Poesie inserite da Nello Maruca

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Scritta da: Nello Maruca

VI

Supera il terzo anno a pieni voti,
lo quarto e puranco lo quinto senza
inciampi, i risultati son ben noti
ed è già assicurata la licenza.

Dell'alma, figlio, m'hai colmato i vuoti,
nei cinque anni non figura assenza
e dai maestri tant'amore riscuoti
che ben vogliosi son di tua presenza.

Il primo ciclo chiuso hai in diligenza,
ma il prossimo sarà assai più duro
ma certa son di tua perseveranza

Di quanto m'aspetta, mamma, ho coscienza;
so che dinnanzi tengo un alto muro
ma t'assicuro della mia costanza.
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    Scritta da: Nello Maruca

    I

    Era d'avvento, nasce prematuro.
    Il padre da poco, per sempre, taccio
    lui, poverino, ignaro del futuro,
    fredda la casa che pareva ghiaccio.

    Pur di giorno tutto pareva scuro
    poiché il demone preso aveva al laccio
    colui che teneva fermo e sicuro
    timone di dimora a forte braccio.

    Così inizia il percorso il pargoletto
    tra per lui gioia e per papà tormento
    pria ancor che bocca s'accostasse al petto

    della nutrice che distesa a letto,
    affranta, pensava al poco alimento
    che il pargolo avrebbe sotto quel tetto.
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      Scritta da: Nello Maruca

      CLXXXVI

      Calpestio di passi sono all'orecchio,
      fruscio di veste, mormorio di bocca
      e mentre dieci l'orologio scocca
      tutti i presenti danno a porta l'occhio

      allorché s'apre con leggero crocchio
      e vecchia suora dalla gamba stracca,
      indosso larga e misera casacca
      si ferma ai piè di letto e forma cerchio.

      S'inchina riverente in ver duchessa
      e poscia col suo far mesto e commosso,
      a testa china e con la voce bassa:

      A voi porta con me nostra Badessa
      triste nuova, che nostr'Ordine ha scosso:
      Suora Brunetta da due giorni è cessa.

      Nulla valse d'erbe lunga mistura
      ché compiersi dovea fosca ventura.
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        Scritta da: Nello Maruca

        CLXXXV

        L'alma serena sento e rilassata,
        il peso da su gli occhi s'è dissolto
        e chiedo ora verso mia madre volto:
        mortal pallore ancor non t'ha lasciata!?

        Mentr'ancor testa tengo qui adagiata
        ogni dolo da corpo s'è risolto
        che non è membro di doglianza avvolto
        e ogni disturbo è sofferenza andata.

        Chi, mamma, queste nobili figure
        che seguono mio andar sì da vicino?
        Da giorni largiscono loro cure

        e par tengano a cuore mio destino
        e sento che per me pregano il Cielo
        come le amate suore del Carmelo.
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          Scritta da: Nello Maruca

          CLXXXIV

          Or lo cervello mio è lucido e sveglio
          e son l'orecchie attente ad ogni dire
          e gl'arti sollevati dal patire,
          soltanto peso tengo ancor su ciglio.

          Lo corpo tutto va incontro al meglio
          che libero ora tutt'è nel suo agire
          e nessun membro più sento soffrire,
          ma ancora sol vista creami scompiglio.

          Tra carezze di possidente nobil
          donna e mamma, ancora a lungo resto
          ad occhio chiuso, ma a mente aperta

          cui forte volontà ciglia disabil
          spinge alzarsi, onde lasciare scoverta
          vista, desiosa il dolce volto mesto

          mirar di nutrice, d'ansia coverta,
          qual etere di nubi tetre attorta.
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            Scritta da: Nello Maruca

            CLXXXIII

            Accanto a mamma dal pallor mortale
            raffinata siede donna spartana
            degna figur di nobil castellana,
            con occhi dolci e dal volto ovale.

            Due suore a destra man del capezzale
            che al suon di tocchi di bronzea campana
            che a raccolta chiama gente nostrana
            in chiesetta di palagio ducale,

            s'alzano a recitare l'avemaria.
            La manca mano in quella di mamma
            pongo e con mia la sua lacrima scorre.

