Le migliori poesie inserite da Nello Maruca

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Scritta da: Nello Maruca

Ninna nanna

Galoppando il bianco giglio
viene portandomi mio figlio.
Mamma è qui, aspetta te,
mamma è qui, tutta per te.
Sogno sempre il tuo visino,
vedo te, o, mio bambino.
Qui, accanto al focolare
mamma resta, sta a sognare.
Resto e sogno il mio bel Re,
resto qui, aspetto te.
Nel mio sogno c'è la culla
che ti dondola e trastulla.
Nella culla fai la nanna
amor grande della mamma.
M'hai rapito già il cuore
o mio grande, dolce amore.
Fai la ninna, fai la nanna
dolce bimbo della mamma
ch'io ti veglio, ti sorveglio
fino a quando resti sveglio.
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    Scritta da: Nello Maruca

    L'avaro

    In loco del vero Iddio, l'Onnipotente
    Altro ne tiene in cuore il gran furfante:
    Lui disconosce il Padre, l'Onniveggente
    ma dei possedimenti è grand'amante.

    Sol la materia tiene a conoscenza,
    della spiritualità nulla curanza.
    Vive contando i beni di giorno in giorno
    e solo la roba, null'altro vede intorno.

    Produce il vino ma lo vende a botte,
    e delle mandrie vende latte e ricotte
    Olio! Un cucchiaio per l'intero giorno,
    un tozzo di pane e cacio a mezzogiorno

    e delle mandrie vende latte e ricotte;
    il volto tiene scuro e l'occhio bieco.

    Ha men la vista, quasi divien cieco.
    Valersi dell'oculista è uno spreco.
    Schiavo della ricchezza, n'h'arsura
    mentre il denaro lo presta a usura.
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      Scritta da: Nello Maruca

      L'augurio

      Per quanto la vita è dono divino
      Pur tuttavia cosparsa è di periglio,
      trova nel corso guai e scompiglio
      e spesso è trafitta da pungente spino.

      Colpa spesso del crudel destino,
      A volte anche per umano sbaglio
      che non capisce quando dare taglio
      E spesso la linea varca del confino.

      Non sia la bellezza, indi, d'affanno
      Né la sincerità mai sia d'inciampo
      E non sia di vita il percorso invano.

      Sia la sincerità immenso campo
      Ove esistenza scorra sempre a piano
      E la bellezza non ti sia d'inganno

      Quest'oggi per volere del Somm'Iddio
      Varchi la soglia degl'anni diciotto,
      l'augurio che ti fò: Varca i centotto
      in salute, pace e nel timor di Dio

      Godi l'amore e il patern'affetto
      E al bisogno sii al materno petto,
      allato l'amore dei vetusti nonni
      senza sdegnare quello dei bisnonni.

      Sii serena nei pur certi affanni
      E nei travagli che la vita dona
      Ch'essa, giammai, a nessun condona
      Pene, sospiri e puranco inganni.
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        Scritta da: Nello Maruca

        III

        Vecchio sono e bianco sono di testa
        Ma devo ancora fare l'ultima corsa,
        pur la famiglia resta negl'occhi desta
        pensando qual sarà l'ultima morsa.

        Stanco sono, avanti son negl'anni,
        volenterose restano, però, le spalle
        a sopportar lo peso degl'affanni,
        esplorare la cima il piano e valle

        alla ricerca del dolce Sembiante.
        Certo ch'altrove l'avrò: nel Paradiso.
        Distrutto vo a scovarlo col sorriso
        Nella presunzione di cercatore fervente

        Poiché vogliolo,, pure qui, sopra la terra
        Con la passion di chi guerriero è in guerra.
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          Scritta da: Nello Maruca

          Lo scoramento

          Solo mi sento e desolato pure
          dacché a mancare mi vennero le cure
          di quanti nutro affetto e amore puro
          e dall'or lo tempo m'è amaro e duro.

          I vecchi affetti tutti in cor li tengo,
          spiritualmente tutti a me li stringo
          che se puranco, son fuggiti via
          parte son sempre della carne mia

          Di mamma l'immago tengo avanti
          che mi consola per i tanti assenti;
          papà mi dice col sorriso mesto
          sii negl'affetti ognora vigile e lesto.

          Ma anche stamane mi fui ancor deluso
          notando al fratel mio lo cuore chiuso
          giacché incontrato accennai un sorriso
          ma lui restassi fermo e tetro in viso.

          Allor bruciommi il petto tutto quanto
          e mesto restommi e deluso alquanto
          poiché l'alma si ravvivò al tormento
          ed ogni speme persi in quel momento.

