Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Pietra di sole (frammenti)

un salice di cristallo, un pioppo d'acqua,
un alto getto che il vento inarca,
un albero ben piantato ma danzante,
un camminar di fiume che si curva,
avanza, retrocede, fa un giro
e sempre arriva:
un camminar tranquillo
di stella o primavera senza fretta,
acqua che con le palpebre chiuse
emette tutta notte profezie,
unanime presenza in ondata,
onda su onda fino a coprir tutto,
verde sovranità senza tramonto
come l'abbacinante effetto delle ali
quando s'aprono nel mezzo del cielo, (... )
vado per il tuo corpo come per il mondo,
il tuo ventre è una spiaggia soleggiata,
i tuoi seni due chiese dove il sangue
celebra i suoi misteri paralleli,
i miei sguardi ti coprono come edera,
sei una città che il mare assedia,
una muraglia che la luce divide
in due metà color di pesca,
un luogo di sale, roccia e uccelli
sotto la legge del meriggio assorto,

vestita del colore dei miei desideri
vai nuda come il mio pensiero,
vado pei tuoi occhi come per l'acqua,
le tigri bevono sogno nei tuoi occhi,
il colibrí si brucia in quelle fiamme,
vado per la tua fronte come per la luna,
come la nube per il tuo pensiero,
vado per il tuo ventre come pei tuoi sogni,
la tua gonna di mais ondeggia e canta,

la tua gonna di cristallo, la tua gonna d'acqua,
le tue labbra, i capelli, i tuoi sguardi,
tutta la notte piovi, tutto il giorno
apri il mio petto con le tue dita d'acqua,
chiudi i miei occhi con la tua bocca d'acqua,
sulle mie ossa piovi, nel mio petto
affonda radici d'acqua un albero liquido,

vado per la tua strada come per un fuime,
vado per il tuo corpo come per un bosco,
come per un sentiero nel monte
che in un brusco abisso finisce,
vado pei tuoi pensieri assottigliati
e all'uscita dalla tua bianca fronte
la mia ombra abbattuta si strazia,
raccolgo i miei frammenti uno a uno
e proseguo senza corpo, cerco tentoni, (... )

—la vita, quando fu davvero nostra?
quando siamo davvero ciò che siamo?
ben guardato non siamo, mai siamo
da soli se non vertigine e vuoto,
smorfie nello specchio, orrore e vomito,
mai la vita è nostra, è degli altri,
la vita non è di nessuno, tutti siamo
la vita —pane di sole per gli altri,
tutti gli altri che siam noi—,
son altro quando sono, i miei atti
son piú miei se sono anche di tutti

perché io possa essere devo esser altro,
uscire da me, cercarmi tra gli altri,
gli altri che non sono s'io non esisto,
gli altri che mi dan piena esistenza,
non sono, non v'è io, siam sempre noi,
la vita è un'altra, sempre là, piú lungi,
fuori di te, di me, sempre orizzonte,
vita che ci svive e ci fa estranei
che ci inventa un volto e lo sciupa,
fame d'essere, oh morte, pane di tutti.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    La Credenza

    È un ampio armadio scolpito; l'antica scura
    quercia ha preso una buon'aria di vecchia gente;
    l'armadio è aperto, e scioglie dentro l'ombratura
    come onda di vin vecchio, un profumo attraente.

    È un miscuglio di vecchie anticaglie, stipato
    di panni odorosi e gialli, di straccetti
    di donne e fanciulli, di appassiti merletti,
    di scialli di nonna col grifo pitturato;

    - Qui trovi ciocche di capelli bianche e bionde,
    i ritratti, i medaglioni, la frutta e i fiori
    secchi il cui profumo insieme si confonde.

    - Ne sai di storie, o mia credenza d'ore morte!
    Vorresti dirci i tuoi racconti, e fai rumori
    se lente s'aprono le grandi nere porte.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      La Maliziosa

      Nella sala da pranzo, bruna, profumata
      di frutta e di vernice, come chi non pensa
      raccolsi un piatto di non so quale portata
      belga, e sprofondai nella mia sedia immensa.

      Mangiando, udivo il pendolo, - calmo e giulivo.
      La cucina s'aprì in mezzo a una sbuffata.
      - Entrò la serva, e chissà per quale motivo,
      lo scialle sfatto, con malizia pettinata,

      ecco il ditino tremante pose e ripose
      sulla sua guancia, velluto di pesche-rose
      bianche, e con smorfie del suo labbro bambino

      per mio agio, i piatti mi riordinò vicino
      - poi, - ma certo per prendersi un bacio, - così
      mi soffiò: "Ho una freddo alla guancia, senti qui... "
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        La mia bohème (Fantasia)

        I pugni nelle tasche rotte, me ne andavo
        con il mio pastrano diventato ideale;
        sotto il cielo andavo, o Musa, a te solidale;
        oh! Là, là! Quanti splendidi amori sognavo!

