Capodanno alla stazione 11 e 42 parte l'ultimo treno come ieri e forse come domani tu avvolto nel tuo marmo, rimbrotti i panettoni dondolanti dei pendolari e il vociare vernacolare dei ferrovieri
11 e 50 il tuo catarro stride sui binari vuoti nelle rotaie di una vita e nei piedi di una città assorta nella nebbia e nell'indifferenza
11 e 57 le righe del tuo volto volteggiano padrone nel silenzio del vecchio anno canti felice per spiccioli di serenità mentre fiocchetti e danzi libero abbracciando di tenero amore la bottiglia di barbera e le pupille affogano nel delirio dell'ebbrezza
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parte il primo fischio ti alzi gelido, fiaccato nel sospetto della vita che continua rovesci le bollicine sulla piattaforma di catrame poi a terra nuovamente alla stazione di Milano.
Quando l'Eterno passeggiò col guardo Tutto il creato, diffondendo intorno Riso di pace, e fiammeggiar si vide Nè cieli il Sole, e rotear le stelle Dietro la dolce-radïante Luna Tra il fresco vel di solitaria notte, E germogliò natura, e al grigio capo Degli altissimi monti alberi eccelsi Fèro corona, e orrisonando udissi L'ampio padre Oceàn fremer da lungi; Sin da quel giorno d'aquilon su i vanni Scese Giustizia, e i fulmini guizzando Al fianco le strideano, i dispersi Crini eran cinti d'abbaglianti lampi. In alto assisa vide ergersi il fumo D'innocuo sangue, che fraterna mano Invida sparse, e dagli vacui abissi A tracannarlo, e tingersi le guance Morte ansante lanciossi: immerse allora La Dea nel sangue il brando, e a far vendetta Piombò su l'orbe, che tacque e crollò. Ma fra le colpe di natura infame Brutta d'orrore la tremenda Dea Si fè nel viso, e 'l lagrimato manto E le aggruppate chiome ad ogni scossa Grondavan sangue, e fra gemiti ed ululi S'udia l'inferno e la potenza eterna Bestemmiando invocati. - A un tratto sparve Contaminata la Giustizia fera, E al sozzo pondo dell'umane colpe Le suo immense bilance cigolaro; Balzò l'una alle sfere, e l'altra cadde Inabissata nel tartareo centro.
L'Onnipossente dal più eccelso giro Della sua gloria, d'onde tutto move, Udì le strida del percosso mondo, E al ciel lanciarsi la ministra eterna Vide: accennò la fronte, e le soavi Arpe angeliche tacquero; e la faccia Prostraro i cherubini, e '1 firmamento Squassato s'incurvò. - Verrà quel giorno, Verrà quel giorno, disse Dio, che all'aere Ondeggeranno quasi lievi paglie L'audaci moli; le turrite cime, D'un astro allo strisciar, cenere e fumo Saranno a un tratto; tentennar vedrassi Orrisonante la sferrata terra, Che stritolata piomberà nel lembo D'antiqua notte, fra le cui tenèbre E Luna e Sol staran confusi e muti; Negro e sanguigno bollirà furente Lo spumante Oceàn, rigurgitando Dall'imo ventre polve e fracid'ossa, Che al rintronar di rantolosa tuba Rivestiran lor salma, e quai giganti Vedransi passeggiar su le ruine Dè globi inabissati! E morte e nulla Tutto sarà: precederammi il foco, Fia mio soglio Giustizia, e fianmi ancelle, Armate il braccio ed infiammato il volto, Ira e Paura! Ma Pietà sul mondo Scenda sino a quel giorno, e di tremenda Giustizia fermi l'instancabil brando. Disse; e Pietà, dei Serafin tra mille Voci di gaudio, dell'Eterno al trono Le ginocchia piegò; stese la palma Il Re dei re su la chinata testa, E l'unse del suo amor. Udissi allora Spontaneamente volteggiar pè cieli Inno sacro a Pietà: m'udite attenti E terra e mar, e canterò; m'udite, Chè questo è un inno che dal ciel discende.
La Tregua L'occhio non vede dove il cuore incespica e il palpito incolore s'incaglia sui binari dell'indifferenza.
La memoria si è affievolita imbarbarita e sola posta sull'altare del buio.
Sono segni da restituire per la pianta assetata dell'uomo per i figli orfani della storia.
** il titolo è tratto dall'opera di Primo Levi "La Tregua". Molte volte il nostro piccolo occhio e il nostro cuore dimentica la sofferenza dell'umanità, tutto viene revisionato, anche il nostro ricordo.
Favelas In questo bosco di nullità dove il semplice calore dell'alito cancella i segni del tempo dove la palude confina col cielo e come birilli le piccole vite per gli squadroni sorge nella pece uno scampolo di vita. Sono margini d'esistenza a cavalcioni sull'inferno e all'orizzonte piedi nudi su vetri appuntiti. Copri di fango i loro occhi frigidi dal freddo perché la sabbia di Rio si vende a chi trova un altro Brasile.