          La voce mi venne dell'amata Mamma
          che muta sussurrommi flemma, flemma:
          non dare peso a quanto capitato,
          sia il fratello ch'ai da sempre amato.
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            Scritta da: Nello Maruca

            Al mio maestro peppino

            Cinquanta d'anni ne son già trascorsi
            e sentieri impervi tanti ne ho percorsi
            così come puranco, assai di rado,
            varcato, serenamente, ho qualche guado.

            Ma sia che tempesta o bonaccia fosse
            giammai lo pensier mio da te si mosse
            e, per i ricordi del tuo grande affetto
            t'hò, piacevolmente, tenuto nel mio petto.

            Rivedo il lungo, dolce viso sorridente
            in quell'amabile fare accattivante;
            ricordo quel primo assai felice incontro
            che ai timori miei non fu riscontro.

            Avvenne il quinto giorno di lezione
            che perdemmo con "Turuzzo" la ragione;
            ci accapigliammo come due leoni
            per la macchia d'inchiostro sui calzoni.

            Mettesti me sulla coscia destra
            "Turuzzo" lo ponesti sulla sinistra
            e facesti che morisse quel rancore
            donandoci il sorriso del tuo amore.

            Stretti ci trovammo in un abbraccio
            mentre le lacrime solcavano le facce.
            Una carezza ancora, un bacio in fronte
            e fummo alla lavagna a far la conta.

            Questo il primo insegnamento che mi desti,
            tant'altri mano a mano ne seguisti
            e lo facesti con la nobile arte
            che dello spirito tuo faceva parte.

            Il senso di Dio nascere mi facesti.
            di Colui che dal nulla creò i Corpi celesti;
            di Chi tutto sa, tutto conosce e vede
            e dona vita eterna a chi Gli crede.

            Nacque, così, nell'alma mia la volontà
            di pregarlo e venerarlo in umiltà.
            Questo il buon seme che mi regalasti
            dacché con pazienza e amore mi seguisti.

            Presto il seme maturò buon frutto
            tanto che ad esso da allora devo tutto.
            Infondendo con la bontà l'amore in petto
            dell'essere mio facesti un uomo retto.

            Oprare potevi solo tu questo prodigio
            col dire e il fare nel contegno ligio.
            Grazie, caro maestro mio, Grande maestro;
            per tutto questo, grazie mio caro Maestro.
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              Scritta da: Nello Maruca

              Disgrazia

              Quest'oggi il nervosismo è culminato,
              per questo ogni fatica ho trascurato,
              dopo avere girovagato alquanto
              entro deluso nella stanza accanto.

              Quel che quest'anno qui è capitato
              è avvenimento che va raccontato
              alfin che sappia chi ci ruota intorno
              della confusion che regna e del frastorno.

              Abbia pietà di nuova circostanza
              e prenda dell'ambiente nuova coscienza
              onde non abbia lui ad adirarsi
              e non costringa altri a morsicarsi.

              Approda, cheto cheto, a dirigenza
              uomo discreto dai capelli senza;
              non un mugugno mai, non una lagna,
              convive la miseria e si rassegna.

              Al contrario, però, vive quest'io
              che pur con nostalgia, fuori d'astio
              mi contorcio, mugugno e pur mi lagno
              tanto che cancrena l'ho financo in sogno.

              Guardo, lì, seduta a tavolino
              donna vestita d'abito di lino
              che al posto ci cercare d'operare
              dilettasi sulla sedia a dondolare.

              Lumacone somiglia a movimenti:
              Lenta nel fare, lenta in spostamenti.
              Con il lavoro pare ci si culla,
              a fine giorno non conclude nulla.

              Delle tante disgrazie è la più magna
              che capitata m'è tra nuca e collo,
              meglio se fosse assente alla bisogna
              ch'è personaggio di corto cervello.

              L'è di coronamento buon compagno
              che in tela incagliato pare sia di ragno.
              Prende, pone, riprende e poi ripone,
              s'arrovella, si strugge e non compone.

              Dai gesti, dal parlar, dal comportare
              i due al mio cervello fanno pensare:
              Bisognerebbe metterli in struttura
              ove potere offrir sicura cura.

              Stanco di permanenza in sì squallido
              loco mestamente m'avvio allo stanzone
              donde mi par proviene una canzone;
              accanto alla finestra è uomo gelido

              che al collo cinghia tiene penzoloni
              mentre reggesi con mano i pantaloni.
              M'accosto, al saluto mio risponde:
              Hai visto al monte che bell'alte onde?

