È una serata cupa, lampi e tuoni; e due nipotini dormono buoni, buoni. Stanno vicino l'uno all'altro stretto in quello che lor chiamano grande letto. Accanto v'è la nonna, tutt'amore, n che per lor prega Iddio, nostro Signore.
Lo fa con la passione del suo cuore onde lor crescano nel di Lui timore. Io sono a letto, nella stanza accanto, ché il mio posto ceduto ho ben contento ai pargoletti dell'innocente manto giacché l'un l'altro restano mio vanto.
Il vento ulula forte, un gran lamento, a prendere sonno, quella notte, stento mentre il rumore dei tuoni di tanto in tanto riporta il pensier mio alla stanza accanto, a papà mio, a nonna Giovannina a mamma, a zia donna Esterina
al papà di mia moglie, alla mammina, alle mie sorelle lontane e alla vicina. Tutti in rassegna passo i miei parenti, ne conto tanti, cinque volte venti; gli occhi sono stanchi, lacrimanti così mi fermo senza andar più avanti.
Mi ritrovo, di botto, in un salone zeppo di sedie, tavoli e poltrone. Una ad una riempiono lo stanzone tante, innumerevoli persone. Per prima accanto a me siede mia moglie, all'altro lato seggonsi le due figlie
seguono di mia moglie e me le due famiglie e un'antenata a lunghe sopracciglia. Entra a passo lento e cadenzato L'Arciprete Battista accompagnato Da Ciccio maresciallo e il cognato Nonché lo fratel Giuseppe, letterato.
Con cinque germogli dal viso festante i tre miei figli maschi mi stanno a fronte, alla lor destra è giovane aitante e accosto di famiglia altro esponente. Sono i nipoti primi, alti e snelli ch'anno valore di inestimabili gioielli,
segue la femminuccia dai neri capelli, occhi castani, luminosi e belli. Nella festante, gioiosa ricorrenza Allieta la serata la presenza Dei tanti parenti e loro discendenza E di tutti i miei fratelli e figliolanza.
S'avvera, così, il desiderio di tant'anni Vissuti in sofferenza e negl'affanni Ch'anno segnato, ahimè, non senza danni l'esistenza di figli nonni e bisnonni.
Finito il sonno s'azzera l'incanto E nello core rilacrima lo pianto. Giacché tutto vissuto ho nel sonno Che portato m'ha a far questo bel sogno.
Il nome che port'io a te è imposto non per mia fama o glorietude avuta Perc'hio mai ebbi tal qualitadi riposto in nessun'azione o arte mia compiuta ma l'affetto, pens'io, che filiale cuor riserva a paterna, amabile figura e, dimostrazione dare più d'amor ché figlio opera paterna non censura.
Giacché mai rivestii ruolo importante Non tributato fui in onoranza, la mia figura mai fu imponente e a nullo seppi dare mai speranza. Sper'io in cima giungi a scalinata onde conquisti appieno il dottorato ché il loco cui l'umanitade è sita necessita d'avere il titolato.
Chi sudorato e stanco in vetta per volontade e sua fortuna è assiso mirare puote, privo d'ogni fretta, chi in basso resta spento nel sorriso. D'all'alto il rimirare è sempre appago e la miseria altrui non la si vive si pensa sol di fare di propria vita sfago e dell'altrui faticasi capir perché son prive.
Ma, a fine che sarai di scalinata e l'ultimo gradino conquistato dei deboli, deh! Ti prego, fanne cordata: Conforto avranno; tu sarai appagato. A nulla servirotti fama e quant'altro se al bene e amore altrui non rivolto ché Cristo in grande fama, più d'ogn'altro, per gli altri non per Se ne è avvolto.
Prendi d'Egli l'esempio e non far svolta, seguita quella Via che par distorta, fai in modo ch'entri in quell'angusta Porta così del cielo toccherai la volta.
Questa la raccomando che ti fò: Giunto all'apice del potere umano essere nelle decisioni tue sovrano, rendere giustizia e grazia a chi non può genuflesso sempre al Dio possente che in ogn'occasione t'è presente, perché se in vita divenuto sei potente la gloria è tutta Sua, tu ne sei esente.
Dei giorni dell'agosto passati di mia vita Solo uno ne ricordo raggiante e luminoso: Quello che fu d'Angelo il giorno della vita. Già all'alba, quel mattino, splendeva luminoso.
