Poesie inserite da Nello Maruca

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Scritta da: Nello Maruca

Fatina

Per caso t'incontrai in quel paese
ove mai pensato avrei m'innamorassi
quando saltavo tra quei fossi e sassi
e, lesto, preparai il mio maggese.

Trascorso abbiamo già cinque cinquine,
di cinquina la sesta già cammina
e tu rimasta sei quella Fatina
ch'io intravidi quel dì tra le tendine.

In questi cinque già passati lustri
migliore non potevi farmi dono:
Gioielli son dal viso dolce e buono
quei cinque che donato m'hai di Astri.

In quest'anni di mutato hai solo gl'anni.
Per il resto sei com'eri: Dolce e buona
com'allora, dolce sei tuttora e buona
e mutato manco t'hanno i grand'affanni.

In trent'anni andati via divenuta
sei maestra di bontate e di dolcezza,
nell'alma tua c'è sempre giovinezza
e resti la Fatina che giammai muta.

Tanta tristezza mi riempie il cuore
il ricordo dei dì passati invano
quando tu, dolce com'ora, piano piano
mi donavi te stessa a tutte l'ore.

Sol mi consola l'accresciuto affetto
e par che le colpe un poco sminuisce
perché, per te, l'affetto non svanisce
ma rafforzar lo sento nel mio petto.

Or mio è il tuo male se malata sei,
se piangi tu, nel cuore lacrim'anch'io,
se stanca sei, ahimè, stanco son io,
contento son pur'io se tu contenta sei.

Tanto m'hai dato e tanto poco ho dato!
Ah! Se potessi indietro ritornare
amor d'amore tornerei ad amare
e sempre più vicino ti starei,
come al padrone il cagnolin fidato.
Composta mercoledì 30 novembre 1988
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    Scritta da: Nello Maruca

    L'Angelo

    In quel prato verdeggiante dall'odore
    di bianco giglio, all'ombra di due tigli
    son gioiosi quattro teneri germogli
    che bellezza e candore tengono
    più dei miglior fiori. Non son rose, nemmanco
    gigli, sono gioie, amorevoli son figli.
    Ma in un dì assai funesto tutto tosto
    divien mesto per volere della dea
    matta che al focolare dei giusti buoni
    pene dona, dolori e guasti.
    Là, nel mezzo di una siepe di quel lieto
    orto virente si spalanca all'improvviso
    una gola nera e fonda che una Gioia
    ingoia e scaglia nelle viscere profonde.
    Lestamente si richiude e la Gioia
    nella melma con vigore affonda
    e schiaccia e la stritola e affoga.
    Lento, sotterra, scorre fiume silente
    e l'inerte Spoglia in se, in un abbraccio,
    accoglie. Senza sbalzi, quietamente,
    la trasporta dolcemente e la dondola
    e trastulla come mamma bimbo in culla.
    Soavemente la quiet'onda l'accarezza
    e con amore fuor da terra, indi, la pone
    sulla spiaggia in faccia al sole
    che al contatto del calore divien Stella
    e in Cielo si trova. Dalla veste lunga
    e bianca un Arcangelo l'affianca
    e per la lustra Via al cospetto la conduce
    di Colui ch'è pace e luce. Un sol bacio,
    un sorriso ed è Angelo in Paradiso.
    Dalla Reggia dei Beati spande luce
    agli assetati e invita con ardore
    a ber l'acqua del Signore. A quei Tigli
    tanto cari stanchi e privi di vigoria
    li incoraggia e sorregge carezzando
    i cuor dolenti col sorriso dell'angelico
    suo viso, lo splendore dei begl'occhi,
    la dolcezza e il candore dell'immenso
    gentil cuore ch'elargisce gioia e amore.

    O, tu mamma triste e pia sii più forte,
    sii qual Maria. Pensa solo che sto in pace
    e che assieme alle altre Stelle sono
    luce al firmamento. Se tu guardi il Cielo
    a sera una Stella più lucente
    si riflette nei tuoi stanch'occhi. Quella Stella,
    mamma, son io che per te prego il buon Dio.

