Le migliori poesie inserite da Nello Maruca

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Scritta da: Nello Maruca

Paese mio

Accovacciato ai piedi di montagna
posto è il ridente paese dei miei sogni;
guarda il Tirreno da sopra la campagna,
alle spalle coperto è di castagni.

Imponente svetta Monte Mancuso
ricco di faggio di verde scuro foglie,
con l'ontano pregiato di grand'uso
l'attenzione di chi lo guarda coglie.

Di piante verdeggianti sempre verdi
è circondato a mò di mur di cinta,
la gente l'accarezza di suoi guardi
innamorata di sua verde tinta.

Vanta tra nati di suo ventre uomini
dottii, illustri d'ogni sorta: dottori,
speziali e ingegneri, sonanti nomi:
prefetti, generali ed ispettori.

Ora paesino mio dolce ed amato,
i tempi sono andati del passato;
tutti gl'illustri tuoi si son dissolti
in casse chiuse e in neri panni avvolti.

Vivono in te solo persone ingrate
alla materia dal bene già sviate,
son solo belve ed avvoltoi rapaci
che d'amor patrio più non son capaci.

Come appassita pianta dell'alloro,
non più ridente come gli anni d'oro,
sol nell'orgoglio tuo mai svalutato
rimani afflitto, là, dove sei nato.
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    Scritta da: Nello Maruca

    La rondine e la rana

    All'apparire del solstizio estivo
    vaga la rondine per il ciel sereno
    e tutt'intorno inonda del garrir festivo.
    Ora repente in alto, ora s'abbassa
    or brevemente librasi, ora il terreno
    volteggiando lambe con scattante mossa.
    Nella belletta posasi per la materia
    del costruendo nido e alla rana
    che nella fanghiglia sguazza solitaria:
    Rotoli sozza e gracidi contenta
    e stai in cotanta puzzolente melma.
    In acqua, però, poi, mi rituffo attenta
    dice la rana; non tu che ne fai letto
    e giorno e notte ci rimani accolta.
    Mira il tuo sporco e ner'aspetto
    così t'accorgi che d'essa resti avvolta.
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      Scritta da: Nello Maruca

      Stranezza

      Costantemente in terra l'uomo è vilipeso
      perciò, ahimè, chi vive su questo Pianeta
      tosto, spesso, tiene voglia di giungere alla meta
      giacché più il tempo scorre più la vita è peso.

      Vuole il buon Dio, però, che in alto è altro Loco
      laddove si vive eternamente in piena pace
      dov'è quiete perenne; è luce, e tutto tace.;
      contrario di quanto si ha in questo fuoco. *
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        Scritta da: Nello Maruca

        L'onest'uomo

        Nel corso di sua vita un sentimento
        unico l'ha sempre accompagnato
        mai, in nessun tempo, nemmeno per un momento
        tal'alto sentimento l'havea abbandonato
        finché avvenne un dì scompiglio in mente
        sua che quale gran macigno schiacciavagli
        la coscienza e lo rendeva niente.
        Da energici e vitali flemmi

        i pensieri furo, tutto abbagliato
        vide e il male quale tarlo rodeva
        i buoni intenti e lo sbagliato
        al giusto s'imponeva e vile lo rendeva.
        Più pace mai s'avrà ché il sentimento
        se pur per poco lasso s'è dipartito
        altrove rendendolo sgomento
        talché triste morire non è ma desiato.
        Purità! Per tanti lunghi anni stata
        gli sei vicino, l'hai per man portato,
        l'hai sempre ben guidato: Eri appagata:
        Perché o purità lo hai abbandonato?
        Vero che in abituale tua dimora
        sei tornata ma il segno dell'assenza
        chi lo cancella mai? Quel ch'era allora
        più non sarà da ora. Più non è l'essenza.

        L'incerta fede che porta poco sollievo
        gli offre e chi, allora, più l'allieterà?
        Mai cercò onori, sempre ne fu schivo,
        e alla sua follia chi ora crederà?
        Fu la pazzia a travolgerlo, a fargli
        tanto male, soltanto in sette giorni
        sconvolsegli la vita come guerrieri in armi
        sconvolgono palazzi, rovesciano governi.

        Maligno maledetto! tutto gli togliesti:
        La sposa stanca e buona, i figli,
        i nipotini: Quanto cattivo fosti!
        Eri in agguato, colpisti con gli artigli.
        Dell'orto distrutto hai albero e frutto
        perciò desiderio della fine avverte
        così, Maligno, sei contento in tutto
        mentr'egli riposo avrà perché inerte.

        Vergogna nel guardare i figli porta,
        indegno d'abbracciare la sposa amata,
        non ha argomento no, nulla gl'importa,
        non ha coraggio a dire: O mia adorata.
        Il cuore t'ha trafitto o dolce donna
        per futile motivo e sciocco orgoglio;
        per lui sei stata portante colonna
        non piangere più di tanto la sua spoglia.

        Per lungo tempo di te pur degno fu,
        fu la pazzia a sviarlo da sentier verace
        e tu, soltanto tu, puoi sol saperlo tu
        che solo per te vorrebbe riaver pace.
        Al Creatore credeva ed al creato,
        mai prima aveva in sé alcun reato,
        dell'onestà teneva culto assai
        ma cadde in burrone profondo, ormai.

