Poesie inserite da Nello Maruca

Questo utente ha inserito contributi anche in Frasi & Aforismi, in Racconti e in Frasi per ogni occasione.

Scritta da: Nello Maruca

L'insatanassato

Di Preziosissime pietre adorni, due gioielli
di platino con arte di divin mano forgiati,
che mai ad umano concesso fu far sì belli
ad altro, di men preziosità, furo affiancati.
Alfin che in scrigno, come in corpo anima,
li custodisse al par di reliquie di beati
essi, cui alto valore dato non è far stima,
ad orafo in cura furono affidati.

Fu l'orafo, ahimè, turbato dal Maligno
che con fare suasivo quanto loquace dire
a distruggere i preziosi del pregiato scrigno
lo spinge e la ricchezza nel fango fa finire.
Come voce umana sotto palazzi sgretolati
miste a pianto e suppliche infinite
due voci s'alzano a lamenti tormentati,
per l'azione ricevuta, inorridite.

Sono le voci di due rondinini ch'assistono
dolenti al frantumarsi del lor caldo nido
di Dio, la sua pietà, piangendo implorano:
Non trasportarci, no! in altro estraneo lido.
All'esile filo della speranza appesi
col cuore in gola, con la voce spenta, sconfitti,
feriti, stressati, offesi e vilipesi
pietà, oh Dio, pietà! Perché ci vuoi trafitti?

In un angolo remoto sono due stanche latte
che il satanasso a calci e appulsi precipita
in un fosso i cuori infranti, le costole rotte;
mortificata ognuna, sì, ma non stizzita
a sera lo guardo triste volgono al Ciel beato
col pianto in cuore, col perdono in mente
pregano alfin che l'orafo nel baratro calato
al nido piagnucolante torni, serenamente.
Vota la poesia: Commenta
    Scritta da: Nello Maruca

    L'alacrità

    La mediocrità più non alligna
    ché dipartita s'è la nuvolaglia
    dacché Aliseo di sua impronta degna
    in uno con costanza la sparpaglia.

    Qual sol ch'improvviso levasi a levante
    sgretola lesto quella cupa coltre
    e manifesta sempre più saliente
    la visuale che va in alto e oltre.

    L'equanimità così tant'invocata
    ch'eternamente si credea perduta
    Essere d'intelletto ha riscovata
    e di sua mano ognun l'ha riavuta.

    In tal vivente sveglio, nobile e lesto
    che di dolcezza colma ogni suo gesto
    parmi vedere la rondinella mastra
    che costruisce il nido da maestra.

    Questi s'affanna, vola, becca, impasta
    e d'architetto la casa costruisce.
    Indi giace: Altra non ha conquista
    giacché suo oprar'esperto lì finisce.

    L'altro, il volitivo, nel fare sfonda
    e pria ch'abbia conchiuso nuova n'inventa,
    sagacemente in mente d'altri affonda
    solerte il pensier suo ch'altrui diventa.
    Vota la poesia: Commenta
      Scritta da: Nello Maruca

      La yena

      Una turpe figura, carca di lordura,
      da capo a piedi naviga nel fango.
      pelosa e brutta, verme di trattura
      Appartiene dei striscianti al tristo rango.

      Di corpo tozzo, dall'aspetto rozzo,
      da petto prospiciente a mò di vacca
      che par'essere tutt'uno al mento gozzo
      ch'accompagna lo stomaco in risacca.

      Pare un porcone, tanto ch'è cafone;
      solo sembianza ha d'umana gente,
      diventa yena accanto alle persone,
      per essa il male è il bene più fervente.

      Indegnamente siede in posto altrui,
      in loco non adatto a villania;
      qualcuno va piangendo: Ah! Dov'io fui:
      Quel posto l'ha ridotto ad osteria.

      Se, poi, parlar potessero i canneti,
      se dir potesse il loco detto Tonnara,
      se disquisir potessero gli abeti
      direbbero: Dei vermi è ancor men cara.

      Or ch'à raggiunto il sospirato trono
      l'hà reso lordo e pieno di vergogna
      perché le yene ch'anno l'oro in dono
      Gradiscono più d'esso le carogna.

      Poiché incapace in movimento
      vive la yena in circoscritto ambiente,
      raspa nel fango con il muso e il mento
      giacché di forza d'intelletto assente.