Don't cry Argentina Don't cry Argentina sui tuoi aerei pieni di urla sopra corpi scaraventati nel mare dal cielo con i tuoi scarponi militari don't cry Argentina con la coppa del mondo innalzata dai sorrisi assassini dei tuoi Videla don't cry Argentina sullo sguardo delle madri intorno a piazza Major con gli occhi di corpi straziati le unghie e la lingua recise della libertà dont'cry Argentina sulla notte omicida della tua storia.
Ma de l'Italia o voi genti future, Me vate udite cui divino infiamma Libero Genio e ardor santo del vero: Di Libertà la non mai spenta fiamma Rifulse in Grecia sin al dì che il nero Vapor non surse di passioni impure; E le mura secure Stettero, e l'armi del superbo Serse Dai liberi disperse Di civico valor fur monumento: Ambizïon da le dorate piume Sanguinosa le mani, E di argento libidine feroce, E molli studj, piacer folli e vani A libertà cangiar spoglia e costume. Itale genti, se Virtù suo scudo Su voi non stende, Libertà vi nuoce; Se patrio amor non vi arma d'ardimento, Non di compre falangi, il petto ignudo,.
E del Giove terren l'augel battuto Drizza a l'aere natìo tarpati i vanni E sotto il manto imperïal si cela: Ma il vincitor lo inceppa, e gli alemanni Colli che borea eternamente gela, Senton lo altero vertice premuto Dal Guerrier cui tributo Offre atterrita dal suo cenno e doma La pontificia Roma, Dal Guerrier che ad Esperia i lumi terge E falla ricca dè tuoi puri doni, O Libertà gran dea, E l'uom ritorna ne gli antichi dritti Che prepotente tirannia premea. A vetta a l'Aventin Cesare s'erge Tirannic'ombra rabbuffata e fera, E mira uscir di Libertà campioni Popoli dal suo ardir vinti e sconfitti, Ond'alza il brando, e cala la visiera ... Ombra esacranda! Torna Sitibonda di soglio Ove lo stuol dei despoti soggiorna Oltre Acheronte a pascerti d'orgoglio: Eroe nel campo, di tiran corona In premio avesti, or altro eroe ritorna, Vien, vede, vince, e libertà ridona.
Del Re dei Re! - Quindi tra il fumo e i lampi S'involve in sen di tempestosa nube, Che occupa e offusca di Germania il suolo; Donde precorsa da mavorzie tube Balda rivolge e minacciosa il volo L'Aquila, e ingombra di falangi i campi; E par che Italia avvampi Di foco e guerra, di ruina e morte: Nè spezzar sue ritorte Osa, nè armarsi del francese usbergo. Ma s'affaccia l'Eroe; sieguonlo i prodi Repubblicano in fronte Nome vantando con il sangue scritto; Ecco d'estinti e di feriti un monte, Ecco i schiavi aleman ch'offrono il tergo E la tricolorata alta bandiera In man del Duce che in feral conflitto Rampogna, incalza, invita, e in mille modi Passa e vola qual Dio di schiera in schiera: Pur dubbio è marte; ei dove Più dè cavalli l'ugna Nel sangue pesta, e sangue schizza e piove, E regna morte in più ostinata pugna Cò suoi si scaglia, e la fortuna sfida Guerriero invitto, e tra le fiamme pugna E vince; e Italia libertade grida.
Deh! Mira, come flagellata a terra Italia serva immobilmente giace Per disperazïon fatta secura: Or perché turbi sua dolente pace, E furor matto e improvida paura Le movi intorno di rapace guerra? Piaghe immense rinserra Nel cor profondo; a che piagar suo petto, Forse d'invidia oggetto, Per chi suo gemer da lontan non sente? Ma tu, feroce Dea, non badi e passi, E a l'armi chiami, a l'armi, E al tuon dè bronzi e al fulminar tremendo E a l'ululo guerrier perdonsi i carmi. Cede Sabaudia, e in alto orribilmente Del tuo giovin, Campion splende la lancia; Tutto trema e si prostra anzi i suoi passi, E l'Aquila real fugge stridendo Ferita ne le penne e ne la pancia. Gallia intuona e diffonde Di Libertade il nome E mare e cielo Libertà risponde: L'Angel di morte per le imbelli chiome Squassa ed ostende coronata testa: Libertà! Grida a le provincie dome, Del Re dei folli Re vendetta è questa.
Offre scampo ai tiranni, e il bel Sebeto Irriga mansueto Le al Vesuvio soggette auree campagne E ricche aduna a usurpator le messi; Abbevera il Ticino Ungari armenti, e l'ospitali arene Non saluta il Panaro in suo cammino; T'ode gridar oltre le sue montagne La subalpina donna e l'elmo allaccia E s'alza e terge i rai nel duol dimessi, Ma le gravano il piè sardo catene, Onde ricade e copresi la faccia; E le a te care un giorno Città nettunie, or fatte Son di mille Dionisj empio soggiorno: Liguria avara contro sè combatte; E l'inerme leon prostrato avventa Nè suoi le zampe e la coda dibatte E gli ammolliti abitator spaventa.