Scritta da: Nello Maruca
in Poesie (Poesie personali)
Caducità
Infra tanti boccioli è un sol giglio
a simboleggiar l'amore che ti voglio.
Caducità di rosa indica quanto
esser privo di te potrei, non più di tanto.
Composta lunedì 30 novembre 1998
Infra tanti boccioli è un sol giglio
a simboleggiar l'amore che ti voglio.
Caducità di rosa indica quanto
esser privo di te potrei, non più di tanto.
Quel che raggiante pria ora uggioso
è viso ché corpo al veleggiante
legno è presso, pensiero altro loco
posato già sua passione vede
indi i begl'occhi a lacrimare cede
mentre a lento andar scompar naviglio.
Per dir dolor ch'opprime all'altrui è pari
dappresso al boccaporto invia segnale
chi straziato al molo posato ha cuore.
Strazio restato è su molo freddo,
strazio galleggia su schiumos'onda.
In questa classe siamo sedici alunni,
nove siam maschi, sette sono donne.
Quattro son compagni dei passati anni;
un solo maschio e tre hanno le gonne.
Elsa, Lucia e Caterina Lo Munni
nomata, per sue rime, poetessa "Erinne" *
il maschio, compagno, Cucco Giovanni.
Quest'è la prima B d'Istituto Aronne.
Uom'elegante da fattezze basse,
si sofferma tra i banchi e sorridente
dice: sono il docente Carlo Alasse
proffessor di lettere in questa classe,
al vostro fianco sarò costantemente,
io sarò ruota e voi sarete l'asse.
Una barca gongolante
dalle vele biancheggianti
è partita da levante
tra le onde fluttuanti.
A me viene lentamente
a portar il pargoletto
che aspetto trepidante
di tenere sul mio petto
per cantare la ninna nanna
con l'amore di una mamma,
con l'affetto della nonna
alla gemma, dolce fiamma.
Quando, poi, il piccoletto
addormito s'è sul petto
nella cuna, caramente,
lo distendo dolcemente.
Stringo in mano la manina
e contemplo il visino.
L'accarezzo pian pianino
e mi resto a lui vicina.
Poi ripenso il vivo scritto
indi giuro, indi prometto
per il bene affisso in petto
che sarà sorriso il pianto
e allegrezza la tristezza.
Ogni mattina allo spuntare del giorno,
all'apparire dell'attesa aurora
sorgesse il sole o spirasse bora *
o ch'estate fosse o piovoso inverno
senz'alcun'indugio al campicello
sperando mettere qualcosa nel paniere
t'incamminavi per la ricerca giornaliera,
con chissà qual'altri pensieri nel cervello:
Quante volte, però' fu la ricerca vana,
quante volte il ritorno fu triste e deluso
che vuota fu la cerca quotidiana
e altro giorno in fame s'è concluso.
Nel desolato teterrimo abituro,
sfumata la speranza del mattino
tutt'intorno t'appariva ancor più scuro
ma la speranza non avea confino.
In quegl'anni di epidemica carestia
puranco d'affetti, nonna, fosti scarsa.
Povera in tutto, o nonna, io nol capia
perciò lo cuore me lo stringe morsa.
Grande, se solo poco avessi riflettuto
t'avrei qualche sospiro, forse, lenito.
Nol feci, più nulla or posso, t'ho perduto!
Il rimorso mi rode all'infinito.
Vuoi per mola, per faccia ed andatura,
per volgarità d'animo e costumanza,
per trivialità di far la sua pastura*
da porcara, dei porci ha stessa usanza.
Il puzzo che sprigiona è come puzzola,
più di vipera ha dente avvelenato;
subdolo insetto al pari di tignola
cui l'operare il male è gusto innato.
Di cattiveria pregno il suo giaciglio,
tutt'intorno l'aria puzza del Maligno
e manco l'incenso dato a gran sparpaglio
riesce a profumar quel volto arcigno.
Spregevole più di Circe per tranelli
ch'avea, però, un corpo snello e bello
e tramutava in porci questi e quelli
onde tenere Ulisse nel suo ostello.
A differenza ha vita orripilante,
maestra nel ferire esseri in norma,
nessun per essa mai fu spasimante
mancante essa di modi, d'arte e forma.
Se maggiore uso dello specchio avesse,
se riuscisse a contemplarsi dentro,
se sol di coscienza a conoscenza fosse
vedrebbe la lordura cui sguazza al centro.
D'umano parmi sì, ch'abbia qualcosa:
é un grave atteggiamento a lavandaia;
no! Per la categoria è offesa a iosa
in quanto oggetto dell'immondezzaio.
