Poesie inserite da Nello Maruca

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Scritta da: Nello Maruca

Il trombatore

Quel saccente "Cacasenno"
Nella smania di far danno
Come sempre, pur quest'anno
Ha imbastito altro inganno.
Con l'arte del tranello
Sospinge il "comparello"
buttarsi all'impazzata
a tentare la traversata;
indi assieme a scarpetta
avvelena la polpetta.
Acquattato tra le spine
te, avversario, tiene a mira
e tra rovi e tra spine
è con ansia che respira
Ha puntato, al petto strette,
tutte quante le doppiette
pronto a far partir le frecce.

Se assurgi e siedi in trono,
a dispetto del "nostromo"
mi costringi a farti un dono:
La promessa fò su strada
della sicula contrada.
Se sarà tuo il successo
venir meno non m'è concesso
di donar quel ch'ò promesso.
Se, però, ahimè non t'ergi
e resti fermo e non emergi
della sicula contrada
la promessa è ritirata.

Se assurgi oppur non ergi
il saccente serpentello * *furbetto
fuoriesce di cervello.
Indi sii vigile e lesto
giacché chiusi i luoghi adatti
al ricovero dei matti
altro posto non l'accetta
e perciò con furia matta
spranghe impugna e doppietta
qual suo ultimo rimedio
a placare rabbia e tedio.
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    Scritta da: Nello Maruca

    Lacché

    Lo rossore assomiglia ad un bel fiore;
    se lo coltivi, lo curi e l'hai nel cuore
    dal gambo alla corolla resta splendore
    e in ogni ora t'inebria del suo odore.
    Ma se nol curi, lo strappi e lo calpesti
    è qual morente dagli occhi spenti e pesti.
    E se pure lo raccogli tutto quanto
    mai riavrà la primiera bellezza del suo manto.

    Così è l'uomo se decoro mantiene,
    se saldo lo rossore sempre detiene;
    ma se perde o oscura la sua faccia
    è pari al verme che sguazza nella feccia.
    E qui dire vorrei del topo di fogna
    che nella melma vive e la vergogna;
    ed è quell'uomo che col capo chino
    striscia qual biscia mentre fa l'inchino.

    È faccia porcina, aspetto orripilante,
    nel letto dell'avverso trovasi d'amante
    e sol per qualche chicco di lenticchia
    tradisce la famiglia e la sua cerchia.
    Pezzente! Fare poteva solo l'inserviente
    ma lo portaro in cima: Ad assistente.
    E pure se insuperbito dell'alto rango
    la nostalgia lo rituffò nel fango...

    Di limo in limo, ahimè, vaga strisciando
    ed or questo padrone or quel servendo
    ansimando ricerca lo caldo d'altro fuoco
    ma ognuno lo manda altrove: In altro loco.
    Stolto! Crede di fare dell'inciucio
    e non s'accorge d'esser nato ciuccio.
    Cerca di gareggiare con abili cervelli
    ma è solamente il re degl'asinelli.

    Assicurando va d'essere paladino
    del cittadino e del suo destino.
    Nemmanco fosse il Grande Napolitano
    che nel costume è retto, integro, sano.
    Invece, il vero chiodo ch'ha in mente
    è rimanere lacché del presidente.
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      Scritta da: Nello Maruca

      La rosa profumata

      Là, nell'angolo più bello
      dell'orto del mio ostello,
      sprigionata da una rosa
      che profuma ogni cosa

      un odore inebriante
      da più tempo è vagante.
      Son'ott'anni ch'è costante
      e non cede mai un istante.

      Al pari del suo odore
      è perenne pur l'ardore
      e così m'ha preso il cuore
      che ridonda pel suo amore.

      Tanti beni ho al cospetto
      e a ciascuno don'affetto;
      notte e dì, però, al mio petto
      uno solo ne tengo stretto.

      È quel fiore inebriante
      che rubato m'ha cuore e mente,
      mai potrà esserm'assente:
      Morirebbero cuore e mente.

      Questa Rosa bella e fresca
      porta il nome di Francesca.
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        Scritta da: Nello Maruca

        Disgrazia

        Quest'oggi il nervosismo è culminato,
        per questo ogni fatica ho trascurato,
        dopo avere girovagato alquanto
        entro deluso nella stanza accanto.

        Quel che quest'anno qui è capitato
        è avvenimento che va raccontato
        alfin che sappia chi ci ruota intorno
        della confusion che regna e del frastorno.

        Abbia pietà di nuova circostanza
        e prenda dell'ambiente nuova coscienza
        onde non abbia lui ad adirarsi
        e non costringa altri a morsicarsi.

        Approda, cheto cheto, a dirigenza
        uomo discreto dai capelli senza;
        non un mugugno mai, non una lagna,
        convive la miseria e si rassegna.

        Al contrario, però, vive quest'io
        che pur con nostalgia, fuori d'astio
        mi contorcio, mugugno e pur mi lagno
        tanto che cancrena l'ho financo in sogno.

        Guardo, lì, seduta a tavolino
        donna vestita d'abito di lino
        che al posto ci cercare d'operare
        dilettasi sulla sedia a dondolare.

