Galoppando il bianco giglio viene portandomi mio figlio. Mamma è qui, aspetta te, mamma è qui, tutta per te. Sogno sempre il tuo visino, vedo te, o, mio bambino. Qui, accanto al focolare mamma resta, sta a sognare. Resto e sogno il mio bel Re, resto qui, aspetto te. Nel mio sogno c'è la culla che ti dondola e trastulla. Nella culla fai la nanna amor grande della mamma. M'hai rapito già il cuore o mio grande, dolce amore. Fai la ninna, fai la nanna dolce bimbo della mamma ch'io ti veglio, ti sorveglio fino a quando resti sveglio.
In loco del vero Iddio, l'Onnipotente Altro ne tiene in cuore il gran furfante: Lui disconosce il Padre, l'Onniveggente ma dei possedimenti è grand'amante.
Sol la materia tiene a conoscenza, della spiritualità nulla curanza. Vive contando i beni di giorno in giorno e solo la roba, null'altro vede intorno.
Produce il vino ma lo vende a botte, e delle mandrie vende latte e ricotte Olio! Un cucchiaio per l'intero giorno, un tozzo di pane e cacio a mezzogiorno
e delle mandrie vende latte e ricotte; il volto tiene scuro e l'occhio bieco.
Ha men la vista, quasi divien cieco. Valersi dell'oculista è uno spreco. Schiavo della ricchezza, n'h'arsura mentre il denaro lo presta a usura.
All'apparire del solstizio estivo vaga la rondine per il ciel sereno e tutt'intorno inonda del garrir festivo. Ora repente in alto, ora s'abbassa or brevemente librasi, ora il terreno volteggiando lambe con scattante mossa. Nella belletta posasi per la materia del costruendo nido e alla rana che nella fanghiglia sguazza solitaria: Rotoli sozza e gracidi contenta e stai in cotanta puzzolente melma. In acqua, però, poi, mi rituffo attenta dice la rana; non tu che ne fai letto e giorno e notte ci rimani accolta. Mira il tuo sporco e ner'aspetto così t'accorgi che d'essa resti avvolta.
Costantemente in terra l'uomo è vilipeso perciò, ahimè, chi vive su questo Pianeta tosto, spesso, tiene voglia di giungere alla meta giacché più il tempo scorre più la vita è peso.
Vuole il buon Dio, però, che in alto è altro Loco laddove si vive eternamente in piena pace dov'è quiete perenne; è luce, e tutto tace.; contrario di quanto si ha in questo fuoco. *
Dolce immago leggiadra donzelletta Da tondeggiante capo da lunghi coperto capei castano scuro appena cadenti su serena fronte, palpebre ondeggianti, cerulei occhi, greco nasuccio conferente stile a visino liscio, modellato da mento ovaleggiante, ben formato con su boccuccia da carnose labbra sorridenti, da prosperoso curvo seno a snella vita il tutto coronato vedo. È natural bellezza in esso affissa, al cui cospetto umanità resta perplessa e nell'opposto sesso in vena il sangue trilla.
In luogo dei capei castano scuro teschio deforme è; laddove occhio ceruleo era favilla trapela buco nero, fondo, orrendo al par di sito cui pria era di spicco bocca da carnose rosseggianti labbra. Lungo quei ch'erano fianchi di crisma infusi penzolano, a lato, due ossei arti ch'orripilazione hanno su corpo tutto. Ov'erano due lunghe, tondeggianti gambe or sono due stinchi, disdegno dell'uman vivente.
Questo d'ossume gli occhi della mente vedono allato. Ah! Dove finita è leggiadra immago!? Come divina natura oprare puote mutazione sì tanta?
Alito è leggiadria che passa e va, non spirito che in corpo sta per proseguire, poscia, l'andar su le celesti vie.
Se all'inizial pudore ritornasse, Se alle virtù perdute risalisse Se di bellezza minor sfoggio facesse, se minore uso della lingua avesse, se insita l'umanità in essa fosse, se il senso di famiglia più alto tenesse e se quando altri parla lei tacesse, se fulcro in tutto essere non volesse, se non per se ma più per gli altri fosse, se dei malori suoi poco dicesse e con l'amore i dissapori superasse, se il sorriso sulle labbra più tenesse e se le sue fattezze meno mostrasse e mente a maggiore riflessione ponesse, se nel guardare le minuzie trascurasse e se l'altrui duolo suo lo facesse e delle sue miserie men conto tenesse e non i difetti altrui ma i suoi vedesse e all'umanità più amor mostrasse, se tutte queste doti racchiudesse della casa regina ad esser tornasse.
Da quando Iddio tutto creò d'un fiato È risaputo che la vita umana Per dono l'ha donata Madre Natura E concepita l'avrebbe sì perfettamente Che di difetto dovrebbe essere assente. Constato, invece, ahimè, amareggiato Che il dono è dono sì ma osteggiato E che non è in toto, indi, compiuto Ch'appare albero spoglio e mal pasciuto. Qual dono essere può la vita umana Se nasce gente storpia e senza mani? Se gente muore di stenti e carestia, in guerre, pestilenze e malattie? Se tanto definirsi è esser dono Mi si risponda: cosa c'è di buono?
Forse di buono è che all'altro Mondo delle privazioni si arriva mondo e si è elevati a dignità di Santo per non avere in terra avuto vanto.
Quando su prato il fiorellin germoglia e il sole di primavera scalda e accresce così, per te, l'amore mio arde e si pasce e ingigantisce di te più la mia voglia.
Il fiorellin che spoglio nasce su prato al sole che lo scalda, però, fa voto sciente che a carità è da ignoto così lo calor ch'il nutre lo fa grato.
Io t'ho dell'amor mio gratificato avendoti al core la porta schiuso e l'essere tutto mi resta confuso e pure un poco, ahimè, amareggiato.
Poiché lo foco ch'ò arde e consuma e ogni dì di più s'innalza e avanza purtuttavia non scuote tua coscienza e al grand'amore mio non si costuma.
L'amore m'ha invaso anima e corpo e gli occhi mi costringe a lungo pianto: Nemmanco tieni un poco di compianto e lasci incolto il rigoglioso orto.
Non fare che si trasformi a malasorte e cingi l'amor mio a forte abbraccio, non far che per un misero capriccio trasformi tant'ardore a triste sorte.