    A te, padre mio adorato, sofferente
    e addolorato, non star triste: Vivo
    in Casa dei Beati ch'è accosta
    ai Santificati. Tutto è pace,
    tutto è quiete, tutto splende, tutto tace.

    Tu che in terra fosti pria la lucerna
    di mia via perché hai perso il luccichio?
    Non sai tu, o sposa mia, che sto in Cielo
    per le vie? Non sai tu che il Loco Sacro
    ho raggiunto del Gran Padre? Il tuo uomo
    più non sono, son di più, molto di più:
    Sono l'Angelo custode che ti guido,
    ti consolo e son teco in ogni dove.
    Composta giovedì 30 novembre 2006
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      Scritta da: Nello Maruca

      Rimpianto

      Perché non torni mamma a far la mamma?
      Perché non riedi a noi addolorati
      E ai piccoletti far la ninna nanna?
      Perché rest i lontana dai tuoi amati?

      Da quando ti partisti, o dolce mamma,
      Il focolare in casa è sempre spento.
      Nessuno attizza più la rossa fiamma
      Dacché verificato è il triste evento.

      Quando ronzavi in casa era un incanto;
      nessuno gioca ora né suona e ride
      e gli occhi son velati e sempre in pianto;
      cotanta tristezza mai alcuno vide.

      Vengo là dove giaci, pel saluto,
      E più triste ritorno all'abituro
      Perché al mio saluto il tuo è muto.
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        Scritta da: Nello Maruca

        Invito

        Io intuisco, amore, quant'è doglioso
        l'affetto aver perduto dei più cari,
        quant'attristato s'è il cuor voglioso
        per quegl'amori fattisi assai rari.

        L'animo nobile tuo avea creduto
        ch'avrebbe sempre avuti e mai perduto.
        L'illusione è grande, assai penosa
        e accresce lo pensare chi in ciel riposa.

        Colei che vesti d'Angelo ha indossato
        stretta tienti la mano in ogni ora.
        Guarda, ti dice: Il capo com'è ornato
        dei più bei fiori e come giglio odora.

        Di me non t'attristare: Sono beata,
        vivo il riposo eterno: Dissetata;
        Un posto accanto a me t'ho riservato
        di luce luminosa tutt'ornato.

        Intanto resta lì, tra le tue perle
        alfin che la tua luce ancor le lustri,
        in ansia più di tanto non tenerle,
        a chi t'ha tolto affetto amor dimostra.

        Angoscia tanta e tanta n'hai provata;
        ascolta ora me, la tua adorata:
        Resta distesa ognor ch'io son felice,
        tale sarò ancora se tu stai in pace.
        Composta sabato 30 novembre 2002
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          Scritta da: Nello Maruca

          L'abbondanza

          Quando in casa poco c'era
          Si giocava e si rideva,
          ora che zeppo è ogni loco
          né si ride né si gioca.
          Tutto quanto appare poco
          e sia il riso sia il giuoco
          tramutati sono in fuoco.
          Le bevande e vettovaglie
          Fan salire altre voglie
          e niuno è più contento
          Di benessere cotanto.
          C'è, perciò, solo lagnanza
          Per la scelta e l'abbondanza.
          Sol li nonni e li bisnonni
          Con gli zii già ottantenni
          Dirimpetto sono al fuoco
          Ben contenti di quel poco
          Chè rammentano che c'era
          Gran miseria da mane a sera.
          Ricordano il passato,
          sanno quanto ch'è costato,
          sanno quanti patimenti
          san le pene e i tormenti.
          E, perciò, quel caldo fuoco
          Per quanto appar poco
          Dona loro giovamento
          e al corpo e alla mente.
          Ogni tanto un guardo sbieco
          Come dir: dico e non dico.
          State attenti, o voi scontenti,
          Che potreste ai vostri denti
          Solo offrire un po' di pane,
          Senza pranzi e scarse cene
          Come quando per luce c'era
          La candela di scarna cera.
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            Scritta da: Nello Maruca