        Lumacone somiglia a movimenti:
        Lenta nel fare, lenta in spostamenti.
        Con il lavoro pare ci si culla,
        a fine giorno non conclude nulla.

        Delle tante disgrazie è la più magna
        che capitata m'è tra nuca e collo,
        meglio se fosse assente alla bisogna
        ch'è personaggio di corto cervello.

        L'è di coronamento buon compagno
        che in tela incagliato pare sia di ragno.
        Prende, pone, riprende e poi ripone,
        s'arrovella, si strugge e non compone.

        Dai gesti, dal parlar, dal comportare
        i due al mio cervello fanno pensare:
        Bisognerebbe metterli in struttura
        ove potere offrir sicura cura.

        Stanco di permanenza in sì squallido
        loco mestamente m'avvio allo stanzone
        donde mi par proviene una canzone;
        accanto alla finestra è uomo gelido

        che al collo cinghia tiene penzoloni
        mentre reggesi con mano i pantaloni.
        M'accosto, al saluto mio risponde:
        Hai visto al monte che bell'alte onde?

        Brillano gli occhi, tremano le mani;
        presto men vò dicendo: Addio, a domani.
        Nel corridoio restano tre, in crocchio,
        che prima mai incontrato avea mio occhio.

        L'uno in altezza supera la norma
        e dall'aspetto parmi non sia in forma.
        Mi dà conferma, di mia impressione,
        al mio saluto, la truce espressione.

        Dei rimanenti due uno s'inchina,
        l'altro lancia coriandoli e farina.
        In aria li sparpaglia e volan via
        mentre gl'astanti invocano Maria.

        Sbigottito del far di quei signori
        accedo alla sala di lettura
        ove di doglianza carca e malumori
        trovo persona di scarsa cultura.

        In serbo tiene solo sconoscenza,
        superbia, arroganza ed indignanza **
        d'intemperanza tien comportamento
        e mostra di suo volto abbrutimento.

        Delle manchevolezze mie non dico:
        Quello che faccio spesso lo modifico.
        Dico soltanto che non son quel ch'ero,
        mi scordo quel ch'ò detto e se pur c'ero.

        Arricchito di sì tant'indigenza
        lesto men torno all'usuale permanenza
        convinto che l'ambiente mio disabile
        è, comunque, degli altri il più agibile.
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          Scritta da: Nello Maruca

          Carogna

          Frutto di un emerito cretino
          circola per le vie un volantino;
          scritto l'ha con mano malandrina
          persona disgraziata, burattina.

          Verme strisciante, misera carogna
          l'essere tuo è tutto una vergogna;
          sei un vile mascalzone puzzolento,
          essere abietto, indegno e virulento.

          Mente maligna, produttor di male
          la lordura scritta, dimmi, a cosa vale?
          Il profano al divino hai mescolato
          per questo, farabutto, sarai schiacciato.

          Mente malata, instabile e corrotta
          l'opera infame segna la tua condotta;
          peggio di Giuda sei e di Caino
          impiccati, bastardo, sei un assassino.

          Di giovani hai violato i sentimenti,
          perché non hai attaccato altri elementi?
          Rispondi, lestofante, vieni avanti
          mostra tua faccia, i toni tuoi arroganti:

          Aguzzino, miscredente, delinquente
          degno non sei di stare tra la gente
          giacché rifuggi dal civil confronto
          e dell'anonimato tieni conto.

          Vergognati! Anima vile di peggiore
          specie, bestia feroce, trafiggitor di cuore,
          al posto delle mani hai degli artigli
          dimmi, carogna, tu ne hai di figli?

          Hai conosciuto mai dei sentimenti?
          Sai dirmi quanto sono sublimanti?
          O rettile sei nato tu strisciante
          ed odio alberghi per la buona gente?

          Hai segnalato del Vangel dei versi
          ma quei tuoi scritti ad esso son'inversi:
          Hai giudicato senz'alcun diritto
          possa in eterno piangere il tuo scritto.
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            Scritta da: Nello Maruca

            Arrivismo

            Pusillanime, miserevole don Abbondio
            dell'Opera manzoniana turpe figuro,
            alla vista dei bravi, dal guardo truce e duro
            fu, tremante del proprio io, dimentico di Dio.
            Poscia, ancor, fremente di rabbia e di paura
            cavalcar dovette la dispettosa mula
            che rasentando sen'iva l'orlo dell'altura
            con la testardaggine degna d'essa mula.

            Di sua paura colpa nessuna avea, il poverello,
            giacché cavalcato mai avea mulo o asinello.
            Mai, prima, di brutti ceffi fu a lor cospetto
            perciò il freddo trafissegli carni e petto.
            La sua dimestichezza era il breviario
            che al libro accompagnava del lunario;
            marchiato, pur tuttavia, fu di vigliaccheria
            cui mescolanza avea a risaputa tirchieria.

