C'è un omino assai bellino che fa spesso il birichino; L'ho amato da piccino e lo penso ogni mattino. Lui con me tiene un segreto, di svelarlo abbiamo il veto. Se, però, non ubbidisce quest'intesa tosto svanisce.
Da quando Iddio tutto creò d'un fiato È risaputo che la vita umana Per dono l'ha donata Madre Natura E concepita l'avrebbe sì perfettamente Che di difetto dovrebbe essere assente. Constato, invece, ahimè, amareggiato Che il dono è dono sì ma osteggiato E che non è in toto, indi, compiuto Ch'appare albero spoglio e mal pasciuto. Qual dono essere può la vita umana Se nasce gente storpia e senza mani? Se gente muore di stenti e carestia, in guerre, pestilenze e malattie? Se tanto definirsi è esser dono Mi si risponda: cosa c'è di buono?
Forse di buono è che all'altro Mondo delle privazioni si arriva mondo e si è elevati a dignità di Santo per non avere in terra avuto vanto.
Aurora che in mezzo siedi rosseggiante poi della bianca alba e pria del luccicante sole che di luce cielo e mondo inonda ma tua luminosità supera e abbonda.
Pria ch'esso compare e cielo di luce sua colori già tuo splendore riluce, ché qual alba a ritroso lo cammino fai e, di splendore prima sei del trino.
Chi già candido origina tra splendore di due e forma di luce e di colore trino, percorso di sua vita è rilucente ché di macchia nell'andar rimane assente.
Posta con l'Alba e il Sole nell'Olimpo al mondo doni luce a tutto campo, d'essa ne resti tutta quant'avvolta e la spandi ogni dì dall'alta Volta.
Distesa immensa d'azzurr'acque che l'uman'occhio non discerne fine ché al ciel che sovrasta non trova confine mai duoma d'uomo, ch'anzi sempre soggiacque a tua possanza, mano divin ti mena ch'innalza l'onde e infrange sulla rena, con fragor le riporta nel tuo seno e, come se grembo fosse troppo pieno
le confonde, le avvolge, le sparpaglia, le compatta, le invola come vento paglia, con vigor le rigetta sulla spiaggia e tutt'intorno è nugolo di pioggia. Di superficie pianeggiante e liscia come prat'erboso dove capra pasce ricca nel fondo di mollusco e pesce custode, pure, di crostaceo e bisce.
Abitatori, nel ventre, mostri marini culli come in seno mamma bambini. Li trasporti dall'uno all'altro lido pari rondine verme al proprio nido. Prodiga nel dare gioia e contento rallegri umanità piccola e grande; l'onde sen vanno al ritmo del vento ponendo a spiaggia altalenanti fronde
divelte d'intemperia alle madri piante. Al pari delle gioie che son tante di dispiaceri l'umanitade inondi e quelle ch'eran pria carezzevol'onde brute divengono in un sol'istante, né suppliche odon, mai, né lamenti, né grida le scuotono e nemmeno pianti, seminano lutti senz'alcun compianto.
Nessuno su di esse ebbe mai vanto. Mare! Del Globo in ogni terra vivi, i fiumi tutti raccogli e in grembo porti e sempre stesse emozion rivivi sia che balena carezzi o pesce rombo. Mare possente! Che le fort'onde, sulla spiaggia, schiumeggianti abbatti; mai cosa al mondo, niuno e nulla
osato pensare han mai che ti combatti. Spengi perfino gl'incendiari razzi che repentinamente annienti e abissi. Mai tema avesti d'uomini e di mezzi contro ogni cosa e ognuno segni successi. Or burrascoso sei ed ora quieto, ora nervoso appari ed or disteso e i pesci pasci senz'alcun divieto,
natanti porti di gran mole e peso. L'orca gestisci dal vorace istinto com'anco l'alice a cattiveria non usa. Alla Sirena dal divino canto tua porta, da sempre, lasci schiusa. Bellezza tant'è in te, mare divino! Somiglia il tuo splendore a bel giardino.
