Poesie inserite da Nello Maruca

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Scritta da: Nello Maruca
È già notte, un rintocco: è passata
mezzanotte, mi stiracchio e sbadiglio
m'alzo lesto pian pianino per non dar
risveglio al nido; gongolante odo
un coro nell'accosto alla finestra
che dal basso del fossato sale in volo
e si espande lentamente per le vie
del ciel turchino. Sono grilli, son cicale,
raganelle o grigi ghiri? Ci sono gufi
e pipistrelli o son solo le raganelle?
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    Scritta da: Nello Maruca

    L'ingannevole

    Al nefasto giudicio che destommi tema
    desolato mi dipartii e senza speme.
    Fu il dispero, tutto mi fu nero
    spiraglio alcuno non vedea, invero.
    Conobbi l'impotente debolezza,
    nullo e nessuno davami certezza.
    Nel Tempio mi trovai degl'Alemanni
    come deporre i tanti, molti affanni.
    Andò per tempo, non ricordo quanto,

    dalla Croce, la vista, all'Azzurro Manto.
    D'automa movenza fu all'accender cero,
    col cuore lo feci palpitante e nero.
    Quella fiammella tremula, pencolante
    poscia per l'alma mia fu illuminante.
    Parea un varco mi si fosse aperto
    in mezzo quel che grande era sconcerto.

    E, poi, di nuovo cupa desolazione
    e immensa ancora fu disperazione.
    Col cuore infranto, stanco, sconfortato
    in casa mi trovai, da trasportato.
    Mentre mi riportavo al luogo mesto **
    fu il pensiero mio determinato e desto
    a ripassar in quel ch'è Sacro Luogo
    onde scrollarmi del pesante giogo.

    Lì, rimasi infreddolito e stanco
    con quella spina che pungeami il fianco;
    Lo guardo riandò su l'Effige Santa
    e poi portossi alla Donna Santa,
    e mentre la guardavo la pregavo
    e nella prece tutto mi donavo
    e mi pareva d'essere ascoltato
    e mi pareva d'essere consolato.

    E più guardavo quell'Effige Santa:
    Abbi fiducia, abbine sì tanta
    e più parea che cenno mi facesse
    quasi che dir qualcosa mi volesse.
    L'Effige ch'è in Croce mi rispose,
    sulla testa Maria la Mano santa pose
    e quel ch'accadde, poi, non parmi vero:
    Schiarito fu, quel ch'era tutto nero.

    Ed il sorriso ritornommi in viso,
    lievi sentii le spalle, senza peso;
    leggero dentro, senz'alcun tormento
    un guardo, un grazie volsi al Firmamento.
    Schiacciato fu il diagnosticato prima
    poiché riposto avea tutta mia stima
    al Creator di tutto, al Redentore
    che sa donare gioia ad ogni cuore.

    Quanto l'Onnipotente è umile e verace
    tanto sei, uomo, tronfio e fallace.
    Composta lunedì 30 novembre 1998
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      Scritta da: Nello Maruca

      Il contadino

      Lenta la nebbia s'alza dal mare alla montagna
      coprendo il cielo azzurro di luttuoso manto
      mentre la massaia accanto al focolare
      a rimestare intenta è il desinare.
      Di presso, del cane l'abbaiar rabbioso s'ode
      e di tanto un raglio sgradevole l'accompagna
      col muggito del ruminante bue cui il belar
      della lanosa pecora fa eco col grugnire
      d'un maiale che del rumoreggiare pare stufo.
      Il rude contadino sul ceppo assiso
      pensoso è del domani; di quello che sarà:
      Pioggia, vento o neve o il sol risplenderà?
      Così, assorto, in ansia mesto sta.
      La pipa tra le labbra; il fumo in alto va
      e stanco, un sonnellino seduto resta e fa.
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        Scritta da: Nello Maruca