      La dignità per essa è cosa astrusa,
      per due lenticchie ha dato il corpo untuoso,
      donato l'ha come si dona cosa:
      Vergogna è di famiglia e dello sposo.
      Vota la poesia: Commenta
        Scritta da: Nello Maruca

        La Torre

        Solenne, alta s'ergea al centro Torre
        che d'onore ricopria queste sue terre;
        era rifugio di sciancati e stracchi,
        vanto d'ognuno era, giovani e vecchi.

        Tutti copriva col paterno manto.
        Mai turbativa fu, mai fu tormento,
        non discrimine mai, mai differenza;
        d'ogni seme traeva buona essenza.

        Forte s'udì, per l'aria, grande sussulto:
        Cadde tra nebbia il gran Gigante avvolto;
        Tremò la terra, le case furon scosse
        Piegò la testa, ahimè! E più non resse.

        Tra tanti ti scegliesti il miglior frutto,
        alla famiglia tu levasti tutto,
        per la sua gente fu immane sorte;
        perché non ti fermasti o crudel Morte?

        Fu il Ciel che mi richiese anima eletta,
        perciò falciai la troneggiante Vetta;
        Ma se or lo guardo volgi al firmamento
        sorrideti una Stella risplendente.
        Vota la poesia: Commenta
          Scritta da: Nello Maruca

          Lussuria

          Dapprima all'uomo Iddio donò la vita,
          del costato di lui donna formò ardita,
          d'ella ad Adamo regalò il sorriso
          assieme a regale casa in Paradiso.

          Nasce, così, il connubio umano
          ch'essendo buono diventa tosto strano
          tanto che pur di cristianità esser dottrina
          stringi una mano e presto sei in berlina.

          Finché il giorno arrivò del matrimonio
          giammai fu Adamo d'abominio a Dio.
          Sempre fedele fu agl'insegnamenti,
          mai il proibito toccò degl'alimenti.

          Ma quando ch'ebbe con egli la compagna
          lasciossi intenerire da sua lagna;
          a viso bello, in personaggio abietto,
          resistere non seppe, poveretto!

          Onde non essere ad ella in dispiacere
          fece quel ch'era d'ella il suo volere:
          Avido ingurgitò il frutto proibito
          che penzolava dall'albero lì sito.

          Subito preso fu da gran terrore
          e d'incontrare Iddio ebbe timore;
          paura aveva d'essere trovato
          ma fu scovato e lesto fu scacciato.

          Errabondo va l'uomo da quel dì
          per la scomunica ch'addosso gli finì,
          per colpa della donna maledetta
          l'umanità ridotta è alla distretta.

          Beato chi da sol vita conduce
          ché, d'essa a fine, finisce nella Luce.
          Il Maligno da sé ha distanziato
          giacché donna in vita ha mai amato.

          Per quel che sopra è detto, o uomo saggio,
          deserta il tristo tuo retaggio
          e da cattiva lonza stai in lontananza
          poiché lupo la veste perde, non l'usanza.
          Vota la poesia: Commenta
            Scritta da: Nello Maruca

            Preghiera

            Quell'essere cattivo, pestilente
            come canna al vento è fluttuante,
            alfine di ferire l'umanità
            passa dall'una all'altra malignità.
            Gode nel vedere dell'altrui le pene
            ché il male in petto tiene, non il bene;
            la dignità per esso è cosa insulsa,
            come l'umanità gli è di ripulsa.

            Ascolta! mio Signore, non far l'ingrato:
            trasportalo dov'è pace e sia "beato".
            Se posto più non è ch'è esaurito
            Fa che in inferno arda all'infinito.
            Vota la poesia: Commenta
              Scritta da: Nello Maruca

              Uguaglianza

              Sento da sempre dir con insistenza
              di somiglianza con altrui presenza;
              da tempo studio, io, ciascuna usanza
              e, incontrato mai ho l'uguaglianza.
              Quel che qui dico può sembrar non vero
              E senza scambiare il bianco per il nero
              Vagliamo bene assai la circostanza
              Ed alla cosa diamo giusta importanza.

