Poesie inserite da Nello Maruca

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Scritta da: Nello Maruca

LVI

Il rullo delle ruote sulla stradina
Pietrosa richiama gli abitanti
E tosto, entrambi, sono davanti
Alla porticina che da sulla cucina.

L'esile signora a mamma s'avvicina
E dalle affusolate mani i guanti
Sfila e tra lo sgomento dei presenti
L'abbraccia e grida: Ecco la mia piccina.

Mamma resta in forte turbamento,
s'aggrappa alla signora e piange e ride
con l'ansietà che cresce ogni momento

grida: Sei proprio tu, sei tu la zia Sisina
che mai quest'occhio mio più non rivide
da quanto ti partisti in Argentina.
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    Scritta da: Nello Maruca

    LV

    Allorquando Diana di sua luminosità
    Sgombra le notturne ombre e lo cielo
    Rischiara squarciando lo disteso velo,
    Sbuca al cominciamento di sommità

    Della difficil'erta tra la frondosità
    Degl'alti tigli e del fiorito melo,
    Mulo che, edace, ingurgita lo stelo,
    Trainante grave carro in difficoltà.

    Ansimando s'arresta l'affaticato
    Mulo innanzi al bianco caseggiato,
    laddove smonta uomo agghindato.

    Dall'altro lato donna esile e snella
    Dal fare lento e molto garbato,
    rapita, mira zona come non quella.
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      Scritta da: Nello Maruca

      LIV

      L'opera prosegue alacremente
      in sicurezza, senza titubanza,
      di vanga e badile hanno buon'usanza,
      prodigano sostanza voracemente.

      Pria che il sol s'affacci all'oriente,
      pronti che il tempo è poco, non avanza
      donano al bestiame prim'assistenza
      e, poi, finché il sole cala a ponente

      ora nell'orto all'annaffio di cicoria,
      ora l'aglio a zappettare e le cipolle,
      ora al fuoco, all'arte culinaria...

      Mai in cotanto poco tempo fu sì gloria
      Aver quell'orto due siffatte stelle
      Che di ciò tanto l'uomo manca memoria.
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        Scritta da: Nello Maruca

        LIII

        A sera un poco di sconforto adduce
        Mamma e lacrima cola sulle linde
        Gote confuse tra le chiome bionde
        Mentr'altra nello stanc'occhio già riluce.

        Il dispero nell'alma non fa luce
        Anzi lo poco chiarore scuro rende
        Ma da nostra volontà pure discende
        che lacrimando lo cor a pace induce.

        La nostra sorte, mamma, è stata nera
        Per lo voler dell'Essere supremo,
        è stata nera, sì, più della cera.

        Nessuno può, però, darle chiarore;
        sol Lui che regge barca col Suo remo
        potrebbe, se volesse, ridar splendore.
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          Scritta da: Nello Maruca

          LII

          Perché la Scuola riapra i suoi battenti
          Abbiamo ben tre mesi a noi davanti;
          quanto a lavori d'orto sono tanti,
          potremo tranquillamente ire avanti.

          Ora non abbiamo di che fare stenti,
          canco sappiamo degli espedienti
          dobbiamo rimanere soltanto attenti
          a non errare come l'anno avanti.

          Sul pianerolo davanti al casamento
          Pianteremo i migliori nostr'ortaggi
          Dando l'acqua a dose e giusto momento.

          Perché pure s'è calco o soffia il vento
          Ancor pria che il sole dona i cocenti raggi
          Ultimato dev'essere l'arrigamento.
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            Scritta da: Nello Maruca

            LI

            Mettiamo lesto ogni cosa a posto
            Per dar domani piglio alla fatica
            Ch'essere solerti molto magnifica
            L'opera di chi fa bene e presto.

            Vivere nel campo, figlio, è l'opposto
            Di abitare nella casa antica
            In mezzo a conoscenti e gent'amica,
            grida di bimbo e frignare mesto.

            Di tutto quello, qui, più null'avremo,
            compagno solo il cinguettio d'uccello
            e lo frinire delle cicale terremo.

            Il tavolo sta meglio all'altro lato,
            distante da cucina e da lavello
            meno lo spazio che viene occupato.
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              Scritta da: Nello Maruca

              Il travaglio

              Duro m'è lo dovere comportare
              avverso il pensier mio e immane
              lotta con mia idea è da mane a sera
              e ad ogni nuovo albore m'ho maggior
              dolore; qual viva piaga col passar dell'ore.
              Vorrei tanto tornare com'ero prima
              ma lo timore che m'opprime in petto
              discosto mi trattiene dal primiero
              concetto. Ora, all'istante, mi balena
              in testa pensiero che a riflettere
              mi porta ch'è, forse, nascosto orgoglio
              più che timore dell'altrui oppressione.
              E allor lo mio pensiero in alto vola:
              All'immenso Iddio, e dentro al cuore
              la quiete subentra immantinente.
              Disteso mi ritrovo e all'amore
              dell'altrui ridonda il sentimento.
              La pace in alma è ritornata e solo
              un sentimento di vergogna in uno
              al pentimento mi travaglia in petto.
              Una umile, breve prece al Ciel rivolgo.
              Legger mi sento, non più peso in corpo
              e sgombra la mente da pensier distorto.
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                Scritta da: Nello Maruca

                Il pentimento

                O Genitori che state sotto ai pini
                Udite la mia prece o miei divini,
                sentite quanto grande è il pentimento
                di me che non ho colto il buon momento.

