Poesie inserite da Nello Maruca

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Scritta da: Nello Maruca

Lo stravolgimento

Fu, fu e fu per quasi trent'anni fu
misconosciuto da parenti e amici
ch'ognuno lo mena in su e giù
e d'essere favoriti sono felici
ché per poco, sempre, ben serviti
da colui che parente e pur'amico
attua il comando di lor'impettiti
con animo devoto e sforzo fisico.

È dei tanti amici e suoi parenti,
non per capacità ma sfortunata
sorte, per quanti cattivi eventi,
assoggettato vivere alla giornata
e soggiace a volontà di questi,
ora di quelli, mai gratificato,
a soddisfar degli altri, sempre, i gusti
ma di riconoscenza mai degnato.

Tiene una notte la sua mamma in sogno:
che nell'orecchio tutto dona in dettaglio
Non temere, figlio mio, per te son sveglia
e scesa sono per te dall'altro Regno
Chè darti buona nuova avea gran voglia.
Domani, non tardare, fa quel ch'ò detto
apprestati a curare ogni dettaglio:
sei stato scelto quale figlio eletto,

attento! Non commettere alcun sbaglio.
Seguita la via che t'hò donato,
vai avanti dritto, non voltarti indietro;
per te la prece è stata del Beato
ch'è fatto Santo ed è nomato Pietro.
Indi, il seguente dì, senza ritardo,
segue quant'ebbe dalla mamma in sogno
con diligenza del nostromo a bordo,

tessendo la tela qual'esperto ragno.
Lo fa con fiducia e in speranza
certo non potere esser fallace
e che l'annuncio avuto è l'essenza
di ciò che già vede quale verace.
Avviene dopo poco, sabato sera,
qualcosa che travolge ogni misura
mentre il frinire di cical ciarliera

morendo se ne va entro il verziere.
E la notizia è farina al vento
così che ognuno sa dell'accaduto
di quanto agiato cento volte e cento
or è il miserando uomo sparuto.
Parenti si moltiplicano e pure amici
riandando ai trapassati, agl'antenati
e per essi implorano i buon'uffici

ché di lor stessa stirpe sono nati.
La mente gli ritorna ai patimenti,
rivede gli anni tristi del passato
quando bisognevole d'alimenti
lo stato suo da tutti er'aggravato.
Resta, però, paziente ad ascoltare
gli altri la sfumata manna ad aspettare
e con carezze e lodi ad acclamare.
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    Scritta da: Nello Maruca

    CLXXIV

    Gli eventi non danno requie, si susseguono
    e per quanto cerchi di restarmi quieto
    mente e cuore impongono divieto
    ché molte cose l'una all'altra seguono.

    Queste vicende molto mi conturbano
    e in luogo di tenermi l'animo lieto
    mi resto notte e dì tremante e inquieto
    e dentro il teschio ruota gran frastuono.

    Se sol risolvere potessi mio dilemma
    l'alma riavrebbe la perduta flemma *
    e il cuore scaccerebbe lo tremendo duolo.,

    il vivere sarebbe gran consolo,
    slegato dall'ingarbugliata massa
    le redini terremmo di matassa.
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      Scritta da: Nello Maruca

      CLXXIII

      Più oltre non possiamo donarti aita
      ma consorelle alberganti marchesato
      che vivono puranco nel ducato
      sapranno rattoppar veste scucita.

      Possa essere gioiosa la tua vita
      e sia ogni dì migliore del passato
      che da piccino hai già tribolato
      prima ancora che vita è concepita.

      Noi ti doniamo nostre benedizioni,
      e nostri preci ti seguon da presso
      non far che l'alma sfiori tentazioni.

      Sii prudente in tutte tue decisioni
      e ricorda che qualsivoglia processo
      non è da noi ma supreme intercessioni.
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        Scritta da: Nello Maruca

        CLXXII

        Le tue e nostre preci in Ciel son giunte
        ché parrebbe dipanata la matassa:
        È nobildonna colei che t'interessa,
        del casato ducale dei Ferrante.

        Ragazza gioiosa, esilarante
        che amicizia con chiunque intessa
        sdegnando l'alto rango di duchessa
        e di povera gente è assai amante.