        La mente er'intontita e lui vagava,
        svaniva il sogno di restar coi suoi
        giacché il male per strada lo ghermiva
        e lo gettava infra immensi guai.
        Non fece, no, per nulla alcuna ruberia
        od offesa a qualunque esser vivente;
        giammai la mente sfiorò tal cattiveria
        ma di tal'azioni è meno che niente.

        Commise illecito che vergogna mena
        per quell'essere ch'è certo cristiano
        poiché irregolarità comporta pena
        di profonda ferita dentro l'animo.
        L'illegalità non fu contro persona
        e nemmanco ad essere vivente
        in generale, può parere strano
        ma il danno verso altri è inesistente.

        Il cruccio ch'à è d'essersi discosto
        da quant'imposto da Dio Salvatore
        perché, inopportunamente, con furbizia
        ha ricevuto ciò che lecito era
        in altro corretto modo, comunque, avere

        Da retta via dal diavolo distorto
        agli uomini non voleva esser di torto
        e preso da enorme orgoglio sciocco
        resta stordito in immenso fosso.
        Sol Dio può dare ristoro all'alma sua,
        ridare la serenità che prima aveva,
        chetar la pena che gli arde in petto
        giacché non volea mancargli di rispetto.
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          Scritta da: Nello Maruca

          La Leggiadria

          Dolce immago leggiadra donzelletta
          Da tondeggiante capo da lunghi
          coperto capei castano scuro
          appena cadenti su serena fronte,
          palpebre ondeggianti, cerulei occhi,
          greco nasuccio conferente stile
          a visino liscio, modellato
          da mento ovaleggiante,
          ben formato con su boccuccia
          da carnose labbra sorridenti,
          da prosperoso curvo seno
          a snella vita
          il tutto coronato vedo.
          È natural bellezza in esso
          affissa, al cui cospetto
          umanità resta perplessa
          e nell'opposto sesso
          in vena il sangue trilla.

          In luogo dei capei castano scuro
          teschio deforme è;
          laddove occhio ceruleo
          era favilla trapela buco nero,
          fondo, orrendo al par di sito
          cui pria era di spicco
          bocca da carnose rosseggianti
          labbra.
          Lungo quei ch'erano fianchi
          di crisma infusi penzolano,
          a lato, due ossei arti
          ch'orripilazione hanno
          su corpo tutto.
          Ov'erano due lunghe,
          tondeggianti gambe or sono
          due stinchi, disdegno
          dell'uman vivente.

          Questo d'ossume gli occhi
          della mente vedono allato.
          Ah! Dove finita è leggiadra immago!?
          Come divina natura oprare
          puote mutazione sì tanta?

          Alito è leggiadria che passa e va,
          non spirito che in corpo sta
          per proseguire, poscia,
          l'andar su le celesti vie.
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            Scritta da: Nello Maruca

            La donna impudente

            Se all'inizial pudore ritornasse,
            Se alle virtù perdute risalisse
            Se di bellezza minor sfoggio facesse,
            se minore uso della lingua avesse,
            se insita l'umanità in essa fosse,
            se il senso di famiglia più alto tenesse
            e se quando altri parla lei tacesse,
            se fulcro in tutto essere non volesse,
            se non per se ma più per gli altri fosse,
            se dei malori suoi poco dicesse
            e con l'amore i dissapori superasse,
            se il sorriso sulle labbra più tenesse
            e se le sue fattezze meno mostrasse
            e mente a maggiore riflessione ponesse,
            se nel guardare le minuzie trascurasse
            e se l'altrui duolo suo lo facesse
            e delle sue miserie men conto tenesse
            e non i difetti altrui ma i suoi vedesse
            e all'umanità più amor mostrasse,
            se tutte queste doti racchiudesse
            della casa regina ad esser tornasse.
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              Scritta da: Nello Maruca

              Il dono della vita

              Da quando Iddio tutto creò d'un fiato
              È risaputo che la vita umana
              Per dono l'ha donata Madre Natura
              E concepita l'avrebbe sì perfettamente
              Che di difetto dovrebbe essere assente.
              Constato, invece, ahimè, amareggiato
              Che il dono è dono sì ma osteggiato
              E che non è in toto, indi, compiuto
              Ch'appare albero spoglio e mal pasciuto.
              Qual dono essere può la vita umana
              Se nasce gente storpia e senza mani?
              Se gente muore di stenti e carestia,
              in guerre, pestilenze e malattie?
              Se tanto definirsi è esser dono
              Mi si risponda: cosa c'è di buono?

              Forse di buono è che all'altro Mondo
              delle privazioni si arriva mondo
              e si è elevati a dignità di Santo
              per non avere in terra avuto vanto.
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                Scritta da: Nello Maruca

                Falerna mia

                Sorridono sui monti gli alti faggi,
                cantano in mare l'onde schiumeggianti,
                il sol li sassolini fa splendenti,
                rosso sul mar tramonto di suoi raggi.

                Al core distensione loco dona,
                dolce, lieve torpor la mente avvolge
                ch'anima e core entrambi coinvolge
                e tiepido calor le membra sprona.

                Posto a ridosso de li verdi monti
                ch'ossigeno gli dan e mane e sera,
                olézzo di fior d'inverno a primavera,
                l'addorme mormorio di pure fonti.

                Una sol piaga, ahimè, è di tormento:
                l'assenza di suoi nati miglior figli
                che son per esso qual candidi gigli;
                perciò si spira a poco, lento lento.

                Spira pensando li lontani gigli,
                spira, ma il cor trabocca di speranza
                veder un dì veliero in lontananza
                tra l'onde del Tirreno carco dei figli.
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