            Col segno a fuoco sulla fronte impresso
            per la codardia, vittima fu di se stesso;
            qual'uomo da nonnulla fu additato
            e da ciascuno schivato e allontanato.
            Misero più d'egli è il cavaliere esperto
            che di bestie da soma fu domatore certo,
            dacché teschio è vuoto e di cervello senza
            per perdita d'onestà, scienza e coscienza.

            Grand'uomini furonvi d'onori e d'armi
            che per amore ridussero lor intelletti inermi;
            l'Orlando per l'Angelica perse il cervello
            ma egli, per poco o nulla, perse il fardello.
            Quegli nobile sentimento seguitava
            per cui la sua pazzia giustifica trovava;
            questi l'amata lasciava per materia
            quando già dava, da trent'anni, onori e gloria.

            Perso, con l'abbandono ha amori, grazie, onori
            e scomparsi sono i prati seminati a fiori;
            d'irsute spine la via tortuosa prende
            mentre ogni giorno più in basso scende.
            In quel che don Abbondio credea infausto giorno
            reggere, della stupida mula, seppe il governo
            e tra preghiere, lamentele, suppliche e lagne
            agli applausi, alla fine, passò dalle vergogne.

            Il cavaliere credendosi sommo del meglio
            da furente il destriero lancia allo sbaraglio
            mentre, lemme, l'arciere scaglia la freccia
            che il cavaliere nuotar fa nella feccia.
            Ora s'affligge sull'operato suo nefasto
            cercando dar riparo al provocato guasto;
            al coccodrillo s'accosta a somiglianza
            che piange su distrutta figliolanza.
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              Scritta da: Nello Maruca

              Fallo

              La vita mai grandi cose m'ha donato,
              anzi, tolto m'ha gl'affetti desiderati
              fors'anco perch'io l'ho mal cercati
              o che in altri è sentimento andato.

              Sotto quel tetto tanti ne crescemmo,
              mai in diverbio o discrepanza fummo;
              sol quando spiccammo volo in altrui
              loco lo bene scordammo nostro per l'altrui.

              A te son grato d'avere alla mia mente
              ridonato il senso che credevo andato,
              certo che face sia eternamente
              ricredomi di quanto avea pensato.

              Allor ch'attenta fosti al mio dolore
              le guance mi pervase grande calore:
              Il sangue pulsò forte nelle vene
              quando mi mostrasti il tuo gran bene.

              Tal sentimento avverte sol chi ama,
              chi di benevolenza ha sete e cura
              e, mai, in cuor suo ordito ha trama
              di rendere a alcun la vita dura.

              Qual dono fosse bello più che mai
              il comparir dinnanzi a Chi non è
              ed in ginocchio dire: Mamma, ormai,
              il bene che ci hai dato tutto c'è.

              Se non te, che d'opera riparatrice
              sei la più saggia, nessuno puote
              risanar sì grande fallo ché, noi, si dice
              ma dall'accostare il ben siam teste vuote.

              A te, l'arduo compito è affidato
              che ancora giovinetta ci hai vegliato;
              per noi hai rinunciato parte di tua vita
              ma l'opera tua non è ancor finita.
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                Scritta da: Nello Maruca

                LXX

                La Scuola sta per cominciare, mamma,
                e conoscere voglio, tosto, i libri di testo
                ché l'acquisto vo farlo al più presto
                per seguitare bene, poi, il programma.

                L'acquisto ora non è più dilemma,
                il portafogli è gonfio e a spesa desto
                grazie a zia e al brav'uomo mesto
                e costo pure gravoso non c'infiamma.

                Se vuoi, mamma, tornare puoi al paesello
                E vivere, come prima, tra la gente,
                togliendoti del campo lo fardello.

                Dover primiero dell'uomo è la famiglia,
                per essa del lavoro essere amante;
                chi sceglie non così, la scelta sbaglia.
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                  Scritta da: Nello Maruca

                  LXIX

                  Se in rarità, per mera fortuna
                  Serenità a qualcuno attinge
                  Tosto natural forza lo sospinge
                  A spendersi e visitare altra raduna. *

                  Chè quanta gente al mond'accomuna
                  Vorrebbe ch'essa in intimo suo giunge
                  Ma sporadicamente scarse ne raggiunge
                  Per poco, però, ch'indugiare in niuna

                  Lice. Così, presto, è spento il fuoco
                  Che loro respiri han tenut'acceso
                  E come sorte vuole lo fu per poco.

                  Domani faranno rotta per l'America
                  Con l'alma in pena per il nostro peso,
                  volta la mente alla campagna aprica.
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                    Scritta da: Nello Maruca

                    LXVIII

                    Perciò mamma Titina e lo suo figlio
                    Tengono d'ossigeno magna riserva
                    E condizione loro forte s'innerva
                    Mentre cervello lotta lo scompiglio.

                    Pur rimanendo qual anche nel meglio
                    E pari modestia ognuno conserva
                    Parente e amico miglioria osserva
                    E fantasia galoppa a più garbuglio.

                    La grazia repente a mani aperte
                    Non turba acquisita costumanza
                    E dolcezza rimane e non inverte.

                    Nulla rimpiazza all'impegno l'agio
                    Sol maggior devozione a Provvidenza
                    Che di carità ha fatto omaggio.
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