Intorno era profumo di rose e di viole, i prati tutt'interi coperti eran di fiori. La terra era ammantata di luminoso sole E noi contenti, allegri, noi s'aspettava fuori.
Di gioia e di sorrisi tutto quel giorno È intriso giacché dal Paradiso calava In veste bianche, in terra a far soggiorno, colui che tutt'intero nel cuor mi si poneva.
In quel luogo nascosto, scaldato dal mio amore, fissa dimora ha posto e più non lo distacco. Se un giorno ne uscisse sanguinerebbe il cuore; verrebbe il mio cervello molto malato e stracco.
Febbraio 1999 Nonno Nello al suo Angelo Con un abbraccio.
Quand'io, alla soglia della quarantina, lesto partisti, Padre, una mattina per la lustra via, verso il Ciel turchino perché ultimato avevi il tuo cammino.
Precoce il viaggio fu, senza ritorno ed io d'allora mi riguardo intorno nella vacua speme di vederti un giorno seduto, nell'ampio e grigio soggiorno.
Ma non udranno più mie orecchie il suono dei regali passi toccare il suolo che non più in terra, ma pel Cielo sono leggeri, al pari degl'uccelli volo.
Nell'alto Loco, tutto dorme e tace, e solo è serenità, amore e pace. Qui cattiveria è d'uccello rapace; e mai la terra ha conosciuto pace.
Resta, perciò, o Pà, in Casa del Signore donde lo puoi onorare a tutte l'ore.
Questa sera un po' depresso Resto al bordo del mio letto, sono incerto sul da fare: Dormire o qualcosa ideare? Ora il pendolo s'è desto E rintocca mezzanotte. La mia sposa è già dormiente, io mi stendo lentamente. Poi mi alzo, pian pianino, per lasciar tranquillo il nido, al mio tavolo m'accosto e comincio con far lesto la stesura di quest'inno pel vegliardo novantenne.
Zio Gustavo uomo retto Dal suo fare quasi perfetto Ha saputo col suo stile Superare il tempo ostile. Nel decorso di sua vita Ha sofferto e ha patito Ma ha saputo degnamente frenare cuore e mente. Tempo, oggi, dell'avvento Captato ha l'evento Radunando al suo cospetto Tutti quelli ch'à nel petto.
E con stima e con amore Dal profondo d'ogni cuore Noi porgiamo l'augurio In questo giorno di tripudio.
È una serata cupa, lampi e tuoni; due nipotini dormono buoni, buoni. Stanno vicino l'uno all'altro stretto in quello che lor chiamano grande letto. Accanto v'è la nonna, tutt'amore, che per lor prega Iddio, nostro Signore.
Il vento ulula forte, un gran lamento, prendere sonno, quella notte, stento mentre il rumor dei tuoni di tanto in tanto riporta il pensier mio alla stanza accanto, a papà mio, a nonna Giovannina a mamma, a zia donna Esterina
al papà di mia moglie, alla mammina, alle sorelle lontane e alla vicina. Tutti in rassegna passo i miei parenti, ne conto tanti, cinque volte venti; gli occhi sono stanchi, lacrimanti così mi fermo senza andar più avanti.
Mi ritrovo, di botto, in un salone zeppo di sedie, tavoli e poltrone. Una ad una riempiono la stanza innumerevoli persone, in allegranza. Per prima accanto a me siede mia moglie, all'altro lato siedono due figlie
seguono di mia moglie e me le casate e a lunghe sopracciglia due antenate. Entra, po, a passo lento e cadenzato L'Arciprete Battista accompagnato da Ciccio maresciallo assai compìto nonché il fratello Giuseppe, l' erudito.
Con cinque germogli dal festante viso i miei figli maschi mi stanno a fronte, alla lor destra è giovane in sorriso e accosto di famiglia altro esponente. Sono i nipoti primi, alti e snelli c'hanno valor d' inestimabili gioielli,
segue la femminuccia dai neri capelli, occhi castani, luminosi e belli. Nella festante, gioiosa ricorrenza allieta la serata la presenza la discendenza dei tanti parenti. con allargata ceppi, lì presenti.
S'avvera il desiderio di tant'anni vissuti in sofferenza e negl'affanni di vedere presenti tutti quanti a cerchio radunati, esilaranti.
Finito il sonno s'azzera l'incanto E nello core rilacrima lo pianto. Giacché tutto vissuto ho nel sonno Che portato m'ha a far questo bel sogno.