            Concluso appena hanno terribil dramma,
            infra le steppa d'Argentina e serre,
            zii ch'an vissuto in quelle nobil terre.
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              Scritta da: Nello Maruca

              CLXXXII

              Paion disturbi corporei quasi cessi
              ma nello teschio vivido è ronzio
              che genera dal cor non uso a ozio
              da cui travagli ancora non son cassi.

              Li palpiti non segnano recessi
              e par insito sia nel cuore lo vizio
              che giammai chetato s'è da suo inizio
              perciò nemmanco un dì si fur rimessi.

              Caldo torpor percote tutte membra,
              grande peso calca stanca palpebra
              e occhio vede solo scura tenebra.

              Al sol ch'acceca veder mio è sol'ombra
              e ogni cosa all'occhio resta penombra.
              comanco lingueggiare smorte labbra;

              ché nullo invero appare a vista stanca
              ma è coscienza solo che dentro manca...
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                Scritta da: Nello Maruca

                CXXXV

                Ragazza bionda da cerulei occhi,
                senza ch'ella n'abbia alcuno torto
                da dritto ch'era lo mio senno ha storto
                e i pensieri resi sterili e secchi.

                Un mese di ricerche, senza sbocchi
                e più m'avanzo più cerchio è ritorto
                e vieppiù lo core cede a sconforto
                ché nulla san di lei giovani e vecchi.

                Unica speme è lei, suora Teresa,
                ch'altri non sanno onde siede e posa
                né se vergine ancora oppure sposa.

                Indi la grande ed impervia mia impresa
                ai suoi piedi poso, essa qui riposa
                ché non è cosa cui a santona è ascosa.
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                  Scritta da: Nello Maruca

                  CXXXIV

                  Ancor prima che in mare il sole cali
                  lato ponente al loco di preghiera
                  siamo, assai tremante io e con l'alma nera
                  pei pensier che senno stipa suoi annali.

                  Due stanze superiam da volte ovali,
                  ed ecco a noi d'innanzi donn'austera
                  indosso grembiule da cameriera
                  guidaci a piedritti monumentali.

                  In stanza scarsamente illuminata
                  è suor Teresa dal lungo talare
                  supplice innanzi all'Immacolata.

                  Al calpestio dei lenti nostri passi,
                  a braccia aperte e tono familiare:
                  Quale l'affanno che vi rende lassi?
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                    Scritta da: Nello Maruca

                    Pupa

                    E dei sinceri giochi di bambini
                    fummo e lei e io ingenui compagni
                    così crescemmo un poco birichini
                    tra i campi a nascondino tra i castagni.

                    Quando cresciuti, un poco, più grandetti
                    ci ritrovammo a scuola, fanciulletti,
                    poi giovinetti ancora tre anni fummo
                    e altri cinque poi assieme viaggiammo.

                    Così finisce lei ciclo di studio
                    mentr'io m'avvio in verso l'ateneo,
                    gode ella del lavoro già il preludio
                    ignara dal sapere ch'avrà gran neo.

                    E sposa e va più in là, oltre confine,
                    rigonfio cuore di speranza e amore,
                    animo sincero, gentile e fine
                    lungi pensar di perdere l'onore.

                    Ma l'uomo ch'à, di pietra tiene cuore
                    ch'appen che luce vede primo fiore
                    con la minaccia a lei la strada impone
                    dopo strenua lotta ed aspra tenzone.

                    Così la trovo là, in ginocchione
                    smunta da duol, piangenti gl'occhi,
                    racconta lesta sua maledizione,
                    m'affida per sua bimba due balocchi.

                    Domani non sarò, figliola cara,
                    deposta giacerò nella mia bara
                    ma veglierò su te dal Paradiso
                    onde i miei pianti sian per te sorriso.

                    Aspetta, Pupa mia, teco son pur'io,
                    aspetta qui, un poco, il mio ritorno
                    che certo mi ha mandato il gran buon Dio,
                    vedrai, doman sarà diverso giorno.

                    Quando che fui coi militi di torno
                    stesa la ritrovai immersa a sangue,
                    nel biglietto è scritto: Il cuore langue,
                    meglio l'onore, figlia, che l'inferno.

                    Potrai guardare dritto negli altrui occhi
                    ch'onor per frutto lascio e due balocchi.
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