Mi trovavo, di mattino, al Municipio giacché sbrigar dovevo un'incombenza; di botto fui d'ergumeni in corto spazio che perso aveano il senso della decenza. L'un volgarmente all'altro si scagliava mentre quell'altro, in urla, bestemmiava; l'uno del ladro dava al suo collega l'altro parea avere gusto a brutta bega.
L'uno la Benemerita invocava l'altro, la strozza, d'un balzo afferrava; quello di stazza grossa ed imponente rendea quell'altro nullo ed impotente. Fortuna l'ali stese, in quel frangente, giacché trovavansi vigorosa gente che, il piccolo sollevava con veemenza e al bisonte entrava in colluttanza.
Ed or, ciò detto, pure il mio pensiero, mi si consenta esponga: Degrado peggiore esser non potrebbe se al guado d'aspettar il collega l'altro n'è altero: Miserabili, di cordata, furon compagni per conquistare un umile sgabello e non disdegnaro neppur loschi convegni amando coda di leone a capo d'agnello.
Di bega e lascivia la gente non ha usanza, nel rispetto di legge vuole governanza; necessita, d'amministratori, vera presenza che alla comunità dia rispondenza. Uomini, quindi, di governo degni di rispetto intrisi, non di sdegni, ch'abbiano per sol fine bene comune e interessenze mai, giammai niune.
Chi della cosa pubblica ha la reggenza non stia un letargo e misera temperanza; s'adoperi a togliere crosta e indecenza, dimostri ancor fermezza e sua prestanza pur senza dare sfogo all'impazienza. Ridoni al popolo suo persa speranza, fà che ripudio non tocchi comunanza e designi il consigliere per competenza.
Dolce per l'aria un suono va vagando l'orecchio armoniosamente deliziando, come del mare l'onda fluttuante ora anelante, or più pacatamente.
Carezzevole un canto l'accompagna dal villaggio, pei boschi, alla campagna da zeffiro, piacevolmente, sostenuto come bianco Angelo in ali convenuto.
Vecchio canuto dagli occhi penetranti, barba a peli bianchi, mani tremanti, faccia triste e stanca, espressione mesta, la testa tra le mani, pensoso, resta.
Ripensa al tempo andato, per l'anima sprecato, ritorna agli anni d'oro, rivive le ballate, le serenate ch'ora non sublima, i dolci canti, i suoni, le passioni estive.
Suo comportar calato l'ha nel fondo, i dolci suoni che in aria mena i venti gli anni addolcendo, orecchi carezzando, per gl'anni ch'ora compie, sono strazianti.
Chi l'animo ha deterso d'ogni ruina e dell'altrui bene ha fatto sua dottrina sol egli letificare può del festeggiare giacché in petto è amore a spazieggiare.
Altri non può, l'animo ne ha rigetto; percorso non ha la via dal passo stretto che dritto mena al benevolo cospetto di Chi, per noi, trafitto ha il Santo Petto.
Forgiata da Mastro che dei maestri è Mastro di nobili metalli in uno fusi cornice pende, di fiori ricamata. Non di minore pregio nastro la regge che, ad avorio appeso, più regal la rende.
Da sfondo, luminoso come sole, appare un cuore che a caratteri di fuoco ha inciso: Amore. Dal dio Vulcano indelebile la stampa è apposta che alle cure affidata l'ha della dea Vasta
che al focolar dei buoni è attenta e lesta. Nel mezzo, la cornice, un quadro la sovrasta ch'a le immagini di tre racchiuse in una da divinità bendata, detta Fortuna.
Una, grande e possente è la figura che alle altre due profonde dolce cura. Dal petto emette solo dolci suoni; dolce lo sguardo, occhi belli e buoni.
Gentile nel suo far, cortese in tutto grand'albero v'appar cui pende buon frutto, Il frutto coprodotto è dolce e fresco ch'anco il pianto per l'anima è rinfresco.
Altra dolce e buona figura l'accompagna ch'è degnamente degna sua compagna; reso felice ha lui col pregiato frutto, ella è felice mamma e moglie in tutto.
Assai più bello è il quadro quì descritto ma riportar su carta non m'è concesso ché ai soli Grandi ascritto è tal diritto: Sol loro, a cose belle, han riservato accesso.