                Di stupidità pervasa la mia mente
                Indegnamente fui da Voi assente
                Ed or che più rimediar non posso
                Il danno rimpiango e il tempo lasso

                E me compiango di quanto non fui lesto
                E per quanto vile fu ogni mio gesto
                Nel trascurare per bramosia i Vostri affanni
                ArrecandoVi assai molti più danni.

                Per i dovuti e mancati omaggi
                Perdono: la mia prece è per Voi oggi,
                finché vivrò nel profondo del petto Vi terrò
                e sempre nei pensieri reconditi Vi avrò.

                Del male fatto assai molto mi dolgo
                E a Voi Anime elette mi rivolgo:
                Alfin che trovi la perduta calma
                Raggiunga il perdon Vostro la mia alma.
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                  Scritta da: Nello Maruca

                  Il casanova

                  Conosco, un dongiovanni
                  che a soli dodici anni
                  già comincia l'azione
                  della dolce seduzione.

                  Ora va guardando a manca
                  per cercare qualche gamba,
                  poi lo guardo mena a dritta
                  a cercare una coscritta.

                  Giovincella oppure vecchia
                  purché resti nella cerchia
                  differenza non è alcuna
                  che, comunque, tocca la luna.

                  Se è guercia o zoppicante
                  ne fa uso solamente
                  per tre giorni: Poi più niente.
                  Appagato ha già la mente.

                  Se conquista la biondina
                  la ricerca ogni mattina
                  e a sera la consola
                  nel non farla restar sola.

                  Se per caso, poi, è bruna
                  ne fa uso fino all'una
                  e la lascia solamente
                  a motivo della gente.

                  Sia ch'è bionda, alta e snella
                  sia ch'è bruna, grassa e bella,
                  sia ch'è storpia, bassa e racchia
                  sia rugosa, storta e vecchia,

                  sia ch'esperta all'esercizio
                  o che ancor non tenga vizio,
                  purché abbia l'orifizio
                  solo uno è il giudizio:

                  Ella è donna: Tanto basta,
                  perché nulla cosa guasta.
                  Mi si chiede qual è il nome
                  di cotanto bestione;

                  Ma per mia delicatezza
                  dir non posso la sua razza,
                  però indico la via
                  sol per mera cortesia.

                  Via Rosario par che sia;
                  par dimori in quella via.
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                    Scritta da: Nello Maruca

                    Il camposanto

                    Coperto d'un lenzuolo di bianco lino
                    Mi ritrovai disteso sotto un pino.
                    Il luogo mi pareva squallido e nero
                    E il tutto m'appariva un gran mistero.
                    Strani rumori, fruscii, non voci né lamenti,
                    non alcuno presente, non erano viventi
                    ma com'infiniti oceani pianeggianti
                    solo lanterne fievoli e tremanti.
                    Forte pulsavami lo core dentro al petto,
                    sparire avrei voluto ma restai interdetto
                    di freddo tremando e di paura
                    mentre la mente si volgea a sciagura.
                    Sussultando, stordito e impaurito
                    Mi rigirai un poco e guardai indietro
                    Da dove mi parea giungessero suoni
                    D'inestricabili voci e di scarponi.
                    Con lenta cadenza e andatura austera
                    Avanzavano ver me, in veste nera,
                    con in mano una un bastone dorato,
                    l'altra, sul braccio, un pastrano ornato
                    due alte figure di nobile casato
                    con lo stemma sul petto disegnato.
                    M'apprestai ad un inchino riverente
                    Ma lor giraro tosto lato ponente.
                    Consolato di sì tanta presenza
                    Stanco, sedetti sopra una sporgenza
                    Ch'avea pensato essere un muretto
                    Invece, ahimè, trattavasi d'un ometto.
                    Con tanto spazio che ti trovi intorno
                    Non mi par vero che non senti scorno
                    D'appollaiarti sul mio teschio scarno
                    Come su ceppo di pietra di marmo.
                    Giammai avrei osato così tanto
                    Se non avessi pensato lungi alquanto
                    Essere tu prossimo a un vivente
                    In questo campo ove l'umano è assente.
                    E, poiché la mente mia è allo sbaraglio
                    Vogliami perdonare per lo sbaglio,
                    per non avere in tempo conosciuto
                    chi come me, in terra, era pasciuto.
                    Mi girai, una grande distesa di viole,
                    lui squagliato come neve al sole.
                    Poggiai la mano sopra una casupola,
                    caddi su un prato coltivato a rucola.
                    Tre cagnolini dal pezzato pelo
                    Guaivano tremanti intorno a un palo
                    Mentre due donne dal vestito nero
                    Avanzavano ver me a passo leggero.
                    Dovere di cortesia m'imponeva inchino
                    Ma già rivolte altrove, dietro un pino,
                    Ignoravano lo saluto e a passo lesto,
                    a testa china e con fare mesto
                    giravano attorno un grande casolare
                    dove erano più cani ad abbaiare.
                    Per chetare la morsa della fame
                    Seppur in pantofole e pigiama,
                    l'abbaiare dei cani l'un l'altr'ostile
                    tosto mi portarono in cortile
                    ché l'alba da tre ore era già sorta
                    e i poveracci non avean più scorta.
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