Le migliori poesie inserite da Eclissi

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Scritta da: Eclissi

Nella follia

Quando verrà il momento
Nella follia
Catturerò il firmamento e lambirò le nubi
Prenderò in prestito la bufera
Lasciandomi alle spalle le lacrime zampillanti
E me ne andrò.

Non inseguirò l'equilibrio
Non soffocherò le grida
Danzerò sull'acqua
Dirigendomi verso l'altra sponda
Libera
O schiava
Non importa!
Guaderò il fiume.

Quando verrà il momento
Farfalla notturna
Deporrò la dolcezza che ormai mi ha annoiata
Deporrò l'abito imbizzarrito invano
E darò fuoco al passato
Per ritornare liscia come la terra vista da lontano
E girare da sola
Intorno alla luna.

Riderò e le mie risate non saranno tristi
Non volerò, camminerò
Accarezzerò la strada
Converserò tutta la notte con il selciato
Farò sgorgare la poesia dalle pietruzze
Il cielo piangerà e non mi preoccuperò
Il vento consumerà il mio cuore ustionato dall'amore

Quando verrà il momento
alba senza rugiada
mi mostrerò con il viso rabbuiato
e seppellirò i miei visi sereni
diffonderò le ombre sul mio essere
le farò gocciolare come il dolce miele
punto dopo punto
bacio dopo bacio
affinché riemerga sulla superficie del fiume
quella donna che ho serbato in me.
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    Scritta da: Eclissi

    Arbre bleu

    Lorsque tes yeux rencontrent ma solitude
    Le silence devient pont
    Et le sommeil tempête
    Des portes défendues s'entrouvrent
    Et l'eau apprend à souffrir.

    Lorsque ma solitude rencontre tes yeux
    Le désir monte et se répand
    Parfois marée insolente
    Vague qui court sans fin
    Ou sève qui se verse goutte à goutte
    Sève plus ardente qu'un tourment
    Commencement qui jamais ne s'accomplit.

    Lorsque tes yeux et ma solitude se rencontrent
    Je me donne nue comme la pluie
    Généreuse telle un sein rêvè
    Tendre comme la vigne qui mûrit le soleil

    Multiple je me donne
    Une braise dans chaque oeil
    Jusqu'à ce que naisse l'arbre de ton amour
    Tellement haut et rebelle
    Tellement rebelle et tellement mien
    Flèche qui revient à l'arc
    Racine où convergent mes nuages
    Palmier bleu plantè dans mes soupirs
    Ciel montant que rien n'arrêtera.
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      Scritta da: Eclissi

      Cos'era

      Era impossibile da immaginare, impossibile
      da non immaginare; la sua azzurrezza, l'ombra che lasciava,
      che cadeva, riempiva l'oscurità del proprio freddo,
      il suo freddo che cadeva fuori da se stesso, fuori da qualsiasi idea
      di sé descrivesse nel cadere; un qualcosa, una minuzia,
      una macchia, un punto, un punto in un punto, un abisso infinito
      di minuzia; una canzone, ma meno di una canzone, qualcosa che
      affoga in sé, qualcosa che va, un'alluvione di suono, ma meno
      di un suono; la sua fine, il suo vuoto,
      il suo tenero, piccolo vuoto che colma la sua eco, e cade,
      e si alza, inavvertito, e cade ancora, e così sempre,
      e sempre perché, e solo perché, essendo stato, era...

      Era l'inizio di una sedia;
      era il divano grigio; era i muri,
      il giardino, la strada di ghiaia; era il modo in cui
      i ruderi di luna le crollavano sulla chioma.
      Era quello, ed era altro ancora; era il vento che azzannava
      gli alberi; era la congerie confusa di nubi, la bava
      di stelle sulla riva. Era l'ora che pareva dire
      che se sapevi in che punto esatto del tempo si era, non avresti
      mai più chiesto nulla. Era quello. Senz'altro era quello.
      Era anche l'evento mai avvenuto – un momento tanto pieno
      che quando se ne andò, come doveva, nessun dolore riusciva
      a contenerlo. Era la stanza che pareva la stessa
      dopo tanti anni. Era quello. Era il cappello
      dimenticato da lei, la penna che lei lasciò sul tavolo.
      Era il sole sulla mia mano. Era il caldo del sole. Era come
      sedevo, come attendevo per ore, per giorni. Era quello. Solo quello.
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        Scritta da: Eclissi

        All'amato me stesso

        Quattro. Pesanti come un colpo.

        "A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio".

        Ma uno come me dove potrà ficcarsi?

        Dove mi si è apprestata una tana?

        S'io fossi piccolo come il grande oceano,
        mi leverei sulla punta dei piedi delle onde con l'alta marea,
        accarezzando la luna.

        Dove trovare un'amata uguale a me?
        Angusto sarebbe il cielo per contenerla!

        O s'io fossi povero come un miliardario... Che cos'è il denaro per l'anima?
        Un ladro insaziabile s'annida in essa:
        all'orda sfrenata di tutti i miei desideri
        non basta l'oro di tutte le Californie!