              Consideriamo il dotto e lo sciancato:
              Il primo se la fa con l'avvocato
              l'altro con le persone abominate
              seguono, perciò, vie divaricate.
              Or l'umile guardiamo e l'orgoglioso:
              Il primo in un cantuccio resta pensoso
              l'altro, a testa alta, baldanzoso
              passeggia col suo fare spocchioso.

              Prendiamo ad esempio la marchesa,
              con chi, secondo voi, ha la sua intesa?
              Certo non con l'onest'uomo di paese
              ma col suo pari rango, nobile marchese.
              la nobildonna dai guantoni bianchi
              malaticcia, occhi cerchiati e stanchi
              porta il suo velo sia per eleganza
              quanto mostrare agli umili importanza.

              Di sul calesse dal mantice nero
              trainato da nobile destriero
              non un sorriso spento, non uno sguardo
              manco all'inchino di stanco vegliardo.
              Luminoso diviene il cereo viso
              e la sua bocca è tutta gran sorriso
              se solo scorge da lontano il ricco
              anche se nell'andare è smorto e fiacco.

              Il capufficio, poi, lo ben sapete
              mostrare preminenza ha grande sete.
              I dipendenti inchioda a scrivania
              a spregio e dell'amore e d'armonia.
              Ancor quando innocenza in aria affiora
              niuno accostamento vedo, poi, ancora,
              tra il magistrato e il malcapitato
              ché poco o tanto resta bacchettato.

              La pari dignità tanto cantata
              da quest'umanità già traviata,
              misconosciuta in ogni umano gesto
              solo giustifica è d'enorme guasto
              al fine che al finir di vita terrena
              sminuita possa essere la pena
              al cospetto del Giudice Divino
              come se a giudicar fosse un padrino.
              Vota la poesia: Commenta
                Scritta da: Nello Maruca

                Riconoscenza

                Negl'ingenui giochi fanciulleschi
                fummo inseparabili compagni. Erano
                I tempi in cui gl'atti furbeschi
                furon tanti e gli animi formavano.
                Puberi, insieme, ancora fummo
                a scorrazzare quando la sarmentosa liana,
                a mò di sigaretta, mandavamo in fumo
                stando sdraiati accanto alla fontana

                Giovinetti, ci trovammo ancor legati
                dai vincoli d'affetto primitivi
                che s'erano, nel tempo, rafforzati
                per i nostri giuochi semplici e furtivi.
                Ci perdemmo, però, nell'età verde
                che da necessità fu fatta avulsa
                e sballottati come legion che perde
                e dalla sua amata Terra viene espulsa.

                Poi, di nuovo, nella vita adulta,
                in loco di lavoro e di consulta,
                ci ritrovammo come ai vecchi
                tempi, d'esperienza e conoscenza ricchi:
                così crescemmo assieme per vent'anni,
                colleghi di lavoro e non di giuochi
                e, l'uno dell'altrui vide gl'affanni
                che furono tanti, quanto poco i giochi.

                Or che l'adulto cede al vecchio il posto,
                un po' ammosciato come morent'arbusto,
                non più la grinta del destriero di corsa
                in ansia, stretto dagl'anni, in dura morsa,
                col nero trasformato in bianca chioma
                dal lavoro ti togli, ahimè! La dolce soma.

                Pria che ti diparti dal tenuto per tempo
                Degno posto, dire ti voglio qual'importanza
                per noi tutti avesti. Fosti di vecchio stampo:
                Laborioso, intemerato e con pazienza
                sopportasti del lavoro i turbamenti,
                senza darti né a pene né a lamenti.

                Costanza avesti di formica infaticabile
                ch'onde stipare il formicaio schianta se stessa
                E, dopo aver del grano pulito ogni cortile
                Soltanto allora, la faticosa spola cessa.
                All'operosa ape, che la real sua casa
                d'abbondante polline e miele tiene pervasa,
                in tutto, somiglianza nel lavoro avesti
                che con la dolcezza del far lo raddolcisti.

