Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Io verrò a cercarti

Io verrò a cercarti
anche quando nessuno si ricorderà di te.
Io ti sognerò
anche quando la gente avrà smesso di sognare.
Io getterò
di là dal muro la mia maschera ipocrita
che mi fa scrivere versi,
quando tutto sarà già stato scritto.
Io calpesterò le vie battute
dai poeti e dai sognatori
quando gli uomini avranno lasciato
le loro impronte di carne
sui marciapiedi.
E quando sarai lontana
e la notte calerà sui miei giorni,
e tu solo una goccia d'acqua
nell'oceano
io verrò a cercarti.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    Padre, quand'io per la tua muta tomba
    Che da sett'anni te per sempre asconde
    Passo gemendo e il gemer si confonde
    Al bronzo che di morte il suon rimbomba;
         Trista memoria allor nel sen, mi piomba
    E ti veggo del letto fra le sponde
    Quel calice libar che in cor t'infonde
    L'ultimo istante che a te intorno romba:

         E veggo il scarso lacrimato pane
    Che dal tuo dipartir a' tuoi Figlioli
    E alla Vedova tua più non rimane.

         E veggo.... ahi lasso! tutto veggo, e tutto
    Che sei morto mi dice, e che a noi soli
    Non altro avanza che miseria e lutto.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      Perché, o mie luci, l'angoscioso pianto
      Voi non cessate? Ed al suo cupo affanno
      Non vi piace lasciar l'anima mesta?
      Troppo voi siete a quella doglia inganno
      Che m'è cara soffrir finché sia infranto
      Lo stame a cui s'attien mia vita infesta,
      Ben innanzi accadrà che si rivesta
      Di verde e fiori il prato a mezzo verno
      Pria che m'incresca di mie vive doglie,
      E so il destin mi toglie
      Chi era dè giorni miei pace e governo,
      Almeno alle sue spoglie
      Che omai sotterra son cenere frale
      Si dica sospirando un caldo vale.

      L'amico il Padre è morto: or qual mai speme
      Fia che più resti alle mie brame afflitte
      Se non che la pietà m'apra la fossa?
      Profondamente nel mio sen stan scritte
      Le sante dolci sue parole estreme
      Onde sovente quest'anima è scossa.
      Mi traggon elle a visitar quest'ossa
      Sparger miei voti, e forse al sordo vento;
      Ah! Che mai dissi? Dall'Eterea sede
      Ove beato ei siede
      Non odo il suon del mio triste lamento?
      E del dolor non vede
      L'alta ferita? Ah s'egli è ver cessate
      Lugùbri voci, nè più duol gli date.

      Troppo ci mi amava in terra, e troppo forse
      Se doglia provan dè beati i spirti
      Ei s'addolora alla mia intensa pena.
      Dunque spargiam sulla sua tomba mirti
      E so fosca per lui mia vita scorse
      Per lui ritorni ancor queta e serena.
      Ben troncherassi un dì questa catena
      Grave al mio spirto e goderò di lui
      Ove luce di Dio su ognun si spande.
      Ivi fia che domande
      Dè Frati miei, dè dolci Figli sui,
      O lieto istante, o grande
      Istante, a che ver me ratto non voli
      Onde in braccio al mio Padre io mi consoli?

      Perché m'adduci mai, folle desio,
      A vaneggiar con tai speranze audaci?
      Credi che al mio buon Padre io m'assomigli?
      Ivi egli posa in grembo a liete faci
      Perché con sua saviezza il nembo rio
      Seppe fuggir e del mondo i perigli.
      Fuggir forse sapranli i lassi Figli
      Che nel mondo imboscati a mezza notte
      Soli e confusi ad erme piagge ed erte
      Volgon lor pianto incerte
      Ahi troppo giovanili, e troppo indotte?
      Ma se fia che si merte
      Un giusto grazie, ah! Dal Signor dell'Etra
      Consiglio e Grazie à tuoi pupilli impetra.

      Luce chieggiam e chi l'accenda, o Padre,
      Forse non v'è, forse non v'è chi porga
      Acqua di chiaro fonte a nostra sete.
      Se per te dunque un rio puro non sgorga,
      So non diradi a noi quest'ombre sì adre,
      Chi fia che ci rischiari, e ci dissete?
      Egra già fora in grembo a tua quiete
      Ella che a noi fu Madre, a te fu Sposa;
      Se non che, lassa! Ancor viver si vuole
      Per sua tenera prole,
      Ma del suo lacrimar unqua riposa;
      Anzi meco si duole
      Dicendo, o Figlio, a te chiedo conforto
      Poiché il mio Sposo il mio buon Sposo è morto.