        La sola braca aveva un largo buco. - In corsa
        sgranavo rime, Puccetto sognante. E l'Orsa
        Maggiore era la mia locanda. - Lassù
        le stelle in cielo avevano un dolce fru fru;

        le ascoltavo, seduto ai lati delle strade,
        nelle sere del buon settembre ove rugiade
        mi gocciavano in fronte un vino di vigore;

        e, rimando in mezzo ai tenebrosi fantastici,
        come fossero lire, tiravo gli elastici
        delle mie scarpe ferite, un piede sul cuore!
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Preghiera della sera

          Io, come un angelo seduto dal barbiere,
          vivo stringendo uno scanalato bicchiere,
          collo e ipogastrio curvi, una " Gambier" tra i denti,
          sotto i cieli gonfi di vele trasparenti.

          In me mille sogni, come caldi escrementi
          di vecchia colombaia, fan dolci bruciature;
          e il mio tenero cuore è un alburno, a momenti,
          che il giovane oro insanguina di linfe oscure.

          E, quando con cura ho ringoiato ogni sogno,
          mi volto, bevuti più di trenta bicchieri,
          e mi raccolgo a mollare l'acre bisogno:

          dolce come il Dio del cedro e degli issòpi,
          io piscio altissimo e lontano contro i neri
          cieli - approvato dai grandi eliotropi.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Sognato per l'inverno a... lei

            Andremo, d'inverno, in un vagoncino rosa
            con tanti cuscini blu.
            Sarà dolce. Un nido di baci folli posa
            nei cantucci molli. Tu

            chiuderai gli occhi, per non vedere dai vetri
            smorfiare l'ombre delle sere,
            la plebaglia di démoni e di lupi tetri,
            mostruosità arcigne e nere.

            Poi la tua guancia graffiare si sentirà...
            un bacetto, un ragno matto, ti correrà
            sul collo... Intanto

            tu mi dirai: "Cerca! ", chinando a me la testa
            - prenderemo tempo a scovare quella bestia
            - che viaggia così tanto...
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Pensierino del mattino

              La mattina alle quattro, d'estate,
              il sonno d'amore dura ancora.
              Sotto i boschetti l'alba deodora
              le sere festeggiate.

              Ma laggiù negli immensi cantieri
              al sole dell'Esperidi, là
              scamiciati, ecco i carpentieri
              si agitano già.

              Tranquilli, in quei deserti muschiati,
              preparano il tavolato fino
              dove ride il ricco cittadino
              sotto cieli affrescati.

              Per questi Operai affascinanti
              a un re di Babilonia assoggettati,
              ah! Lascia un po', Venere, gli Amanti
              dai cuori incoronati.

              Regina dei Pastori!
              Porta acquavite ai lavoratori,
              la loro forza vieni a ristorare
              prima del bagno meridiano, in mare.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Lacrima

                Lontano da uccelli, da greggi, da paesane,
                io bevevo, rannicchiato in una brughiera,
                cinta da una selva di noccioli leggera,
                in verdi e tiepide foschie meridiane.

                Che potevo bere in quella giovane Oïsa,
                muti olmi, cielo coperto, erba senza fiori.
                Che spillavo alla mia fiasca di colocasia?
                Un liquore d'oro, insulso, che dà sudori.

                Cattiva insegna d'osteria sarei stato.
                Poi il temporale mutò il cielo, fino a sera.
                Furon laghi, pertiche, stazioni, una nera
                regione, e nella notte blu fu un colonnato.

                L'acqua dei boschi moriva alla verginale
                sabbia, e il vento, dal cielo, ghiacciava acquitrini...
                Io, pescatore d'oro e di gusci marini,
                dire che non pensai di bere, come tale!
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  Se non temprasse il foco del mio core
                  l'umor, che verso per gli occhi sì spesso,
                  io avrei visto già di morte il messo,
                  e l'alma ad ubidirla uscita fore;
                  perché la speme omai cede al timore,
                  ed ogni cosa mia soggiace ad esso,
                  poi che si vede a mille segni espresso
                  che chi può farlo vuole il mio dolore.
                  Dunque, s'io vivo, è mercé del mio pianto;
                  s'io moro, è colpa de le crude voglie
                  del mio signor, in vista dolce tanto.
                  Ei mi legò sì ch'altri non mi scioglie,
                  ei vuol aver de la mia morte il vanto.
                  O poco chiare ed onorate spoglie!
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