        Ninna nanna

        Galoppando il bianco giglio
        viene portandomi mio figlio.
        Mamma è qui, aspetta te,
        mamma è qui, tutta per te.
        Sogno sempre il tuo visino,
        vedo te, o, mio bambino.
        Qui, accanto al focolare
        mamma resta, sta a sognare.
        Resto e sogno il mio bel Re,
        resto qui, aspetto te.
        Nel mio sogno c'è la culla
        che ti dondola e trastulla.
        Nella culla fai la nanna
        amor grande della mamma.
        M'hai rapito già il cuore
        o mio grande, dolce amore.
        Fai la ninna, fai la nanna
        dolce bimbo della mamma
        ch'io ti veglio, ti sorveglio
        fino a quando resti sveglio.
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          Scritta da: Nello Maruca

          Saggio Corona di sonetti LXXIX

          In materia che segue: Geografia
          la dissertazione non muta faccia,
          simile a precedente d'acqua par goccia,
          le altre discipline son radiografia.

          L'isegnamento è rigido, in cortesia
          e a voce calma, ferma ed a braccia
          conserte i docenti seguono la traccia
          chiedendo connotazione a discrasia. (1) mescolanza

          Durante i minuti di ricreazione
          i commenti tra noi volano in cielo,
          ch'ognuno pone sua supposizione.

          Se la mente frugasse il nostro intimo
          squarcerebbe da li nostri occhi il velo
          ricordo dir del Preside per primo;

          ché quel primiero giorno ben lo disse
          di non tenere velo ch'offuscasse.
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            Scritta da: Nello Maruca

            Saggio Corona di sonetti LXXVI

            Oggi l'ora ch'è dedita al latino
            l'omaggeremo a Lucrezio e Catullo,
            dell'uno la poesia e del mondo il crollo
            dell'altro Opere, i Carmi e lor declino.

            Districare non si può in un mattino;
            tali sono menti d'alto livello
            perciò gravoso è loro fardello
            e recepire si può pian pianino.

            Nessuno sogni essere impreparato,
            quel che fin qui ho detto va risaputo
            e nel contesto essere migliorato.

            La strada intrapresa è in agguato,
            quindi sia l'oggetto ampio e compiuto
            e senz'uscire, mai, dal seminato.
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              Scritta da: Nello Maruca

              La capinera

              Nell'incavato fusto di ciliegio
              Di capinera è custodito letto
              Ch'esperta costruito ha in mod'egregio
              In loco ritenuto sicuro tetto.
              Tenerissime fibre l'hann'intrecciato
              Con diligente architettura innata
              Da testa nera, con fare ricercato
              Per schiudere le uova dell'annata.

              Poscia, nel caldo, morbido lettuccio
              Depositò tre uova corpo grigio
              Sicura che mai avesse avuto cruccio
              Né che suo cuor divenisse bigio.
              Ma l'arbusto che non dava frutto
              Era d'impaccio all'animal'eretto
              Che non sopporta non avere tutto
              e nel demolire il legno scassa il tetto

              di quella capinera dolce e buona
              che sotto già teneva tre nudetti
              da poco della schiusa dei tre uova
              di pelle ancora scura, i piccoletti.
              Implumi ancora, sol boccucci'aperta
              per quell'impulso di sopravvivenza
              la testolina, ora, all'ari'aperta
              cercando vanno di mamma la presenza

              che svolazzando nei d'intorni e presso
              cinguettando, desolata, va piangendo
              e s'avvicina e s'allontana spesso
              e spaurita va dall'uman fuggendo.
              Da mane dura l'andirivien'ardito
              e par che preghi: Va! O uomo crudo
              non vedi il nido mio com'è avvilito?
              Perché in petto tieni cuore sì duro?

              È sera, ormai, e l'uomo via sen va
              Indi la capinera è sul morente nido,
              un piccoletto afferra e vola e va
              penzoloni altro trasporta al posto fido
              torna, festante in becco stretto
              l'ultimo ai fratellini affianca
              sotto provvido e fortunoso tetto
              e accanto giace, finalmente, stanca.

              Quant'amore traspare in sì tal'atto!
              Quant'affetto racchiude piccol volatile,
              quant'altruismo quel corpicino ha in petto,
              quanta bontà, quanta dolcezza e stile.
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                Scritta da: Nello Maruca

                Il gentiluomo

                Disquisire di te, del tuo sembiante
                arduo perviene a me vate cadente
                che altre sublimi Menti aviano vanto
                con diligenza dire di tanto manto.
                La testa ch'è vagante e pertinace
                non tiene pace a essere incapace

                e allora s'inoltra nell'oscura selva,
                tenacemente, ad affrontar la belva.
                L'arma con cui combatte è una penna
                che patisce dir del cervel ch'affanna,
                che s'arrovella e non trova forma
                l'enunciar che vorrebbe in piena norma.