              Brillano gli occhi, tremano le mani;
              presto men vò dicendo: Addio, a domani.
              Nel corridoio restano tre, in crocchio,
              che prima mai incontrato avea mio occhio.

              L'uno in altezza supera la norma
              e dall'aspetto parmi non sia in forma.
              Mi dà conferma, di mia impressione,
              al mio saluto, la truce espressione.

              Dei rimanenti due uno s'inchina,
              l'altro lancia coriandoli e farina.
              In aria li sparpaglia e volan via
              mentre gl'astanti invocano Maria.

              Sbigottito del far di quei signori
              accedo alla sala di lettura
              ove di doglianza carca e malumori
              trovo persona di scarsa cultura.

              In serbo tiene solo sconoscenza,
              superbia, arroganza ed indignanza **
              d'intemperanza tien comportamento
              e mostra di suo volto abbrutimento.

              Delle manchevolezze mie non dico:
              Quello che faccio spesso lo modifico.
              Dico soltanto che non son quel ch'ero,
              mi scordo quel ch'ò detto e se pur c'ero.

              Arricchito di sì tant'indigenza
              lesto men torno all'usuale permanenza
              convinto che l'ambiente mio disabile
              è, comunque, degli altri il più agibile.
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                Scritta da: Nello Maruca

                All'adespoto

                Tu che all'ombra te ne stai, fango a dare
                In ogni dove, non t'accorgi che il tuo fare
                è spregevole e villano nel donare
                Di spergiuro, di bastardo e stupratore
                a chi intendi assai vilmente screditare
                Perché speri di salire quella china
                Irta e lontana che così tanto t'appare?
                Se divieni più civile la cima s'avvicina.

                Quanto al rito mafioso parmi essere
                Lontano. Tu l'affermi e io ti credo:
                alcun scambio non è stato. Sono vere
                le asserzioni. Malaffare non ci vedo.
                Quanto poi, ai lanzichenecchi, mercenari
                Di professione eran tutti per sbafare?
                E il regalo assai costoso magari
                Ti fa gola? Ti consiglio: Sappi aspettare

                Alla prossima annunciata sii leale
                e coraggioso. Alla fine del tuo scritto,
                Con caratteri ben chiari, scrivi il nome
                e il cognome così come qui facc'io.
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                  Scritta da: Nello Maruca

                  All'amato

                  Quando su prato il fiorellin germoglia
                  e il sole di primavera scalda e accresce
                  così, per te, l'amore mio arde e si pasce
                  e ingigantisce di te più la mia voglia.

                  Il fiorellin che spoglio nasce su prato
                  al sole che lo scalda, però, fa voto
                  sciente che a carità è da ignoto
                  così lo calor ch'il nutre lo fa grato.

                  Io t'ho dell'amor mio gratificato
                  avendoti al core la porta schiuso
                  e l'essere tutto mi resta confuso
                  e pure un poco, ahimè, amareggiato.

                  Poiché lo foco ch'ò arde e consuma
                  e ogni dì di più s'innalza e avanza
                  purtuttavia non scuote tua coscienza
                  e al grand'amore mio non si costuma.

                  L'amore m'ha invaso anima e corpo
                  e gli occhi mi costringe a lungo pianto:
                  Nemmanco tieni un poco di compianto
                  e lasci incolto il rigoglioso orto.

                  Non fare che si trasformi a malasorte
                  e cingi l'amor mio a forte abbraccio,
                  non far che per un misero capriccio
                  trasformi tant'ardore a triste sorte.
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                    Scritta da: Nello Maruca

                    Falerna mia

                    Sorridono sui monti gli alti faggi,
                    cantano in mare l'onde schiumeggianti,
                    il sol li sassolini fa splendenti,
                    rosso sul mar tramonto di suoi raggi.

                    Al core distensione loco dona,
                    dolce, lieve torpor la mente avvolge
                    ch'anima e core entrambi coinvolge
                    e tiepido calor le membra sprona.

                    Posto a ridosso de li verdi monti
                    ch'ossigeno gli dan e mane e sera,
                    olézzo di fior d'inverno a primavera,
                    l'addorme mormorio di pure fonti.

                    Una sol piaga, ahimè, è di tormento:
                    l'assenza di suoi nati miglior figli
                    che son per esso qual candidi gigli;
                    perciò si spira a poco, lento lento.

                    Spira pensando li lontani gigli,
                    spira, ma il cor trabocca di speranza
                    veder un dì veliero in lontananza
                    tra l'onde del Tirreno carco dei figli.
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