        S'io fossi balbuziente come Dante o Petrarca...
        Accendere l'anima per una sola, ordinarle coi versi...
        Struggersi in cenere.
        E le parole e il mio amore sarebbero un arco di trionfo:
        pomposamente senza lasciar traccia vi passerebbero sotto
        le amanti di tutti i secoli.

        O s'io fossi silenzioso, umil tuono... Gemerei stringendo
        con un brivido l'intrepido eremo della terra...
        Seguiterò a squarciagola con la mia voce immensa.

        Le comete torceranno le braccia fiammeggianti,
        gettandosi a capofitto dalla malinconia.

        Coi raggi degli occhi rosicchierei le notti
        s'io fossi appannato come il sole...

        Che bisogno ho io d'abbeverare col mio splendore
        il grembo dimagrato della terra?

        Passerò trascinando il mio enorme amore
        in quale notte delirante e malaticcia?

        Da quali Golia fui concepito
        così grande,
        e così inutile?
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          Scritta da: Eclissi

          E ciò che voglio è l'amore

          E ciò che voglio è l'amore,
          l'amore spensierato e quello che rimette tutto in discussione,
          quello che fa rinascere,
          l'amore passionale, l'amore lontano, il fine amore,
          quello che vi costringe a superarvi,
          l'amore platonico, l'amore sessuale,
          l'amore lieve, l'amore oscuro, l'amore luminoso,
          l'amore tenero,
          l'amore fedele, l'amore infedele,
          l'amore geloso, l'amore generoso,
          l'amore libero, l'amore sognato,
          l'amore adorazione, l'amore mistico, l'amore istintivo,
          l'amore che si fa, il prima, il durante e il dopo l'amore,
          l'amore che brucia, l'amore pudico,
          l'amore segreto, l'amore gridato,
          l'amore che fa male al corpo, l'amore che fa bene al corpo,
          l'amore che paralizza e quello che dà le ali,
          l'amore a morte, l'amore a vita,
          il primo amore, l'amore perduto,
          l'amore ferito, il prossimo amore,
          perché non ci sono regole,
          perché è necessario inventare i propri amori,
          inventare la propria vita.
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            Scritta da: Eclissi

            Sono una donna

            Nessuno può immaginare
            quel che dico quando me ne sto in silenzio
            chi vedo quando chiudo gli occhi
            come vengo sospinta quando vengo sospinta
            cosa cerco quando lascio libere le mie mani.
            Nessuno, nessuno sa
            quando ho fame quando parto
            quando cammino e quando mi perdo,
            e nessuno sa
            che per me andare è ritornare
            e ritornare è indietreggiare,
            che la mia debolezza è una maschera
            e la mia forza è una maschera,
            e che quel che seguirà è una tempesta.
            Credono di sapere
            e io glielo lascio credere
            e avvengo.
            Hanno costruito per me una gabbia affinché la mia libertà
            fosse una loro concessione
            e ringraziassi e obbedissi.
            Ma io sono libera prima e dopo di loro,
            con loro e senza di loro
            sono libera nella vittoria e nella sconfitta.
            La mia prigione è la mia volontà!
            La chiave della prigione è la loro lingua
            ma la loro lingua si avvinghia intorno alle dita del mio desiderio
            e il mio desiderio non riusciranno mai a domare.
            Sono una donna.
            Credono che la mia libertà sia loro proprietà
            e io glielo lascio credere
            e avvengo.
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              Scritta da: Eclissi

              Mare nero

              Una notte chiara, mentre gli altri dormivano, ho salito
              le scale fino al tetto della casa e sotto un cielo
              fitto di stelle ho scrutato il mare, la sua distesa,
              il moto delle sue creste spazzate dal vento, divenire
              come pezzi di trina gettati in aria. Sono rimasto nella lunga
              notte piena di sussurri, aspettando qualcosa, un segno, l'avvicinarsi
              di una luce lontana, e ho immaginato che tu venivi vicino,
              le onde scure dei tuoi capelli mescolarsi col mare,
              e l'oscurità è divenuta desiderio, e desiderio la luce che approssimava.
              La vicinanza, il calore momentaneo di te mentre rimanevo
              su quell'altezza solitaria guardando il lento gonfiarsi del mare
              rompersi sulla riva e in breve mutare in vetro e scomparire...
              Perché ho creduto che saresti venuta uscita dal nulla? Perché con tutto
              quello che il mondo offre saresti venuta solo perché io ero qui?
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                Scritta da: Eclissi

                Ode alla notte

                Vieni, Notte antichissima e identica,
                Notte Regina nata detronizzata,
                Notte internamente uguale al silenzio, Notte
                con le stelle, lustrini rapidi
                sul tuo vestito frangiato di Infinito.