      E qual da me conforto? E quale io posso,
      Padre, se il terzo lustro appena io varco,
      Prestar sollievo a sua doglia cotanta?
      Ahi che mal se di quel soave incarco
      Gravar per anco il mio debile dosso
      Che il tuo gravò per quasi anni quaranta.
      Sol suonan pianto e muto orrore ammanta
      Què dolci lochi ov'io ti vidi un giorno
      Porger à tuoi Figliuoli e baci e pane,
      E in fogge care e strane
      Saltellar essi a tue ginocchia intorno.
      Ed or, ahi! Che rimane
      Altro che aver in grembo gli orfanelli
      E alle lor grida lacrimar con elli?

      O cupa notte! O tenebroso istante!
      O tetra bara, o feretro funebre
      Ove il padre vid'io la volta estrema!
      Dal duolo avvolti e da vostre tenebre
      Venite agli infelici ora d'innante
      Onde ognun sopra voi sospiri e gema.
      Qui mia suora innocente e guarda e trema
      L'istupidita genitrice nostra
      Che fitti ha gli occhi al suol nè fiato manda;
      Qui il fanciul che addomanda
      "Che fu? Che avvenne? " - e mesto indi si prostra.
      E al padre raccomanda
      Quinci il ritorno; e un altro che col dito
      Tergesi i lumi, e fa al suo pianto invito.

      E a squallor tanto in mezzo io con la fronte
      Dalle man sostenuta, i miei sospiri
      Traggo più ardenti, e li rattengo invano.

      Par che d'intorno a me l'ombra s'aggiri
      E dello smorte luci il caldo fonte
      Egli m'asciughi in atto dolce umano:
      Rammento allora qual diemmi la mano
      Qual me la strinse e qual mi benedisse
      Coi sguardi ove mancavangli gli accenti!
      Qual " miei Figli innocenti".
      Disse, " ti raccomando " e più non disse,
      Qual di Angeli fulgenti
      Sull'ale io vidi sgombra del suo volo
      L'alma rapita a innamorare il Cielo.

      Canzon, tu oscura, dolorosa, e sola
      Ove altri orfani stanno in pianto e in duolo
      Drizza gemendo il volo
      Et una amante vedova consola;
      E siegui un Figlio che alla mesta notte
      E alla tacita luna
      Fra lacrime dirotte
      Narra le tempre di sua rea Fortuna:
      Ivi per l'aria bruna
      T'innoltra, e digli in suon d'aura notturna:
      Solo non piangi del tuo Padre all'urna.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        Vigile è il cor sul mio sdegnoso aspetto,
        E qual tu il pingi, Artefice elegante,
        Dal dì ch'io vidi nel mio patrio tetto
        Libertà con incerte orme vagante.

             Armi vaneggio, e il docile intelletto
        Contesi alle febee Vergini sante;
        Armi, armi grido; e Libertade affretto
        Più ognor deluso e pertinace amante.

             Voce inerme che può? Marte raccende,
        Vedilo, all'opre e a sacra ira le genti:
        Siede Italia, e al flagel l'omero tende.

              Pur, se nell'onta della Patria assorte
        Fien mie speranze, e i dì taciti e spenti,
        Per te il mio volto almen vince la morte.



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              Vigile è il cor sul mio sdegnoso aspetto,
        E qual tu il pingi, Artefice elegante,
        Dal dì ch'io vidi nel mio patrio tetto
        Libertà con incerte orme vagante.

             Armi vaneggio, e il docile intelletto
        Contesi alle febee Vergini sante;
        Armi, armi grido; e Libertade affretto
        Più ognor deluso e pertinace amante.

             Voce inerme che può? Marte raccende,
        Vedilo, all'opre e a sacra ira le genti:
        Siede Italia, e al flagel l'omero tende.

              Pur, se nell'onta della Patria assorte
        Fien mie speranze, e i dì taciti e spenti,
        Per te il mio volto almen vince la morte.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          Forse perché della fatal quïete
               tu sei l'immago, a me sì cara vieni
               o sera! E quando ti corteggian liete
               le nubi estive e i zèffiri sereni,

          5    e quando dal nevoso aere inquïete
               tenebre e lunghe all'universo meni,
               sempre scendi invocata, e le secrete
               vie del mio cor soavemente tieni.

               Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
          10 che vanno al nulla eterno, e intanto fugge
               questo reo tempo, e van con lui le torme

               delle cure onde meco egli si strugge;
               e mentre io guardo la tua pace, dorme
               quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.

               [dai Sonetti]
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