Poesie inserite da Nello Maruca

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Scritta da: Nello Maruca

Carabiniere

Ah! Se potessi essere non io
e al par di Dante mi facesse Iddio
dell'Esercito branca tant'onesta
con diligenza canterei le gesta.
Con mano lesta stilerei lo scritto
e, di Te, Grande, narrerei l'editto.

Se, poi, di Giotto avessi mente esperta
Tua storia pingerei con mano certa;
l'illustrerei su tela ricamata
come nessuna mai fu disegnata.
A Dio che innalza e abbassa pregherei
Onde uguagliare altra mai potrei.

Se del musico Verdi avessi l'estro
le lodi canterei da gran maestro:
Le canterei al suon di cornamusa
e in ciel l'innalzerei, storia diffusa.
Dolce all'orecchio il suono giungerebbe
Tal che manco melodia d'Angeli terrebbe.

Povero sono, però, in mente e arte
perciò ogni velleità metto da parte;
il sangue forte pulsa nelle vene
sferzando nel cervello forti pene.
In minuetto mi muovo in queste righe
come formica nel trascinar le spighe.
M'accosto, con timore, tremolante
a narrare di Te, Uomo importante.

Degno di fede e di vetusto onore
il bene altrui alberghi dentro al cuore,
da sempre per l'altrui la vita doni:
Fedele più dei cani ai lor padroni.
Quella divisa nera a strisce rosse
vanta conquiste di molte riscosse:
La porti con l'orgoglio del gran Fante
d'importante battaglia reduce zelante...

Ti volle Emanuele Primo di Sardegna
quale tutore d'ordine e di legge;
presente sempre dove il male affligge
resti al tuo posto fino alla consegna:
Rivedo la battaglia di Pastrengo,
della Sforzesca e quella di Novara,
per questo dentro al cuore mio Ti tengo
e la Figura Tua m'è dolce e cara.

In Aspromonte e sul silano monte
hai combattuto lotte da valente,
avverso i disonesti, per l'ostaggio,
reprimesti nel silenzio il brigantaggio.
In Libia fosti a conquistar medaglie
lasciandoti alle spalle molte Spoglie,
nella campagna fosti a Senafè
e combattesti in quel di Macallè.

Del sangue Tuo inondasti Podgora
e quel Tuo sacrificio vale ancora,
mostrandoti al dovere servo ligio
rendesti alla Nazione gran servigio.
Nei secoli fedele: Qesto il Tuo Motto
fedele resti in tal mondo corrotto,
lo fai per dedizione al Tuo dovere,
degno sei d'ogni stima, carabiniere.
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    Scritta da: Nello Maruca

    I piccoletti e la befana

    I piccoletti in fila vanno verso
    Il camino, lo fanno cheti cheti
    a sera zitti, seri, sereni e lieti.
    Composti, con fare assai diverso

    dall'usuale, congenita movenza.
    In mano ognuno tiene un piccolo
    calzino stretto sul cuoricino, solo
    Il più piccino è fuor di contingenza.

    Ciascuno la calza lascia accosta
    al focolare certo che l'indomani
    balocchi, chissà quali, avrà infra le mani.
    Già la vecchia Befana vedono che sosta

    accanto ai loro calzini da vuoti
    a farli pieni. La vedono volare,
    col sacco in spalle, la sentono parlare,
    la scopa tra le mani: sono estasiati.

    I piccoletti cuori carchi son di candore
    sognano di vedere, vedono davvero.
    Credono alle favole, amano l'amore.
    Quest'è candore puro, è candore vero.
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      Scritta da: Nello Maruca

      Il rimorso

      Ogni mattina allo spuntare del giorno,
      all'apparire dell'attesa aurora
      sorgesse il sole o spirasse bora *
      o ch'estate fosse o piovoso inverno

      senz'alcun'indugio al campicello
      sperando mettere qualcosa nel paniere
      t'incamminavi per la ricerca giornaliera,
      con chissà qual'altri pensieri nel cervello:

      Quante volte, però' fu la ricerca vana,
      quante volte il ritorno fu triste e deluso
      che vuota fu la cerca quotidiana
      e altro giorno in fame s'è concluso.

