Le migliori poesie inserite da Nello Maruca

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Scritta da: Nello Maruca

Cxl

Scorre lento lo tempo e par ch'io invecchi,
sono quattr'ore di stancante attesa
e speme che a sottile filo è appesa
l'alma che sostiene parmi che stacchi.

Chiudonsi alla prece gli stanch'occhi
quando mia speme già volge alla scesa
e tosto è sobbalzo a dare ripresa
mentre campana suon dodici tocchi.

Martella il core in petto e non si cheta
ch'ansia da presso formenta e punzecchia
e alma d'apprensione da corpo è spulsa.

Nessun pensiero più nel senno specchia
ch'ogni ragionamento è di ripulsa
e soltanto il niente è di senno meta.
Composta domenica 31 ottobre 2010
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    Scritta da: Nello Maruca

    L'assenza

    Se il peso non s'avesse dell'affetto
    la lontananza non avrebbe effetto.
    Se, poi, negl'anni il bene s'è ampliato
    il peso dell'assenza e più marcato.

    Capire ciò lo può ch'in petto ha cuore
    e se vi custodisce grand'amore.
    Da stamane manca l'Angelo custode
    e la tignola già dentro mi rode.

    Se manca la feconda ape regina
    nell'arnia resta spenta la fucina;
    spenti i fornelli son della cucina.
    Nessuno li cura: Manca la regina.

    Tutto si ferma, tutto muore e tace
    e io tormentato, stracco, senza pace.
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      Scritta da: Nello Maruca

      Il ritorno

      In un cocente dì d'un assolato agosto
      Milite, in man di campo fiore e due viole,
      sotto il vermiglio luccicante sole
      avanza verso noi a piede lesto.

      Veste uniforme chiara, coloniale
      e casco di sughero di bianco colore.
      Piange nel rivedere il casolare
      dopo un'assenza più che quinquennale.

      Alla commossa mamma un forte abbraccio,
      un bacio in fronte, una dolce carezza,
      Sii serena: finito è il pasticciaccio.
      Con le robuste braccia mi cinge con gaiezza:

      Mai più tristezza: Or qui è il tuo papà.
      Allegro, non lacrimar: giammai parte papà.
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        Scritta da: Nello Maruca

        Il gentiluomo

        Disquisire di te, del tuo sembiante
        arduo perviene a me vate cadente
        che altre sublimi Menti aviano vanto
        con diligenza dire di tanto manto.
        La testa ch'è vagante e pertinace
        non tiene pace a essere incapace

        e allora s'inoltra nell'oscura selva,
        tenacemente, ad affrontar la belva.
        L'arma con cui combatte è una penna
        che patisce dir del cervel ch'affanna,
        che s'arrovella e non trova forma
        l'enunciar che vorrebbe in piena norma.

        Mò pare che irta poco meno è l'erta,
        indi, la scritta scorre un po' più certa.
        Entra nel mezzo di folta foresta
        e, caparbiamente, a belva tien testa.
        Vede la bontà dell'esser tuo, descrive
        la dolcezza del tuo cuore, rivive

        quanto grande per l'altrui hai amore
        e della carità lo gran spessore.
        Ma nell'andare incespica, cade, s'alza,
        si rincammina, ricade, sobbalza
        ma intricato di cespugli è il loco
        indi la penna più non regge il gioco.

        Si sfiducia, s'abbatte, indi, soggiace.
        ma sol per poco, essa, però, si tace.
        Chè una penna pur debole e flemma
        si scalda e brucia più d'immensa fiamma,
        e ancora maggior  di fiamma rossa diviene
        se a bontà s'affaccia e non a pene.

        Qui la dolcezza, in breve, vuol narrare
        d'uomo gentile che sa soltanto amare.
        Di te vuol dire, Cavaliere illustre,
        della schiettezza limpida, campestre
        ch'altra maggior, giammai, rilevi altrove
        e puranco la scorza zotica rimuove.

        Cuore gentile, colmo d'ogn'affetto
        che per il ben'altrui non tien difetto,
        proclive e lesto a propinar man forte
        e al bisognoso schiudere le chiuse porte.
        Se di un essere eretto già hai scritto
        e anche in verbo ripetuto e detto

        della dolcezza e umanità infinita
        ch'altro vuoi dire che porta in sé tal vita?
        Ch'altro un uomo può aver che spinge
        oltre la carità e che dolcezza aggiunge
        a stile, bontà, fede e grand'amore?
        Se cotante virtù racchiude in cuore

        cosa vorresti, penna, dire più ancora?
        Qui, diletto amore, la mente si scolora
        perciò t'implora a gentil riflessione
        alfin che t'ammanti di comprensione
        e per la mente che troppo vacilla
        quanto pel cuore che in pett'oscilla.
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          Scritta da: Nello Maruca

          Nonna e il tugurio

          Vivevi sola con le tue galline
          In un locale buio e fatiscente
          Indegno posto a ospitar la gente
          Ma miglior loco sol per gente fine. *

          Eri scarsa di soldi e d'ogni bene,
          non possedevi il becco d'un quattrino,
          di tanto in tanto due uova nel cestino
          ma non per te, per lenire le tue pene

          ma per meglio nutrire i nipotini
          ch'erano tanti e, tutti piccolini.
          Ti sei involata in Ciel da quarant'anni
          E tristi ripensiamo ai tuoi malanni.

