Cheta tuo pianto, Maria, io son risorto ma asceso ancora non sono in Casa augusta e or, che tu di tanto persuasa, dona di tuo sapere agli altri apporto.
Corre la Santa Vergine ver l'orto ma di brillanza nobil Figura invasa, a passo lesto ed andatura decisa appare vivo e non con viso morto.
Abbraccia Mamma con affetto il Figlio, stringe lo Figlio al petto la sua Mamma indi Giovanni cinge Madre e Figlio.
Tornate o Voi cari ai vostri affari, Io salgo lesto da Colui che infiamma e che bontate spande senza pari.
Piange la Santa Vergine e s'affligge e tra le sante braccia Egli la regge: Vai santa Donna, ritorna a tua arte; lo sai, non son di qui, ma d'altra parte.
Il Padre mio m'attende in alto Loco, non posso rimaner nemmanco un poco, presto sarò di nuovo in questo luogo onde lenir l'umano dal suo giogo.
In croce al posto di essere spergiuro Quei ch'affossar pote mondo sotterra, umil soggiace a man crudel che sferra frusta su corpo gentil, docile e puro.
E tutt'intorno annerisce: È scuro. Assordante boato scote la terra qual più mille cannon tonanti in guerra e squarcio corre per lo cielo oscuro.
Ed Ei spirò, e l'Alma da Suo petto uscio; trema lo Cielo ed è tremor di terra. Centuria tutta è terror.
Centurione, pur ei, ghiaccio da timor destra man porta su gelido petto e per malvagità di pria mostra terror.
Comincia allo scoccar dei Suoi trenta anni l'ammaestramento itinerante e ovunque la folla è esultante ché sciancato al Suo dir dritto diventa.
Vento non è o alt'onda turbolenta che temi, né alcunché d'altro esuberante giacché cosa non è su Lui imperante ma tutto è qual neve che lo sol paventa.
I pani e pure i pesci centuplicava, sulle acque dei laghi e mari camminava e furia d'acque e venti tacitava.
In Cafarnao, loco d'opera messianica di Galilea, e storpi e ciechi risanava con amor grande e bontate unica.
Gl'afflitti ver Lui amor nutrivano e d'intense benedizioni lo colmavano ma avea contrari a Se scribi e sinedrio con Pilato e tutto il suo imperio.
Indi insultato, malmenato e vilipeso, da sommario giudizio condannato ai carnefici senzadio viene affidato e al legno ch'è aggravato rest'appeso.
Se di tremore tutto quanto movo veloce subentra palpitio in core e fronte è bagna di freddo sudore e grande fobia in alma mi ritrovo.
Ancor più forte gran bruciore provo che serpeggiando avvolge dentro e fore mentre le tempie scoppian di dolore, gambe e ginocchia, pure, a stento movo.
Tutto quanto lo corpo ora è fremente che d'improvviso vien febbricitante tanto che vista perdo e conoscenza.
Nessun conforto vien dalle prestanze di mani di delicate movenze che oprano a ridarmi persa coscienza.
Tra tutto il dolor mio speme m'appare Al pensar ch'oggi tutto si conclude e fine lung'odissea che occhi schiude Pur quando palpebra sonno fa calare.
Inginocchiato ai piè del casto Altare, fisso lo guardo a Chi non mai delude prego che la Sua carità me non esclude e che lo cup'affanno faccia chetare.
Par che mia mente ritrova sollievo, Ma poi lo core torna a lacrimare Chè lo passar del tempo è altalena
e sopportare non può cotanta pena che appena ch'ardisco traversare Ricado in fondo e torbid'acqua bevo.