                Per le doti che ho appena qui cantato,
                scarsa è di nobile metallo ogni medaglia
                perciò, altra d'altro metallo t'ho forgiato
                onde nessuna mai a essa sia d'uguaglio:
                RICONOSCENZA è quel che in cuore io veggo:
                per te, migliore altro metallo non posseggo.
                Vota la poesia: Commenta
                  Scritta da: Nello Maruca

                  L'onest'uomo

                  Nel corso di sua vita un sentimento
                  unico l'ha sempre accompagnato
                  mai, in nessun tempo, nemmeno per un momento
                  tal'alto sentimento l'havea abbandonato
                  finché avvenne un dì scompiglio in mente
                  sua che quale gran macigno schiacciavagli
                  la coscienza e lo rendeva niente.
                  Da energici e vitali flemmi

                  i pensieri furo, tutto abbagliato
                  vide e il male quale tarlo rodeva
                  i buoni intenti e lo sbagliato
                  al giusto s'imponeva e vile lo rendeva.
                  Più pace mai s'avrà ché il sentimento
                  se pur per poco lasso s'è dipartito
                  altrove rendendolo sgomento
                  talché triste morire non è ma desiato.
                  Purità! Per tanti lunghi anni stata
                  gli sei vicino, l'hai per man portato,
                  l'hai sempre ben guidato: Eri appagata:
                  Perché o purità lo hai abbandonato?
                  Vero che in abituale tua dimora
                  sei tornata ma il segno dell'assenza
                  chi lo cancella mai? Quel ch'era allora
                  più non sarà da ora. Più non è l'essenza.

                  L'incerta fede che porta poco sollievo
                  gli offre e chi, allora, più l'allieterà?
                  Mai cercò onori, sempre ne fu schivo,
                  e alla sua follia chi ora crederà?
                  Fu la pazzia a travolgerlo, a fargli
                  tanto male, soltanto in sette giorni
                  sconvolsegli la vita come guerrieri in armi
                  sconvolgono palazzi, rovesciano governi.

                  Maligno maledetto! tutto gli togliesti:
                  La sposa stanca e buona, i figli,
                  i nipotini: Quanto cattivo fosti!
                  Eri in agguato, colpisti con gli artigli.
                  Dell'orto distrutto hai albero e frutto
                  perciò desiderio della fine avverte
                  così, Maligno, sei contento in tutto
                  mentr'egli riposo avrà perché inerte.

                  Vergogna nel guardare i figli porta,
                  indegno d'abbracciare la sposa amata,
                  non ha argomento no, nulla gl'importa,
                  non ha coraggio a dire: O mia adorata.
                  Il cuore t'ha trafitto o dolce donna
                  per futile motivo e sciocco orgoglio;
                  per lui sei stata portante colonna
                  non piangere più di tanto la sua spoglia.

                  Per lungo tempo di te pur degno fu,
                  fu la pazzia a sviarlo da sentier verace
                  e tu, soltanto tu, puoi sol saperlo tu
                  che solo per te vorrebbe riaver pace.
                  Al Creatore credeva ed al creato,
                  mai prima aveva in sé alcun reato,
                  dell'onestà teneva culto assai
                  ma cadde in burrone profondo, ormai.

                  La mente er'intontita e lui vagava,
                  svaniva il sogno di restar coi suoi
                  giacché il male per strada lo ghermiva
                  e lo gettava infra immensi guai.
                  Non fece, no, per nulla alcuna ruberia
                  od offesa a qualunque esser vivente;
                  giammai la mente sfiorò tal cattiveria
                  ma di tal'azioni è meno che niente.

                  Commise illecito che vergogna mena
                  per quell'essere ch'è certo cristiano
                  poiché irregolarità comporta pena
                  di profonda ferita dentro l'animo.
                  L'illegalità non fu contro persona
                  e nemmanco ad essere vivente
                  in generale, può parere strano
                  ma il danno verso altri è inesistente.

                  Il cruccio ch'à è d'essersi discosto
                  da quant'imposto da Dio Salvatore
                  perché, inopportunamente, con furbizia
                  ha ricevuto ciò che lecito era
                  in altro corretto modo, comunque, avere

                  Da retta via dal diavolo distorto
                  agli uomini non voleva esser di torto
                  e preso da enorme orgoglio sciocco
                  resta stordito in immenso fosso.
                  Sol Dio può dare ristoro all'alma sua,
                  ridare la serenità che prima aveva,
                  chetar la pena che gli arde in petto
                  giacché non volea mancargli di rispetto.
                  Vota la poesia: Commenta
                    Scritta da: Nello Maruca

