Poesie inserite da Nello Maruca

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Scritta da: Nello Maruca

LXXI

In sì cotanto corto tempo, diverse
Le vicende calate in nostre menti;
da trist'eventi a lieti avvenimenti,
l'une dall'altre, molto, molto inverse.

Da gioia la vita passa a strette morse
e quanti in terra sono grandi talenti
Nessuno può capire tal cambiamenti;
da dritte le cose tosto son converse.

Domani è primo giorno di frequenza
e sono pronto e quasi sono sereno,
mi turba un poco mamma in sofferenza.

L'ansia l'ha colta nel petto sensibile
e le lacrime calanti, senza freno,
creano nell'alma cruccio irremovibile.
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    Scritta da: Nello Maruca

    Il dono della vita

    Da quando Iddio tutto creò d'un fiato
    È risaputo che la vita umana
    Per dono l'ha donata Madre Natura
    E concepita l'avrebbe sì perfettamente
    Che di difetto dovrebbe essere assente.
    Constato, invece, ahimè, amareggiato
    Che il dono è dono sì ma osteggiato
    E che non è in toto, indi, compiuto
    Ch'appare albero spoglio e mal pasciuto.
    Qual dono essere può la vita umana
    Se nasce gente storpia e senza mani?
    Se gente muore di stenti e carestia,
    in guerre, pestilenze e malattie?
    Se tanto definirsi è esser dono
    Mi si risponda: cosa c'è di buono?

    Forse di buono è che all'altro Mondo
    delle privazioni si arriva mondo
    e si è elevati a dignità di Santo
    per non avere in terra avuto vanto.
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      Scritta da: Nello Maruca

      Aurora

      Aurora che in mezzo siedi rosseggiante
      poi della bianca alba e pria del luccicante
      sole che di luce cielo e mondo inonda
      ma tua luminosità supera e abbonda.

      Pria ch'esso compare e cielo di luce
      sua colori già tuo splendore riluce,
      ché qual alba a ritroso lo cammino
      fai e, di splendore prima sei del trino.

      Chi già candido origina tra splendore
      di due e forma di luce e di colore
      trino, percorso di sua vita è rilucente
      ché di macchia nell'andar rimane assente.

      Posta con l'Alba e il Sole nell'Olimpo
      al mondo doni luce a tutto campo,
      d'essa ne resti tutta quant'avvolta
      e la spandi ogni dì dall'alta Volta.
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        Scritta da: Nello Maruca

        Il mare

        Distesa immensa d'azzurr'acque
        che l'uman'occhio non discerne fine
        ché al ciel che sovrasta non trova confine
        mai duoma d'uomo, ch'anzi sempre soggiacque
        a tua possanza, mano divin ti mena
        ch'innalza l'onde e infrange sulla rena,
        con fragor le riporta nel tuo seno
        e, come se grembo fosse troppo pieno

        le confonde, le avvolge, le sparpaglia,
        le compatta, le invola come vento paglia,
        con vigor le rigetta sulla spiaggia
        e tutt'intorno è nugolo di pioggia.
        Di superficie pianeggiante e liscia
        come prat'erboso dove capra pasce
        ricca nel fondo di mollusco e pesce
        custode, pure, di crostaceo e bisce.

        Abitatori, nel ventre, mostri marini
        culli come in seno mamma bambini.
        Li trasporti dall'uno all'altro lido
        pari rondine verme al proprio nido.
        Prodiga nel dare gioia e contento
        rallegri umanità piccola e grande;
        l'onde sen vanno al ritmo del vento
        ponendo a spiaggia altalenanti fronde

        divelte d'intemperia alle madri piante.
        Al pari delle gioie che son tante
        di dispiaceri l'umanitade inondi
        e quelle ch'eran pria carezzevol'onde
        brute divengono in un sol'istante,
        né suppliche odon, mai, né lamenti,
        né grida le scuotono e nemmeno pianti,
        seminano lutti senz'alcun compianto.

        Nessuno su di esse ebbe mai vanto.
        Mare! Del Globo in ogni terra vivi,
        i fiumi tutti raccogli e in grembo
        porti e sempre stesse emozion rivivi
        sia che balena carezzi o pesce rombo.
        Mare possente! Che le fort'onde, sulla
        spiaggia, schiumeggianti abbatti;
        mai cosa al mondo, niuno e nulla

        osato pensare han mai che ti combatti.
        Spengi perfino gl'incendiari razzi
        che repentinamente annienti e abissi.
        Mai tema avesti d'uomini e di mezzi
        contro ogni cosa e ognuno segni successi.
        Or burrascoso sei ed ora quieto,
        ora nervoso appari ed or disteso
        e i pesci pasci senz'alcun divieto,

        natanti porti di gran mole e peso.
        L'orca gestisci dal vorace istinto
        com'anco l'alice a cattiveria non usa.
        Alla Sirena dal divino canto
        tua porta, da sempre, lasci schiusa.
        Bellezza tant'è in te, mare divino!
        Somiglia il tuo splendore a bel giardino.
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          Scritta da: Nello Maruca

          Intemperanza politica

          Mi trovavo, di mattino, al Municipio
          giacché sbrigar dovevo un'incombenza;
          di botto fui d'ergumeni in corto spazio
          che perso aveano il senso della decenza.
          L'un volgarmente all'altro si scagliava
          mentre quell'altro, in urla, bestemmiava;
          l'uno del ladro dava al suo collega
          l'altro parea avere gusto a brutta bega.

