Le migliori poesie inserite da Nello Maruca

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Scritta da: Nello Maruca

Rimpianto

Perché non torni mamma a far la mamma?
Perché non riedi a noi addolorati
E ai piccoletti far la ninna nanna?
Perché rest i lontana dai tuoi amati?

Da quando ti partisti, o dolce mamma,
Il focolare in casa è sempre spento.
Nessuno attizza più la rossa fiamma
Dacché verificato è il triste evento.

Quando ronzavi in casa era un incanto;
nessuno gioca ora né suona e ride
e gli occhi son velati e sempre in pianto;
cotanta tristezza mai alcuno vide.

Vengo là dove giaci, pel saluto,
E più triste ritorno all'abituro
Perché al mio saluto il tuo è muto.
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    Scritta da: Nello Maruca

    Alta sei donna mia

    Alta sei donna mia turchese e bella
    ch'appari quale dal ciel discesa stella,
    lo guardo delicato è freccia in core
    che riempie di dolcezza e tant'amore.

    Profumata sei qual rosa e giglio
    più ch'al mattino emana fior di tiglio,
    là, ove il passo posi ride la via
    inebriata di profumo delicata scia.

    Sul dolce, sereno, splendido visino
    l'aspetto che raduni par divino,
    par che discendi da città remota,
    non già nata sull'umano pianeta.

    D'umana razza tieni appartenenza
    Indi pur d'essa tieni somiglianza;
    tuttavia diversa è ogni fattezza
    Per quanto stile e immensa tenerezza.
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      Scritta da: Nello Maruca

      La preghiera

      A Te Beata Madre, a Te che Figlia
      e Madre nel contempo sei, a Te o Madre,
      a Te, stasera questa preghiera sia
      onde imminente al nostro Padre

      invii. Degno non sono d'invocarTi,
      o Madre, ma so che carca di carità
      Tu sei e anche se molto più amarti
      Ti dovrei sono certo che la mia viltà

      Sotto l'Azzurro Manto svanirà.
      Ecco, Madre Celeste, la preghiera mia:
      Quando al buon Dio la Morte piacerà
      donarmi non per uno ma per due sia

      Ch'io a ritroso la strada, certo, faria
      se la compagna non fosse su mia via.
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        Scritta da: Nello Maruca

        Pupillo

        Quinto di margherita fiore odoroso
        ritto cresciuto, bello e rigoglioso,
        fosti e tuttora sei grande gioiello
        ultima pietra di sì gran castello.

        Buono fosti sempre, rispettoso e quieto,
        alma sensibile, docile e mansueto
        d'arbusto sano, prosperoso e scuro
        da piccoletto già fosti maturo.

        Or che cresciuto sei null'hai mutato;
        dolce, sensibile e buono sei restato;
        solo un momento di tristezza in core
        scalfir voluto avrebbe il tuo spessore.

        Di quercia gran querciuolo ben nutrito
        della vita all'intemperie hai resistito
        e con la perspicacia che t'è nota
        t'aggrappasti alla mamma assai devota.

        Di me ti ricordasti, e ti son grato
        d'avermi posto pure all'altro lato,
        lesto come a padre si conviene
        ricorsi, tosto, all'opra pel tuo bene.

        Restar devi la quercia che sei nato
        mai giunco esser devi, in null'annata,
        né vento mai ti scuotono, pioggia o gelo,
        davanti agli occhi mai aver più velo.

        Quest'è l'augurio che ti manda mamma,
        mentr'io lo dico a mò di telegramma:
        Resta leone di ruggito feroce
        non fare che ti mettano alla croce.
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          Scritta da: Nello Maruca

          L'indifferenza

          Era d'inverno il dì che mi fu luce,
          lungi il papà mio a servire il Duce
          che portò guerra là, dov'era pace
          con avidità d'uccello rapace;
          In quella Terra D'Africa Orientale
          che per l'italica gente fu fatale.
          Era di venerdì l'infausto giorno,
          lenta la campana dava il mezzogiorno,
          poi, il vento sibilava acutamente
          mentre la sera avanzava lentamente.
          Di fulmini brillava il cupo cielo
          e tutt'intorno era freddo e gelo.

          Era carestia totale, la più profonda.
          Indotta dalla circostanza immonda
          per quella guerra sciagurata e dura
          che cacciò la gioventù dalle sue mura.
          In questo clima squallido e miserando
          la vita mia s'incamminò arrancando.
          Man mano che m'avanzava io negl'anni
          piangere vedea mamma per gli affanni,
          mentre mi carezzava il volto dolcemente
          mi ripeteva, stanca, tristemente:
          Nato sei in miseria e nell'inferno
          chissà se pace avrai, tu, qualche giorno!