        Vive in fiorente Terra toscana
        in tenuta di Firenze poco lontana,
        rifugge, spesso, dal cerimoniale,

        ha mente ampia, aperta, geniale
        di personalità altera *, dolce, sana
        scevra d'alterigia: È soltanto umana.
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          CLXXI

          È tempo, mamma, ch'io riedo in cerca
          Della ragazza che m'ha preso il cuore,
          ricominciar conviene dalle suore
          della pieve di sul poggio della Merca

          m'acquatto al solito posto accanto all'arca, *
          m'associo alle preghiere con ardore
          certo che spalanca sue porte mio Signore
          sapendo che braccia più non reggon barca.

          Sono allo stremo, ormai, delle mie forze
          Perciò la Provvidenza a me accosta
          Cheti mia ansia e mi doni sosta.

          Alta assai, capisco, è la mia posta
          Ma tante ho avuto già di sferze
          Che testa sta a cuore a parte opposta.
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            Scritta da: Nello Maruca

            CLXXVIII

            In mezzo a due filari d'alti tigli
            diparte ampia strada pianeggiante
            coverta di pietra calcarea biancheggiante
            che dritta mena ad ampi gradin vermigli.

            Partonsi a lato due folti cespugli
            dal fusto e dal fogliame verdeggiante
            che a loco danno tono esilarante;
            intorno sprigiona odor di labili gigli.

            Io son tremore tutto quanto intero
            giacché mi trovo in quel posto austero
            che dire non saprei per qual mistero.

            Stretto per tremore al battistero
            m'accorgo sol'allor e parmi non vero
            d'essere in chiesa ai piè d'un monastero.
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              Scritta da: Nello Maruca

              CLXXVI

              A riandar pel suo cammino presto
              comincia e tregua più non abbonda
              che per mesi ci ha lasciato a l'onda * Liberi
              e or rivuole quanto dato a impresto. ** prestito

              Mai scomputa Scuola; tutto vuole e lesto
              così, com'essa di sapienza abbonda
              e mente tutta quanta ne inonda
              semplicemente, così, rivuole e tosto.

              Spinger mi devo in contrada tosca
              e sfruttare lo poco tempo che mi resta
              e sia serenità per cuore e testa.

              Voglia il buon Dio che non sia sol esca
              e speme possa ire a lieto fine
              diversamente, ahimè, qual è mia fine?
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                CLXXVII

                In cima a piccolo promontorio
                a lato Piombino, là dove l'Isola
                del ferro par tocchi con mano sola,
                imponente s'erge di bianco avorio

                torre magnifica opera scultorio
                cui arte somiglia Donatello scuola
                e di uomo che vita solo arte immola
                spicca, cui maestosità in circondario

                e nemmanco per miglia nessun altro
                perequa palazzo cui suo biancore
                di brillanza magnifica spessore.

                Piuttosto, che tacer celera* cuore;
                come, altrimenti, potrebbe, peraltro
                se appresso sto a dolce, desiato amore?
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                  CLXXV

                  Io non capisco, Signore, se veglio
                  o dormo poiché la mente caduta
                  è in garbuglio e solamente imbevuta
                  è di scompiglio e non confà al meglio

                  e manco al peggio, tal è lo tafferuglio
                  che pria ch'idea nasca è già sperduta
                  e qualsivoglia veduta è decaduta
                  ché in cervello impastato è intruglio.

                  Perché si esca da cotanto imbroglio
                  convien che ci fermiamo a dar di piglio
                  a snocciolar * gl'affari uno per uno.

                  Dapprima è mente a liberar d'incaglio,
                  cui core la costringe ad attanaglio,
                  non dando d'apertura più segn'alcuno.
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                    CLXXIV

                    Gli eventi non danno requie, si susseguono
                    e per quanto cerchi di restarmi quieto
                    mente e cuore impongono divieto
                    ché molte cose l'una all'altra seguono.

                    Queste vicende molto mi conturbano
                    e in luogo di tenermi l'animo lieto
                    mi resto notte e dì tremante e inquieto
                    e dentro il teschio ruota gran frastuono.

                    Se sol risolvere potessi mio dilemma
                    l'alma riavrebbe la perduta flemma *
                    e il cuore scaccerebbe lo tremendo duolo.,

                    il vivere sarebbe gran consolo,
                    slegato dall'ingarbugliata massa
                    le redini terremmo di matassa.
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