C'è un omino assai bellino
che fa spesso il birichino;
L'ho amato da piccino
e lo penso ogni mattino.
Lui con me tiene un segreto,
di svelarlo abbiamo il veto.
Se, però, non ubbidisce
quest'intesa tosto svanisce.
D'Epifania, d'incerto sole, in tiepida giornata,
giunge la prima Gemma tant'amata.
Brillano i suoi occhi per bontà ed amore,
di tenerezza mi riempie il cuore.
Suo lamento è dolce nota,
bel carattere denota.
La seconda, ch'è seconda in tempo,
di luce brilla più del firmamento;
lunghi capelli, grand'occhi, luminoso viso
a giugno mi perviene all'improvviso.
Tutto piglia, tira, strilla,
tutt'intorno ad ella brilla.
In un febbraio tetro, freddo e gelo
la terza, poi, calata m'è dal cielo;
di gioia sussultar fa l'alma mia
mentre m'appresto a dir l'Ave Maria.
Occhio piccolo, lucente,
sguardo fermo, intelligente.
Nell'odoroso di fiori e biancospino maggio
mi giunge all'improvviso il grand'omaggio
di quarta Gemma splendida, lucente che tra le Gemme
è Gemma delle Gemme.
Tosto pare assai carino,
un tantino birichino.
A capodanno la quinta mi compare
venuta all'improvviso a illuminare
la nera notte di fulmini percossa,
di vento e tuoni forti molto scossa.
Di furbizia mente fina
lesto offre lo spuntino. *
Cinque di Gemme splendide ho nel cuore,
ognuna d'inestimabile valore.
La vita che pur tanto m'ha deluso
in fin sì grandi beni m'ha profuso.
Sento da sempre dir con insistenza
di somiglianza con altrui presenza;
da tempo studio, io, ciascuna usanza
e, incontrato mai ho l'uguaglianza.
Quel che qui dico può sembrar non vero
E senza scambiare il bianco per il nero
Vagliamo bene assai la circostanza
Ed alla cosa diamo giusta importanza.
Consideriamo il dotto e lo sciancato:
Il primo se la fa con l'avvocato
l'altro con le persone abominate
seguono, perciò, vie divaricate.
Or l'umile guardiamo e l'orgoglioso:
Il primo in un cantuccio resta pensoso
l'altro, a testa alta, baldanzoso
passeggia col suo fare spocchioso.
Prendiamo ad esempio la marchesa,
con chi, secondo voi, ha la sua intesa?
Certo non con l'onest'uomo di paese
ma col suo pari rango, nobile marchese.
la nobildonna dai guantoni bianchi
malaticcia, occhi cerchiati e stanchi
porta il suo velo sia per eleganza
quanto mostrare agli umili importanza.
Di sul calesse dal mantice nero
trainato da nobile destriero
non un sorriso spento, non uno sguardo
manco all'inchino di stanco vegliardo.
Luminoso diviene il cereo viso
e la sua bocca è tutta gran sorriso
se solo scorge da lontano il ricco
anche se nell'andare è smorto e fiacco.
Il capufficio, poi, lo ben sapete
mostrare preminenza ha grande sete.
I dipendenti inchioda a scrivania
a spregio e dell'amore e d'armonia.
Ancor quando innocenza in aria affiora
niuno accostamento vedo, poi, ancora,
tra il magistrato e il malcapitato
ché poco o tanto resta bacchettato.
La pari dignità tanto cantata
da quest'umanità già traviata,
misconosciuta in ogni umano gesto
solo giustifica è d'enorme guasto
al fine che al finir di vita terrena
sminuita possa essere la pena
al cospetto del Giudice Divino
come se a giudicar fosse un padrino.
In tempo sì volgare e traffichino
Ove d'imperio regna corruzione
pare non vero trovare uomo sì buono
che qui m'appresto a dare descrizione:
Età apparente sulla quarantina,
altezza un metro e una settantina;
di peso pare poco più di norma,
tronco ben fatto, d'elegante forma.
Animo incline, lesto alla bisogna
La costumanza sua nessuno lagna.
Ben educato, colmo di franchezza
Nessuno lamenta sua castigatezza.
D'Ippocrate difficil via ha intrapreso
E ad ogni male dà il giusto peso,
con grande lena a mo d'uccel rapace
esegue il suo lavoro, ascolta e tace.
Spiccata perspicacia in mente alberga
Onde in certezza sua ricetta verga;
il suo intelletto non resta mistero
ché nel diagnosticare è sempre vero.
Di sì gran dote l'ha fornito Iddio
Alfin che poco badi al proprio io
Ma dell'altrui sventura
Ne fia propria premura.