          Era lo stato che da marmocchio vissi,
          precari i giovanili anni pregressi,
          e ora che m'affaccio all'età vetusta
          anche la vecchiaia appare guasta.
          Perché mi si domanda? È presto detto:
          L'epoca cui viviamo l'uomo ha corrotto
          per cui pur quelli che ti stanno in petto
          di stima, pure loro, fanno difetto.
          Così gli affetti che mi stanno a fronte
          Pur'essi, mio sangue, sono indifferenti.
          Degli altri se ne faccia un fascio solo:
          tutti d'accordo, man lasciato solo.
          Morrò con dolore dentro il cuore
          per mancanza d'affetto e loro amore.
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            Scritta da: Nello Maruca

            Il sogno di un sogno

            È una serata cupa, lampi e tuoni;
            due nipotini dormono buoni, buoni.
            Stanno vicino l'uno all'altro stretto
            in quello che lor chiamano grande letto.
            Accanto v'è la nonna, tutt'amore,
            che per lor prega Iddio, nostro Signore.

            Il vento ulula forte, un gran lamento,
            prendere sonno, quella notte, stento
            mentre il rumor dei tuoni di tanto in tanto
            riporta il pensier mio alla stanza accanto,
            a papà mio, a nonna Giovannina
            a mamma, a zia donna Esterina

            al papà di mia moglie, alla mammina,
            alle sorelle lontane e alla vicina.
            Tutti in rassegna passo i miei parenti,
            ne conto tanti, cinque volte venti;
            gli occhi sono stanchi, lacrimanti
            così mi fermo senza andar più avanti.

            Mi ritrovo, di botto, in un salone
            zeppo di sedie, tavoli e poltrone.
            Una ad una riempiono la stanza
            innumerevoli persone, in allegranza.
            Per prima accanto a me siede mia moglie,
            all'altro lato siedono due figlie

            seguono di mia moglie e me le casate
            e a lunghe sopracciglia due antenate.
            Entra, po, a passo lento e cadenzato
            L'Arciprete Battista accompagnato
            da Ciccio maresciallo assai compìto
            nonché il fratello Giuseppe, l' erudito.

            Con cinque germogli dal festante viso
            i miei figli maschi mi stanno a fronte,
            alla lor destra è giovane in sorriso
            e accosto di famiglia altro esponente.
            Sono i nipoti primi, alti e snelli
            c'hanno valor d' inestimabili gioielli,

            segue la femminuccia dai neri capelli,
            occhi castani, luminosi e belli.
            Nella festante, gioiosa ricorrenza
            allieta la serata la presenza
            la discendenza dei tanti parenti.
            con allargata ceppi, lì presenti.

            S'avvera  il desiderio di tant'anni
            vissuti in sofferenza e negl'affanni
            di vedere presenti tutti quanti
            a cerchio radunati, esilaranti.

            Finito il sonno s'azzera l'incanto
            E nello core rilacrima lo pianto.
            Giacché tutto vissuto ho nel sonno
            Che portato m'ha a far questo bel sogno.
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              Scritta da: Nello Maruca

              Il casanova

              Conosco, un dongiovanni
              che a soli dodici anni
              già comincia l'azione
              della dolce seduzione.

              Ora va guardando a manca
              per cercare qualche gamba,
              poi lo guardo mena a dritta
              a cercare una coscritta.

              Giovincella oppure vecchia
              purché resti nella cerchia
              differenza non è alcuna
              che, comunque, tocca la luna.

              Se è guercia o zoppicante
              ne fa uso solamente
              per tre giorni: Poi più niente.
              Appagato ha già la mente.

              Se conquista la biondina
              la ricerca ogni mattina
              e a sera la consola
              nel non farla restar sola.

              Se per caso, poi, è bruna
              ne fa uso fino all'una
              e la lascia solamente
              a motivo della gente.

              Sia ch'è bionda, alta e snella
              sia ch'è bruna, grassa e bella,
              sia ch'è storpia, bassa e racchia
              sia rugosa, storta e vecchia,

              sia ch'esperta all'esercizio
              o che ancor non tenga vizio,
              purché abbia l'orifizio
              solo uno è il giudizio:

              Ella è donna: Tanto basta,
              perché nulla cosa guasta.
              Mi si chiede qual è il nome
              di cotanto bestione;

              Ma per mia delicatezza
              dir non posso la sua razza,
              però indico la via
              sol per mera cortesia.