      Nel desolato teterrimo abituro,
      sfumata la speranza del mattino
      tutt'intorno t'appariva ancor più scuro
      ma la speranza non avea confino.

      In quegl'anni di epidemica carestia
      puranco d'affetti, nonna, fosti scarsa.
      Povera in tutto, o nonna, io nol capia
      perciò lo cuore me lo stringe morsa.

      Grande, se solo poco avessi riflettuto
      t'avrei qualche sospiro, forse, lenito.
      Nol feci, più nulla or posso, t'ho perduto!
      Il rimorso mi rode all'infinito.
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        Scritta da: Nello Maruca

        I (primo)

        Sol nel guardarTi, Altissima Aurora,
        vedere i bei capei arricciolati
        e gl'occh'azzurri, che a guardare onora,
        color che t'hanno a cuore sono beati.

        Doni da bere a tutti gli assetati,
        nessuno lasci fuori dalla Porta,
        dentro, al sicuro meni i figl'amati
        per grazia, per fede no: è assai corta. *

        Vorrei avere l'onore d'invocarTi,
        esser degno d'accedere a Tua Corte
        ma a sufficienza non so ancora amarTi.

        Quando mi ghermirà la certa Morte
        E inerti rimarranno i miei arti
        Sol'allora piangerò la triste sorte.
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          Scritta da: Nello Maruca

          Il ritorno

          In un cocente dì d'un assolato agosto
          Milite, in man di campo fiore e due viole,
          sotto il vermiglio luccicante sole
          avanza verso noi a piede lesto.

          Veste uniforme chiara, coloniale
          e casco di sughero di bianco colore.
          Piange nel rivedere il casolare
          dopo un'assenza più che quinquennale.

          Alla commossa mamma un forte abbraccio,
          un bacio in fronte, una dolce carezza,
          Sii serena: finito è il pasticciaccio.
          Con le robuste braccia mi cinge con gaiezza:

          Mai più tristezza: Or qui è il tuo papà.
          Allegro, non lacrimar: giammai parte papà.
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            Scritta da: Nello Maruca

            Alta sei donna mia

            Alta sei donna mia turchese e bella
            ch'appari quale dal ciel discesa stella,
            lo guardo delicato è freccia in core
            che riempie di dolcezza e tant'amore.

            Profumata sei qual rosa e giglio
            più ch'al mattino emana fior di tiglio,
            là, ove il passo posi ride la via
            inebriata di profumo delicata scia.

            Sul dolce, sereno, splendido visino
            l'aspetto che raduni par divino,
            par che discendi da città remota,
            non già nata sull'umano pianeta.

            D'umana razza tieni appartenenza
            Indi pur d'essa tieni somiglianza;
            tuttavia diversa è ogni fattezza
            Per quanto stile e immensa tenerezza.
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              Scritta da: Nello Maruca

              Saggio corona di sonetti

              In questa classe siamo sedici alunni,
              nove siam maschi, sette sono donne.
              Quattro son compagni dei passati anni;
              un solo maschio e tre hanno le gonne.

              Elsa, Lucia e Caterina Lo Munni
              nomata, per sue rime, poetessa "Erinne" *
              il maschio, compagno, Cucco Giovanni.
              Quest'è la prima B d'Istituto Aronne.

              Uom'elegante da fattezze basse,
              si sofferma tra i banchi e sorridente
              dice: sono il docente Carlo Alasse

              proffessor di lettere in questa classe,
              al vostro fianco sarò costantemente,
              io sarò ruota e voi sarete l'asse.
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                Scritta da: Nello Maruca

                Eredità

                Di un padre moribondo
                scriveva Passeroni
                che al letto chiamò al bordo
                per mai aver tenzoni
                i dieci figlioletti
                che tutti tiene in petto.
                Dà un mazzo di bacchette
                legate strette strette.

                Chi rompe, dice, il fascio
                e mi mostra possanza
                ogni ricchezza lascio
                e gli altri restan senza.
                Dall'uno all'altro
                così, il fascio passa
                ma niun pur forte e scaltro
                lo sfascia di sua possa.

