serenità ch'amo ed amai?

                  Fu l'alba tersa, il cielo fu sereno,
                  il tempo corse via dolce e ameno;
                  Di sole illuminate le giornate,
                  serene fur, nel sonno, le nottate.

                  Non uno screzio fu, non un disguido:
                  Peccato! Dipartito s'è per altro lido.
                  Cappa è calata come cielo grigio
                  e la serenità resta miraggio.

                  Il Dio di carità a mani aperte
                  senta la voce mia, le prec'incerte;
                  Solo, soltanto in Te, mio Dio, confido:
                  Fa ritornar la rondine al proprio nido.

                  Come non so, vacante è la mia mente;
                  Nemmeno può valere uomo potente.
                  Tu puoi, però, rimuovere l'ostacolo
                  oprando, Tua volontà, grosso miracolo.

                  Or vedo in lontananza candide vesti:
                  È Angelo conoscitore pensieri mesti.
                  S'affretta a me vicino, prende mia mano:
                  Dormi sereno, tuo desiderio è vano.

                  Il dire che tu fai non mi consola,
                  il mio pensiero ancora lontano vola,
                  torno a pregare Iddio, l'Onnipotente,
                  onde ridoni a noi l'Uomo valente.
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