                Vieni vagamente,
                vieni lievemente,
                vieni sola, solenne, con le mani cadute
                lungo i fianchi, vieni
                e porta i lontani monti a ridosso degli alberi vicini,
                fondi in un campo tuo tutti i campi che vedo,
                fai della montagna un solo blocco del tuo corpo,
                cancella in essa tutte le differenze che vedo da lontano di giorno,
                tutte le strade che la salgono,
                tutti i vari alberi che la fanno verde scuro in lontananza,

                tutte le case bianche che fumano fra gli alberi
                e lascia solo una luce, un'altra luce e un'altra ancora,
                nella distanza imprecisa e vagamente perturbatrice,
                nella distanza subitamente impossibile da percorrere.

                Nostra Signora
                delle cose impossibili che cerchiamo invano,
                dei sogni che ci visitano al crepuscolo, alla finestra,
                dei propositi che ci accarezzano
                sulle ampie terrazze degli alberghi cosmopoliti sul mare,
                al suono europeo delle musiche e delle voci lontane e vicine,
                e che ci dolgono perché sappiamo che mai li realizzeremo.

                Vieni e cullaci,
                vieni e consolaci,
                baciaci silenziosamente sulla fronte,
                cosi lievemente sulla fronte che non ci accorgiamo d'essere baciati
                se non per una differenza nell'anima
                e un vago singulto che parte misericordiosamente
                dall'antichissimo di noi
                laddove hanno radici quegli alberi di meraviglia
                i cui frutti sono i sogni che culliamo e amiamo,
                perché li sappiamo senza relazione con ciò che ci può
                essere nella vita.

                Vieni solennissima,
                solennissima e colma
                di una nascosta voglia di singhiozzare,
                forse perché grande è l'anima e piccola è la vita,
                e non tutti i gesti possono uscire dal nostro corpo,
                e arriviamo solo fin dove arriva il nostro braccio
                e vediamo solo fin dove vede il nostro sguardo.

                Vieni, dolorosa,
                Mater Dolorosa delle Angosce dei Timidi,
                Turris Eburnea delle Tristezze dei Disprezzati,
                fresca mano sulla fronte febbricitante degli Umili,
                sapore d'acqua di fonte sulle labbra riarse degli Stanchi.

                Vieni, dal fondo
                dell'orizzonte livido,
                vieni e strappami
                dal suolo dell'angustia in cui io vegeto,
                dal suolo di inquietudine e vita-di-troppo e false sensazioni
                dal quale naturalmente sono spuntato.

                Coglimi dal mio suolo, margherita trascurata,
                e fra erbe alte margherita ombreggiata,
                petalo per petalo leggi in me non so quale destino
                e sfogliami per il tuo piacere,
                per il tuo piacere silenzioso e fresco.

                Un petalo di me lancialo verso il Nord,
                dove sorgono le città di oggi il cui rumore ho amato come un corpo.
                Un altro petalo di me lancialo verso il Sud
                dove sono i mari e le avventure che si sognano.

                Un altro petalo verso Occidente,
                dove brucia incandescente tutto ciò che forse è il futuro,
                e ci sono rumori di grandi macchine e grandi deserti rocciosi
                dove le anime inselvatichiscono e la morale non arriva.

                E l'altro, gli altri, tutti gli altri petali
                – oh occulto rintocco di campane a martello nella mia anima! –
                affidali all'Oriente,
                l'Oriente da cui viene tutto, il giorno e la fede,
                l'Oriente pomposo e fanatico e caldo,
                l'Oriente eccessivo che io non vedrò mai,
                l'Oriente buddhista, bramanico, scintoista,
                l'Oriente che è tutto quanto noi non abbiamo,
                tutto quanto noi non siamo,
                l'Oriente dove – chissà – forse ancor oggi vive Cristo,
                dove forse Dio esiste corporalmente imperando su tutto...

                Vieni sopra i mari,
                sopra i mari maggiori,
                sopra il mare dagli orizzonti incerti,
                vieni e passa la mano sul suo dorso ferino,
                e calmalo misteriosamente,
                o domatrice ipnotica delle cose brulicanti!

                Vieni, premurosa,
                vieni, materna,
                in punta di piedi, infermiera antichissima che ti sedesti
                al capezzale degli dei delle fedi ormai perdute,
                e che vedesti nascere Geova e Giove,
                e sorridesti perché per te tutto è falso, salvo la tenebra e il silenzio,
                e il grande Spazio Misterioso al di la di essi... Vieni, Notte silenziosa ed estatica,
                avvolgi nel tuo mantello leggero
                il mio cuore... Serenamente, come una brezza nella sera lenta,
                tranquillamente, come un gesto materno che rassicura,
                con le stelle che brillano (o Travestita dell'Oltre!),
                polvere di oro sui tuoi capelli neri,
                e la luna calante, maschera misteriosa sul tuo volto.

                Tutti i suoni suonano in un altro modo quando tu giungi
                Quando tu entri ogni voce si abbassa
                Nessuno ti vede entrare
                Nessuno si accorge di quando sei entrata,
                se non all'improvviso, nel vedere che tutto si raccoglie,
                che tutto perde i contorni e i colori,
                e che nel cielo alto, ancora chiaramente azzurro e bianco all'orizzonte,
                già falce nitida, o circolo giallastro, o mero diffuso biancore, la luna comincia il suo giorno.
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