Se di palazzi, case e appartamenti, se di ville e terreni ubertosi e di estesi, proliferi prati erbosi, di greggi e mugghianti armenti avessi di tal possidenza poca contezza e se di seno fossi d'altra razza or non potrei qui dire di mia stanchezza ché alcuno dire mai avrebbe osato cosa che male avrei poi sopportato e avrebbe al mio cospetto ebbrezza non certamente per sua contentezza ma per lo stato della mia altezza. Di ciò la dea bendata non mi fè dono indi sul dorso m'ho fulmine e tuono.
Era d'inverno il dì che mi fu luce, lungi il papà mio a servire il Duce che portò guerra là, dov'era pace con avidità d'uccello rapace; In quella Terra D'Africa Orientale che per l'italica gente fu fatale. Era di venerdì l'infausto giorno, lenta la campana dava il mezzogiorno, poi, il vento sibilava acutamente mentre la sera avanzava lentamente. Di fulmini brillava il cupo cielo e tutt'intorno era freddo e gelo.
Era carestia totale, la più profonda. Indotta dalla circostanza immonda per quella guerra sciagurata e dura che cacciò la gioventù dalle sue mura. In questo clima squallido e miserando la vita mia s'incamminò arrancando. Man mano che m'avanzava io negl'anni piangere vedea mamma per gli affanni, mentre mi carezzava il volto dolcemente mi ripeteva, stanca, tristemente: Nato sei in miseria e nell'inferno chissà se pace avrai, tu, qualche giorno!
Era lo stato che da marmocchio vissi, precari i giovanili anni pregressi, e ora che m'affaccio all'età vetusta anche la vecchiaia appare guasta. Perché mi si domanda? È presto detto: L'epoca cui viviamo l'uomo ha corrotto per cui pur quelli che ti stanno in petto di stima, pure loro, fanno difetto. Così gli affetti che mi stanno a fronte Pur'essi, mio sangue, sono indifferenti. Degli altri se ne faccia un fascio solo: tutti d'accordo, man lasciato solo. Morrò con dolore dentro il cuore per mancanza d'affetto e loro amore.
Se di male e di tormento nel percorso di sua vita non avesse conoscenza lui, di certo, l'uomo dico, non saprebbe cosa e come è la pazienza. Per mancanza d'essa, quindi, corto pure d'esperienza ma ancor peggio, maggiormente, di speranza. Or si sa, il patimento è qualcosa d'avvilente ma anche, e par non vero, dona in dono la virtù della pazienza. Indi, allor si concatena l'esperienza alla speranza che dà forza e resistenza nel periglio, nel tormento e nel travaglio.
Con lo sguardo del pensiero il remoto ho visitato del tuo cuore innamorato. In un angolo sta scritto quel ch'è noto nel di fuori: Il bel sogno ho coronato con l'amico e con l'amato. Son felice, son contenta, sono piena di speranza. È profonda del mio amore la radice nel mio cuore e mai alcuna circostanza tal'affetto incrinerà. Solo l'ultimo respiro la fiammella spegnerà.
Quando ch'avvenne ch'eri nel patibolo e più da presso starti ti dovevo fu allora che caddi da sul trampolo, forza non ebbi e al male soggiacevo. Pur negli sforzi che mal custodivo cercavo apparire quieto e disteso ma dolce, più sovente, la tua voce udivo che mi spronava ad essere men teso.
Tu domandavi, quasi non sentivo, con gli occhi m'imploravi: Io fremevo, volevo in quei momenti esser non vivo; in cuore avevo te e te vedevo nel grand'affetto che per te portavo. Un attimo e spariva il delirio, per poco, quasi, calmo ritornavo e s'imponeva d'abbraccio il desiderio.
Ma nel cercare di formular lo slancio l'incubo dentro al cuor rigenerava, l'animo ribolliva, mi bloccava e nel dispero ancor lo trainava. Nell'impotenza a discostar pensiero dentro qualcosa mi struggeva il cuore e nella finzione e non nel vero sforzo teneva a dimostrare amore.
Vero quel sentimento sincero e puro fu lo supporto a ritrovar la via a rivedere nel venir futuro quant'ancor dolce il vivere dolce sia e la cagione ch'era del malore fu pian pianino a margine riposta e l'amore il posto prese al dolore donando al male, indi, ferma risposta.
Se in disgrazia per sfortuna cadi E aita chiedi a quello ch'è tuo amico Allora conoscere puoi quant'è sincero. Se alle tue necessità dona calore Di certo è sincero e amico vero Ma se, di contro, si squaglia e cerca Scusanti mancando del suo aiuto Non è amico vero ma bacato E somiglia a mela ch'è lucente fuori Ma dentro è marcia e d'invertebrati Laidi succhioni è popolata.
Nelle tristi passeggiate estive solo mi trovo presso quel ruscello laddove era tutto lustro e bello mentr'ora appare sterile e brullo per la tua assenza, mia soave stella, e pure le foglie che son verdi e vive
paiono mosce, penzolanti, smorte. Ti dipartisti e più non ritornasti, provocato in cuore m'hai enormi guasti. Sono certo, non a male lo facesti se dentro tieni quei sentimenti onesti d'allora che amore giurasti fino a morte.
Certo è la sorte che ti tien discosta, non scema, però, la pena dell'abbandono giacché sognato sempre avea in quel dono ch'avere la donna amata spera ognuno; sentirsi gratificato, essere qualcuno d'aver seco l'amata di carezze desta.
In vetta mi restavo all'alto monte dalle pareti lisce, strapiombate e tutt'intorno v'era un fosso nero per quanto che potea vista mirare. Solo mi stavo lì, senza speranza tremante per lo freddo e di paura; le membra anchilosate, solo tormento, il corpo mal reggevano le gambe e la vista si spegneva lentamente. Il cuore, di vita, in petto dava segnale per forte, velocissimo pulsare. Tremante, stordito, impaurito per tempo mi restai quando, qual fulmine, aprironsi le porte del cervello e dolce, soave di luce luminosa a braccia aperte avvolte dal Divino, azzurro Manto la Celeste Maria m'appar di fronte. In un abbraccio mi stringe dolce e caldo e mi riporta per lo sereno cielo, a braccia aperte a mò di rondinella oltre l'abisso periglioso e nero in pianeggiante, odoroso, erboso prato. Mi giro, non è più,. Nel nulla s'è dissolta. ed io all'alto Cielo volto lo guardo per lo scampato periglio e la serenità che dentro m'ero, così, pregai: Veneranda Madre! O Divina!. Un respiro vicino: Era mia moglie: Tutto fu un sogno.
Mai grand'amore per il denaro ebbi tanto che poco e male lo conobbi; m'accorgo, ora, però, che mancando esso nemmanco il necessario t'è concesso. Vero che la felicità non la precetta ma di piaceri, sì, fa grand'incetta. Indifferente gli resta la morte ma dona garanzia di buona sorte. Non assicura, no, la vita eterna ma dona ricchezza ed agio sulla terra. Certo, beato non è chi lo possiede ma il misero ginocchioni, lui in piedi.
Costantemente in terra l'uomo è vilipeso perciò, ahimè, chi vive su questo Pianeta tosto, spesso, tiene voglia di giungere alla meta giacché più il tempo scorre più la vita è peso.
Vuole il buon Dio, però, che in alto è altro Loco laddove si vive eternamente in piena pace dov'è quiete perenne; è luce, e tutto tace.; contrario di quanto si ha in questo fuoco. *