Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz
E venir vidi in leggiadria decente
Amabil Verginella, alla cui fronte
Ornamento facea candor lucente.
     Così non luce mai vermiglio il monte
Cui batte il Sol di sera, e sì non luce
Sul mattin odoroso l'orizzonte.
     Nube che fior sparpaglia la conduce
Per l'aer leggiadramente, ed al suo lato
Fervida stassi Carità per duce.
     Di mite venticel fragrante fiato
Spingea la bianca nube, e dir parea:
In uffizio sì caro io son beato.
     E poi che giunse là 've risplendea
L'augusta Croce, e di Angeli uno stuolo
Radïante corona la facea;
     Troncò la nube candidetta il volo,
E soffermossi a piè del Cherubino
Che scese i Cieli maestoso e solo.
     Ed ei sul capo riverente e chino
Dell'innocente Vergine la palma
Stese, e sparse su lei sermon divino;
     E le dipinse la placida calma,
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    Piovea di sangue e di fiammelle un nembo
    Cui sette Serafini a capo chino,
    Onde raccôr, stendean l'aurato lembo;
         E aprissi il Cielo, e scese un Cherubino
    Con un Calice in mano ov'era scritto
    A note di adamante: Amor Divino.
         E poi ch'ebbe tre volte circoscritto
    Lo spazio delle sfere, a posar venne
    Sul tronco ove lavossi ogni delitto;
         Indi abbracciollo, e Cantico solenne
    Coi Spiriti minori erse in dolore,
    Dolce battendo di fulgor le penne.
         E a me, cui maestà cerchiava il core,
    Scrivi scrivi, gridò, ciò che vedrai,
    Chè queste son l'alt'opre del Signore.
         A lui per riverenza io m'atterrai,
    E al suon di tromba vidi in Orïente
    Splender igniti abbarbaglianti rai
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      Coronato d'alloro, o naviganti,
      Adorando, e libateli dall'alta
      Poppa in onor della palmosa Delo,
      Ospizio di Latona, isola cara
      Al divino Timbrèo, cara alla madre
      Delle Nereidi, e al forte Enosigèo.
      Non ferverà per voi l'ira del flutto
      Dalle Cicladi chiuso ardue di sassi,
      Nè dentro al nembo suo terrà la notte
      L'aure seconde, e l'orïente guida
      Delle spiate nubi. Udrà le preci
      Febo; dai gioghi altissimi di Cinto
      Lieti d'ulivi e di vocali lauri,
      Al vostro corso le cerulee vie
      Spianerà tutte, e agevoli alle antenne
      Devote manderà gli Eolii venti.
      Però che l'occhio del figliuol di Giove,
      Lieto fa ciò che mira: Apollo salva
      Chi Delo onora. O stanza dell'errante
      Latona! Invan la Dea liti e montagne
      Dolorando cercò: fuggìanla i fiumi
      E contendeano a correre col vento.
      Ove più poserai dal grave fianco
      Lo peso tuo? Nè avrà culle e lavacri
      Dell'Olimpio la prole, o dolorosa?
      Ma la nuotante per l'Icario fonte
      Isola, à venti e all'acque obbedïente,
      Lei ricettò, sebben in ciel si stesse
      La minaccia di Giuno alla vedetta.
      Amor di Febo e dè Celesti è Delo.
      Immota, veneranda ed immortale,
      Ricca fra tutte quante isole siede
      E le sorelle a lei fanno corona.
      I doni di Lieo nell'auree tazze
      D'alloro inghirlandate o naviganti
      Adorando; e libateli dall'alta
      Poppa in onor della palmosa Delo.

      Tale cantando Alceo strinse di grato
      Ozio i Tritoni, e i condottieri infidi
      Della nave che gìa pel grande Egeo
      Italia e le Tirrene acque cercando
      Onde posar nella toscana terra
      Le Muse che fuggìen l'arabo insulto
      E le spade e la fiamma ed il tripudio
      Dè nuovi numi, e del novello impero;
      Come piacque all'eterna onnipotenza
      Di quella calva che non posa mai
      Di vendicar sul capo dè Comneni
      Le vittorie di Roma, ed i tributi
      D'Asia, e di Costantin gli Dei mutati.

      Salìa dell'Athos nella somma vetta
      Il duca, e quindi il flutto ampio guardava
      E l'isole guardava e il continente
      Però che si chinava all'orizzonte
      Diana liberal di tutta luce.
      Gli suonavano intorno il brando e l'arme
      Sfolgoranti fra l'ombre, e giù dall'elmo
      Gli percuoteva in fulva onda le spalle
      La giuba dè corsier presi in battaglia;
      Negro cimiero ondeggiavagli, e il negro
      Paludamento si portavan l'aure.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        Quindi cercando Bradamante gìa
        l'amante suo, ch'avea nome dal padre,
        così sicura senza compagnia,
        come avesse in sua guardia mille squadre:
        e fatto ch'ebbe al re di Circassia
        battere il volto dell'antiqua madre,
        traversò un bosco, e dopo il bosco un monte,
        tanto che giunse ad una bella fonte.
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