                Mò pare che irta poco meno è l'erta,
                indi, la scritta scorre un po' più certa.
                Entra nel mezzo di folta foresta
                e, caparbiamente, a belva tien testa.
                Vede la bontà dell'esser tuo, descrive
                la dolcezza del tuo cuore, rivive

                quanto grande per l'altrui hai amore
                e della carità lo gran spessore.
                Ma nell'andare incespica, cade, s'alza,
                si rincammina, ricade, sobbalza
                ma intricato di cespugli è il loco
                indi la penna più non regge il gioco.

                Si sfiducia, s'abbatte, indi, soggiace.
                ma sol per poco, essa, però, si tace.
                Chè una penna pur debole e flemma
                si scalda e brucia più d'immensa fiamma,
                e ancora maggior  di fiamma rossa diviene
                se a bontà s'affaccia e non a pene.

                Qui la dolcezza, in breve, vuol narrare
                d'uomo gentile che sa soltanto amare.
                Di te vuol dire, Cavaliere illustre,
                della schiettezza limpida, campestre
                ch'altra maggior, giammai, rilevi altrove
                e puranco la scorza zotica rimuove.

                Cuore gentile, colmo d'ogn'affetto
                che per il ben'altrui non tien difetto,
                proclive e lesto a propinar man forte
                e al bisognoso schiudere le chiuse porte.
                Se di un essere eretto già hai scritto
                e anche in verbo ripetuto e detto

                della dolcezza e umanità infinita
                ch'altro vuoi dire che porta in sé tal vita?
                Ch'altro un uomo può aver che spinge
                oltre la carità e che dolcezza aggiunge
                a stile, bontà, fede e grand'amore?
                Se cotante virtù racchiude in cuore

                cosa vorresti, penna, dire più ancora?
                Qui, diletto amore, la mente si scolora
                perciò t'implora a gentil riflessione
                alfin che t'ammanti di comprensione
                e per la mente che troppo vacilla
                quanto pel cuore che in pett'oscilla.
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                  Scritta da: Nello Maruca

                  L'opportunità della vita

                  L'Onnipossente, immenso Creatore,
                  l'Iddio che dell'Universo è fondatore,
                  che dal nulla formò cielo, terra e mare
                  che se odiato sa soltanto amare
                  onde lo sacrificio del Figliol non fosse vano
                  all'uomo crudele volle stendere la mano.
                  Decise, quindi, di donare due calle;
                  l'una che scende liscia verso valle
                  l'altra di rovi cosparsa, macigni e sassi
                  che difficoltoso è muovere i passi.
                  La prima mena dritta al fuoco eterno
                  Perché percorsa dal male dell'inferno;
                  la seconda stretta, cosparsa di pece
                  porta alla carità, la luce e pace.

                  L'una a misura di cattivi e stolti
                  l'altra pei buoni, di carità avvolti.
                  Queste le opportunità che Dio ha dato;
                  a noi andare a destra o a manco lato.
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                    Scritta da: Nello Maruca

                    Luce

                    Raggio di sole apparso è in firmamento
                    ch'illumina ogni ambiente circostante
                    mentre calore inietta ogni momento
                    in cuore di chi resta suo amante.

                    Il raggio ch'è apparso è imponente
                    poiché coronamento d'amor grande
                    in gesti e in movenza aitante,
                    intorno armonia, qual capinera spande.

                    Sì, qual persona il nome è grande
                    che in Pietro da Gesù fu trasmutato,
                    dall'une a benedire fu, all'altre sponde
                    canco di guarigione decision fu dato.

                    Indi, Simone pescatore è Pietro
                    ch'assecondar divino deve disegno
                    e della Chiesa è sesquipedale Pietra
                    Perciò esser Simone per tutti è sogno.
                    Composta martedì 5 giugno 2001
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