                    Redentore

                    Fredda era la notte ed innevata
                    e la Pia Donna di bontà infinita
                    di stanchezza e doglianza già stremata
                    Al Redentore del mondo dava vita.
                    Bussò Giuseppe a tutti i casolari
                    Onde dare a Maria caldo giaciglio
                    ma tutti gli occupanti furo avari
                    Disdicendo Chi portava Divin Figlio.
                    Aveva posto solo in una stalla,
                    per letto il fieno d'una mangiatoia,
                    al respiro del bue e l'asinella
                    tenea Maria della maternità la gioia.
                    Lui di tutto il creato possidente
                    luogo migliore per nascere non ebbe,
                    per l'ingordigia dell'umana gente
                    nacque in miseria ed in miseria crebbe.
                    Quel sembiante Umano, ch'era Divino,
                    da Castissima Donna concepito
                    al Dio Grande e Beato era l'affine
                    ma da bieca umanità non fu capito.
                    A Betlemme di Giudea resta la Grotta
                    Che il Vagito Divino prima intese;
                    luogo diviene di retta condotta
                    cui grazia rende il cristiano e rese.
                    Regnava, allora, nella Giudea Erode,
                    uomo protervo, essere triviale
                    d'ognuno paventava tranello e frode,
                    poiché l'istinto suo era carnale.
                    Seppe, dai Magi, di Gesù la nascita
                    che di Giudea predicavano Re,
                    decretò, quindi, togliere la vita
                    agl'innocenti sotto gli anni tre.

                    Al Puro putativo Padre Giuseppe
                    un Angelo veloce venne in sogno:
                    corri in Egitto, non badare a steppe
                    ch'Erode al Piccoletto porta sdegno.
                    Dell'Angelo a Maria dato l'avviso
                    lasciavano quel luogo benedetto,
                    in braccio Gesù dal casto bel sorriso
                    in cerca d'altro tetto e d'altro letto.
                    Quando l'Onnipotente al sonno eterno
                    gli occhi chiudeva al bruto re regnante
                    fu la Divina Famiglia di ritorno
                    alle mura paterne, alla sua gente.
                    A Nazareth di Galilea con i parenti
                    rimaneva Gesù fino ai trent'anni,
                    per essere battezzato tra le genti
                    incontravasi al Giordano con Giovanni.
                    Sconfiggeva Satana tra i monti;
                    poscia, in testa a moltitudine gaudente
                    cominciava gl'insegnamenti itineranti.
                    Or visitando questa or quella gente.
                    Seguito da Gerusalemme e da Giudea
                    sanava storpi, ciechi ed ammalati;
                    da riva al mar di Cafarnao in Galilea
                    tutti erano accolti, toccati, graziati.
                    Dai guarimenti dati al Suo passaggio
                    la Siria tutta n'ebbe conoscenza;
                    Ovunque dava del Padre il buon messaggio
                    mostrando la grandezza e la Sua scienza.

                    Moltiplicava i pesci e pure
                    il pane, le acque quietava, comandava
                    i venti, ai tormentati dava le Sue cure,
                    sui mari e sopra i laghi camminava.
                    Nemici farisei, scribi e sinedrio
                    da Giuda, Suo discepolo, tradito
                    ebbe Pilato giudice avversario
                    capo di crudel popolo inferocito.
                    Al posto di Barabba condannato
                    fu crocefisso in mezzo due ladroni;
                    Spirò, il cielo fu squarciato, fu boato,
                    tremò la terra, tremaro i sommi troni.
                    L'esanime Divin Corpo torturato,
                    avvolto nel lenzuolo di bianco lino
                    al suolo della tomba fu adagiato
                    d'uomo devoto, avverso di Caino.
                    Restava il Corpo esanime tre giorni,
                    indi in cielo accanto al Padreterno,
                    in terra, poscia, dai lochi Sempiterni
                    a recare agli Apostoli governo.
                    l'incredulo dei dodici Tommaso
                    le dita nelle piaghe mettere volle,
                    restò, ciò fatto, sgomento ma persuaso,
                    cadde in ginocchio nelle carni imbelle.
                    Ai Discepoli, Gesù, lascia la pace
                    indi s'invola al Divin Palagio
                    e, dal cospetto di Dio, dall'amor verace,
                    guida gli Apostoli al Divin Messaggio.
                    Vota la poesia: Commenta