                Ad ogni figlio, allora,
                solo una verga dona,
                spezzatela, qui, ora
                e avrete il vostro dono.
                E tutte in un istante,
                l'ha scritto Passeroni
                le verghe furo infrante.
                Ecco or qui il dono:

                Se lontan da voi le risse,
                cagion di debolezza
                le avrete regola fissa
                vi avrete una corazza.
                Se lontano le contese
                invece vi terranno
                per niun nemico è impresa
                donarvi pena e affanno.

                Pure i debolissimi
                che pensavanvi pria forti
                saran per voi fortissimi
                se voi sarete smorti.
                L'ha scritto Passeroni,
                pur'altri prima ancora,
                io ne confermo il vero
                che ne son prigioniero

                Non sono, pertanto, alcuno
                perché mi persi ognuno.
                Perciò tenete cura,
                Per evitare sciagura,
                Di rimanere tutt'uno.
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                  Scritta da: Nello Maruca

                  Qualità del cornuto

                  La bontà, è risaputo, qualità
                  è del cornuto che quand'anco la sua donna
                  trova a letto con l'amico a sfregarsi
                  l'ombelico, li osserva desolato
                  e per mera umanità, avvilito,
                  se ne va..
                  Poi credendo che l'amico dipartito
                  si sia già, come d'uso d'ogni dì,
                  torna a casa al mezzodì; da sull'uscio
                  fragoroso ode il riso degl'amanti
                  e allora cosa fà? Scoraggiato
                  se ne va.
                  Attraversa il ponte grande, scende giù,
                  verso la valle, si sofferma sulla sponda,
                  guarda l'acqua gorgogliante: si lo fò.
                  Indi pensa alla sua donna, indietreggia
                  di un bel po': Poverina! Non lo fò.
                  Ed allora cosa fa? Mogio, mogio
                  se ne va.
                  La campana dondolante dona l'ora
                  della sera, il profumo delle viole
                  sta a nunziare la primavera;
                  Lui è solo nei suoi pensieri: a quest'ora
                  ancor lo trovo? Certo no!, è ora di cena.
                  Farfugliando in questo dire verso casa
                  s'incammina.
                  Mentre il sole cala a ponente
                  avanzando lentamente, con il cuore
                  palpitante guarda in alto, ahimè
                  chi vede? È l'amico alla veranda
                  che ridendo sta cenando. Si domanda:
                  Mo che fò? Più lontano me ne vo.
                  Poi, intanto, la campana dalla vetta
                  al campanile lenta batte mezzanotte;
                  con in cuore speranze vane fa ritroso
                  il suo cammino, alla luce della luna
                  della casa ai gradini stancamente
                  s'incammina e la chiave nella toppa
                  ruota lento, pian pianino e con fare
                  quasi furtivo alla camera da letto
                  tristemente s'avvicina. La sua donna
                  con la guancia è distesa sulla pancia
                  dell'amante ch'è d'accanto. Indietreggia,
                  va in cucina, un trinciante stringe
                  in pugno e s'avventa alla consorte
                  e dell'uomo fa stessa sorte. Poi s'accascia
                  lentamente e riposa, finalmente.
                  Pure questo è risaputo qualità
                  è del cornuto. N. Maruca.
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                    Scritta da: Nello Maruca

                    La mendace

                    Emendati, pusillanime pel male
                    che vai facendo e possa nel prosieguo
                    della vita altera frenare la spirale
                    e la coscienza volta del male sia al diniego.

                    Non hai forse mai udito la voce
                    della nutrice che da dentro il sepolcro
                    t'incita e t'invita a non essere mordace
                    ma dell'amore estimatrice e fulcro?

                    Da dentro il nero avello t'invoca,
                    ti scongiura d'essere meno dura
                    con chi ti fu assai tenero e t'evoca
                    il focolare e t'evoca le mura

                    dove entrambi furo, dove si nutriro.
                    Il focolare ardente che tutti riscaldava,
                    le mura affumicate dentro cui crebbero
                    quando il pensier di lei all'Africa vagava.

                    Se la muta voce ancora non odi
                    la soglia non varcare della Casa di Dio
                    che i pensieri tutti sono presenti
                    a Lui che legge persino dentro l'io.
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