              Via Rosario par che sia;
              par dimori in quella via.
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                Scritta da: Nello Maruca

                Disgrazia

                Quest'oggi il nervosismo è culminato,
                per questo ogni fatica ho trascurato,
                dopo avere girovagato alquanto
                entro deluso nella stanza accanto.

                Quel che quest'anno qui è capitato
                è avvenimento che va raccontato
                alfin che sappia chi ci ruota intorno
                della confusion che regna e del frastorno.

                Abbia pietà di nuova circostanza
                e prenda dell'ambiente nuova coscienza
                onde non abbia lui ad adirarsi
                e non costringa altri a morsicarsi.

                Approda, cheto cheto, a dirigenza
                uomo discreto dai capelli senza;
                non un mugugno mai, non una lagna,
                convive la miseria e si rassegna.

                Al contrario, però, vive quest'io
                che pur con nostalgia, fuori d'astio
                mi contorcio, mugugno e pur mi lagno
                tanto che cancrena l'ho financo in sogno.

                Guardo, lì, seduta a tavolino
                donna vestita d'abito di lino
                che al posto ci cercare d'operare
                dilettasi sulla sedia a dondolare.

                Lumacone somiglia a movimenti:
                Lenta nel fare, lenta in spostamenti.
                Con il lavoro pare ci si culla,
                a fine giorno non conclude nulla.

                Delle tante disgrazie è la più magna
                che capitata m'è tra nuca e collo,
                meglio se fosse assente alla bisogna
                ch'è personaggio di corto cervello.

                L'è di coronamento buon compagno
                che in tela incagliato pare sia di ragno.
                Prende, pone, riprende e poi ripone,
                s'arrovella, si strugge e non compone.

                Dai gesti, dal parlar, dal comportare
                i due al mio cervello fanno pensare:
                Bisognerebbe metterli in struttura
                ove potere offrir sicura cura.

                Stanco di permanenza in sì squallido
                loco mestamente m'avvio allo stanzone
                donde mi par proviene una canzone;
                accanto alla finestra è uomo gelido

                che al collo cinghia tiene penzoloni
                mentre reggesi con mano i pantaloni.
                M'accosto, al saluto mio risponde:
                Hai visto al monte che bell'alte onde?

                Brillano gli occhi, tremano le mani;
                presto men vò dicendo: Addio, a domani.
                Nel corridoio restano tre, in crocchio,
                che prima mai incontrato avea mio occhio.

                L'uno in altezza supera la norma
                e dall'aspetto parmi non sia in forma.
                Mi dà conferma, di mia impressione,
                al mio saluto, la truce espressione.

                Dei rimanenti due uno s'inchina,
                l'altro lancia coriandoli e farina.
                In aria li sparpaglia e volan via
                mentre gl'astanti invocano Maria.

                Sbigottito del far di quei signori
                accedo alla sala di lettura
                ove di doglianza carca e malumori
                trovo persona di scarsa cultura.

                In serbo tiene solo sconoscenza,
                superbia, arroganza ed indignanza **
                d'intemperanza tien comportamento
                e mostra di suo volto abbrutimento.

                Delle manchevolezze mie non dico:
                Quello che faccio spesso lo modifico.
                Dico soltanto che non son quel ch'ero,
                mi scordo quel ch'ò detto e se pur c'ero.

                Arricchito di sì tant'indigenza
                lesto men torno all'usuale permanenza
                convinto che l'ambiente mio disabile
                è, comunque, degli altri il più agibile.
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                  Scritta da: Nello Maruca

                  All'amato

                  Quando su prato il fiorellin germoglia
                  e il sole di primavera scalda e accresce
                  così, per te, l'amore mio arde e si pasce
                  e ingigantisce di te più la mia voglia.

                  Il fiorellin che spoglio nasce su prato
                  al sole che lo scalda, però, fa voto
                  sciente che a carità è da ignoto
                  così lo calor ch'il nutre lo fa grato.

                  Io t'ho dell'amor mio gratificato
                  avendoti al core la porta schiuso
                  e l'essere tutto mi resta confuso
                  e pure un poco, ahimè, amareggiato.

                  Poiché lo foco ch'ò arde e consuma
                  e ogni dì di più s'innalza e avanza
                  purtuttavia non scuote tua coscienza
                  e al grand'amore mio non si costuma.

                  L'amore m'ha invaso anima e corpo
                  e gli occhi mi costringe a lungo pianto:
                  Nemmanco tieni un poco di compianto
                  e lasci incolto il rigoglioso orto.

                  Non fare che si trasformi a malasorte
                  e cingi l'amor mio a forte abbraccio,
                  non far che per un misero capriccio
                  trasformi tant'ardore a triste sorte.
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