          Ora rivediamo la faccia tua patita
          E la mente ci riporta a quel tugurio.
          Se potessimo, nonna, ridonarti vita
          ti doteremmo d'una reggia qual tugurio.
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            Scritta da: Nello Maruca

            Don Lollò

            Non si capisce qual ch'è il motivo
            di quella grinta del porco cattivo;
            non si capisce, ancor, perché al mattino
            dimenasi don Lollò al balconcino.
            Si sa, però, ch'è insofferente nato
            e il mal ch'addosso porta è una nota
            ch'à disegnato sulla suina faccia
            e la stortura ch'à in gambe e braccia.

            L'accosto al pirandelliano personaggio
            non è al mostro nostro un omaggio
            ma è sol per illustrare la tracotanza
            di questo don Lollò dell'ignoranza.
            IL teschio in toto di cervello privo
            lascia abbondante spazio a corrosivo;
            La colpa è certo del paterno gene
            tramatore di male, sdegnator di bene.

            Quello, il vero don Lollò, l'intollerante
            aveva di che dare al confidente
            ché beni possedea in terre e case
            e perdere potea danaro, tempo e cose
            per rimanere agiato, in ogni caso.
            Quest'altro, storpio, brutto e d'altro stampo
            cui sola proprietà è l'essere intrigante
            resta misero, impertinente questuante.
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              Scritta da: Nello Maruca

              Abbondanza

              Ricchezza di cose, case e palazzi,
              abbondanza di roba e di denaro
              da sempre questo gli uomini cercaro;
              per questo furo eternamente pazzi.

              Per essi cedono affetti, bimbi, ragazzi,
              calpestano sovente la coscienza,
              ripudiano la propria figliolanza.
              Son porci rozzi, luridi e pur sozzi.

              Questo e ben altro è la vil ricchezza
              che in vero è solo squallida miseria
              in quanto al male volta e a cattiveria;
              assai lontana d'Egli, àncora di salvezza.

              Vera ricchezza è quella che in cuore
              si tiene, che di spirito è, non materia
              e all'animo più apporta miglioria
              e sa donare con ardore amore.

              Quest'ultima tu abbia d'abbondanza
              e a uso dell'altrui mettila in atto,
              per gli altri l'amor tuo sia loro motto,
              non sia timor, se in altri discrepanza.

              Quell'altra lascia l'abbiano gli avari,
              miscredenti, ipocriti, triviali.
              Destino loro è sol bocconi amari
              ché di lor cattiveria traboccano gli annali.

              Tu sei gioiello d'altissimo splendore;
              restati bella nel tuo bel candore,
              non offuscare, mai, per l'altrui l'amore,
              lasciati guidare dal nobile tuo cuore.
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                Scritta da: Nello Maruca

                Tristezza

                Quanta tristezza, o Dio, che sofferenza
                avere tanti fratelli e esserne senza.
                Forse perché l'umanità non tiene essenza
                diniego, perciò, d'affetto e indulgenza.
                Se nell'amor non è la temperanza
                tosto scompare da mente la pazienza,
                si spezza il sottil fil della speranza,
                subentra, indi, rabbia e arroganza.
                Finché della sincerità c'è la presenza
                appare tutto favola e romanza;
                allorquando qualcuno vive d'importanza
                l'altro fa calare nell'impotenza
                perciò a mano che quell'altro avanza
                colui che pria tenea pari uguaglianza
                cade e finisce presto nell'indigenza.
                Quell'altro, lo spergiuro, nell'indecenza.
                Se spiegare si dovesse la causanza
                di tal caparbia e stupida perseveranza
                ciascuno direbbe: In me è tolleranza.
                Altri son privi di buona coscienza
                ignari di cos'è la fratellanza.
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                  Scritta da: Nello Maruca

                  L'appello

                  Per più mesi fui protetto
                  tra le mura d'una roccia
                  ma anelavo d'essere stretto
                  con amore tra le tue braccia.

                  Le pareti lisce e spesse
                  aveano forza di corazza,
                  sol poté la tua tristezza
                  penetrare entro le stesse.

                  Or con l'uovo che s'è schiuso
                  finalmente son disceso
                  a ridare il perso riso
                  al dolcissimo tuo viso.

                  Questa notte t'ho sognata,
                  ti ho veduto addolorata
                  per dei scrupoli e rimorsi
                  ai reali fatti inversi.

                  Dal natante dondolato
                  m'ero un poco appisolato
                  quando in cima a scalinata
                  una scritta illuminata

                  l'arcano mi ha svelato:
                  Un Arcangelo alato
                  in Cielo era cercato,
                  indi a sé l'ha richiamato.

                  Era scritto, decretato
                  che l'evento fosse stato.
                  Perciò, il pianto sia sorriso,
                  la tristezza sia allegrezza,
                  il dispero sia speranza
                  e la fine sia l'inizio.
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