          L'uno la Benemerita invocava
          l'altro, la strozza, d'un balzo afferrava;
          quello di stazza grossa ed imponente
          rendea quell'altro nullo ed impotente.
          Fortuna l'ali stese, in quel frangente,
          giacché trovavansi vigorosa gente
          che, il piccolo sollevava con veemenza
          e al bisonte entrava in colluttanza.

          Ed or, ciò detto, pure il mio pensiero,
          mi si consenta esponga: Degrado
          peggiore esser non potrebbe se al guado
          d'aspettar il collega l'altro n'è altero:
          Miserabili, di cordata, furon compagni
          per conquistare un umile sgabello
          e non disdegnaro neppur loschi convegni
          amando coda di leone a capo d'agnello.

          Di bega e lascivia la gente non ha usanza,
          nel rispetto di legge vuole governanza;
          necessita, d'amministratori, vera presenza
          che alla comunità dia rispondenza.
          Uomini, quindi, di governo degni
          di rispetto intrisi, non di sdegni,
          ch'abbiano per sol fine bene comune
          e interessenze mai, giammai niune.

          Chi della cosa pubblica ha la reggenza
          non stia un letargo e misera temperanza;
          s'adoperi a togliere crosta e indecenza,
          dimostri ancor fermezza e sua prestanza
          pur senza dare sfogo all'impazienza.
          Ridoni al popolo suo persa speranza,
          fà che ripudio non tocchi comunanza
          e designi il consigliere per competenza.
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            Scritta da: Nello Maruca

            Strazio

            Dolce per l'aria un suono va vagando
            l'orecchio armoniosamente deliziando,
            come del mare l'onda fluttuante
            ora anelante, or più pacatamente.

            Carezzevole un canto l'accompagna
            dal villaggio, pei boschi, alla campagna
            da zeffiro, piacevolmente, sostenuto
            come bianco Angelo in ali convenuto.

            Vecchio canuto dagli occhi penetranti,
            barba a peli bianchi, mani tremanti,
            faccia triste e stanca, espressione mesta,
            la testa tra le mani, pensoso, resta.

            Ripensa al tempo andato, per l'anima
            sprecato, ritorna agli anni d'oro, rivive
            le ballate, le serenate ch'ora non sublima,
            i dolci canti, i suoni, le passioni estive.

            Suo comportar calato l'ha nel fondo,
            i dolci suoni che in aria mena i venti
            gli anni addolcendo, orecchi carezzando,
            per gl'anni ch'ora compie, sono strazianti.

            Chi l'animo ha deterso d'ogni ruina
            e dell'altrui bene ha fatto sua dottrina
            sol egli letificare può del festeggiare
            giacché in petto è amore a spazieggiare.

            Altri non può, l'animo ne ha rigetto;
            percorso non ha la via dal passo stretto
            che dritto mena al benevolo cospetto
            di Chi, per noi, trafitto ha il Santo Petto.
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              Scritta da: Nello Maruca

              Il quadro

              Forgiata da Mastro che dei maestri è Mastro
              di nobili metalli in uno fusi cornice pende,
              di fiori ricamata. Non di minore pregio nastro
              la regge che, ad avorio appeso, più regal la rende.

              Da sfondo, luminoso come sole, appare un cuore
              che a caratteri di fuoco ha inciso: Amore.
              Dal dio Vulcano indelebile la stampa è apposta
              che alle cure affidata l'ha della dea Vasta

              che al focolar dei buoni è attenta e lesta.
              Nel mezzo, la cornice, un quadro la sovrasta
              ch'a le immagini di tre racchiuse in una
              da divinità bendata, detta Fortuna.

              Una, grande e possente è la figura
              che alle altre due profonde dolce cura.
              Dal petto emette solo dolci suoni;
              dolce lo sguardo, occhi belli e buoni.

              Gentile nel suo far, cortese in tutto
              grand'albero v'appar cui pende buon frutto,
              Il frutto coprodotto è dolce e fresco
              ch'anco il pianto per l'anima è rinfresco.

              Altra dolce e buona figura l'accompagna
              ch'è degnamente degna sua compagna;
              reso felice ha lui col pregiato frutto,
              ella è felice mamma e moglie in tutto.

              Assai più bello è il quadro quì descritto
              ma riportar su carta non m'è concesso
              ché ai soli Grandi ascritto è tal diritto:
              Sol loro, a cose belle, han riservato accesso.
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