Portano tal nuove buon'ossigeno capace di scacciare ogni tristezza e svuota l'alma di tant'amarezza e di speranza, pare, faccia il pieno.
Non un giorno che non stringa al suo seno la Vergine Maria che in tenerezza, col dialogar dolce e silente, in gaiezza, m'allontana dal petto ogni veleno.
Poi, però, la tema rinvigorisce e il turbamento prende il sopravvento così speme dal cor si ripartisce.
Pensa l'implume uccello che pipisce, Incapace di darsi nutrimento: unica fede: Mamma che lo pasce.
Disanimato raggiunge l'erboso spiazzo e stringesi lo petto a più sconforto allorquando dal lussureggiante orto compare mamma con più triste vezzo. * Atteggiamento
So che al mio tormento sei avvezzo, vorrei poterti essere di porto di contro, ahimè, sono peso morto ma di serenità non trovo mezzo.
Il tormento, vedrai, che tosto passa, godi, intanto, la mia affermazione che condivisa teco parmi più grossa...
Buona nuova quanto a lontana ressa giacché promotori di contestazione opransi acché rivoluzione è cassa.
Scrive un Nobel che pur stando in punta di piedi mai vide il Signore Iddio passare per le vie. E allora bisognerebbe arrampicarsi in cima al sicomoro per vedere il Signore se mai passi. Di contro, posso dire, inchinandomi umilmente al Grande del novecento, che pur senza sforzarmi di stare in punta di piedi o arrampicarmi sugli alberi l'Onnipotente lo incontro tutti i giorni e in ogni luogo, nelle grandiose opere da Lui compiute e nei miracoli che perpetua, da sempre, ogni giorno.
Quando su prato il fiorellin germoglia e il sole di primavera scalda e accresce così, per te, l'amore mio arde e si pasce e ingigantisce di te più la mia voglia.
Il fiorellin che spoglio nasce su prato al sole che lo scalda, però, fa voto sciente che a carità è da ignoto così lo calor ch'il nutre lo fa grato.
Io t'ho dell'amor mio gratificato avendoti al core la porta schiuso e l'essere tutto mi resta confuso e pure un poco, ahimè, amareggiato.
Poiché lo foco ch'ò arde e consuma e ogni dì di più s'innalza e avanza purtuttavia non scuote tua coscienza e al grand'amore mio non si costuma.
L'amore m'ha invaso anima e corpo e gli occhi mi costringe a lungo pianto: Nemmanco tieni un poco di compianto e lasci incolto il rigoglioso orto.
Non fare che si trasformi a malasorte e cingi l'amor mio a forte abbraccio, non far che per un misero capriccio trasformi tant'ardore a triste sorte.
Quando ai miei occhi il molo si para Tutte cose, tosto, cervell connette e ognuna al posto giusto rimette e quel di prima e quel di poi separa.
Di dosso si scrolla ogni residua tara, mentre occhio contempla, mente riflette e d'ottobre mi porta a quella notte e a nonno steso in quella fredda bara.
La tormenta annienta uomini, animali, alberi, case e cose e sono lutti miseria e sofferenza.
Ma Carità che non tiene confini pietosa, il manto della sua clemenza sul nostro capo, per pietate, pose.