            La rosa

            Ha una rosa il mio giardino
            dall'arbusto senza spino;
            germogliata è in gennaio,
            primo fiore del mio vivaio.
            Dalla nascita che fu
            quarant'anni e poco più
            l'orticello è impreziosito
            di quel fiore assai pulito
            c'hà l'odore e lo splendore
            più di altro ogni bel fiore.
            Non è fiore nel mondo intero
            più verace e più sincero.
            Non è fiore in primavera
            tali odori da mane a sera.
            Dalle Ande agli Appennini
            degli Urali ai confini
            per quanti siano fiori
            non trovi quegl'odori.
            Scarso l'orto è d'averi
            ma tal* ricco è il suo vivaio * talmente
            che copre ogni divario.
            Composta giovedì 30 novembre 2006
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              Scritta da: Nello Maruca

              Lo scalognato

              Per volere del destino ebbe intoppo
              nel cammino e da molti, tanti anni
              vive in speme, tormenti e affanni;
              come erbivoro destriero al galoppo
              uso e corsa rallentato in galoppare
              per malore d'ungula afflitto
              appar mesto, mogio appare e derelitto.
              Tal si è, desolato e moscio
              ché mai spiraglio s'aperse all'orizzonte
              che nel calore sciogliesse il moral floscio
              e da valle lo proiettasse al desiato monte.
              Come avviene non sa e forse mai saprà.

              Avendo un po' di fede, però, in Dio
              il cuore gli detta:: Fu sfortuna dell'io.
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                Scritta da: Nello Maruca

                La partenza

                Quel che raggiante pria ora uggioso
                è viso ché corpo al veleggiante
                legno è presso, pensiero altro loco
                posato già sua passione vede
                indi i begl'occhi a lacrimare cede
                mentre a lento andar scompar naviglio.
                Per dir dolor ch'opprime all'altrui è pari
                dappresso al boccaporto invia segnale
                chi straziato al molo posato ha cuore.
                Strazio restato è su molo freddo,
                strazio galleggia su schiumos'onda.
                Composta sabato 30 novembre 1974
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                  Scritta da: Nello Maruca

                  Lo zufolo

                  Un suono che lontano m'è nel tempo
                  odo vibrare, un dì, in lontananza,
                  mi balza alla memoria come lampo
                  la melodia, da bimbo, a conoscenza.

                  Lento m'avvio e silenzioso alquanto
                  lungo un sentiero ciottoloso e stretto
                  donde perviene l'idilliaco canto
                  del dolce, conosciuto zufoletto.

                  Un pastorello appena quindicenne
                  a ridosso sdraiato d'un folto cespuglio,
                  all'ombra di frondosa quercia perenne
                  meglio l'intona di pecoraio veglio.

                  Per ogni suonoche mi dona il vento
                  energico a volte, altre debolmente
                  nella mente dei bei ricordi sento
                  che mi riportano indietro, dolcemente.

                  Mi sovvengono i momenti del pregresso
                  tempo; giorni contenti, d'abbandono,
                  scorcio che non so il poco né l'eccesso
                  ma tutto è solo un pregevole dono.

                  Rivedo l'innocente fanciullezza
                  quando a piedi scalzi, sanguinanti
                  s'insegue una rozza palla di pezza
                  e dell'ingenuo gioco, s'è contenti.

                  M'appare, poi, l'acceso focolare,
                  la nonna con in grembo la conocchia
                  che con garbo la lana sta a filare
                  e che l'avvoltola al fuso con maestria.

                  Suona, zufolo dolce! non cessare;
                  fammi scaldare avanti quel camino,
                  nel vetusto casolare fammi restare,
                  non fare ch'io riprenda il mio cammino.

                  Spandi le note ancor per la campagna,
                  famm'addormire al suono del tuo canto,
                  fa che la tua melodia mi sia compagna
                  e che al risveglio trovoti al mio fianco.
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