Quando verrà il momento Nella follia Catturerò il firmamento e lambirò le nubi Prenderò in prestito la bufera Lasciandomi alle spalle le lacrime zampillanti E me ne andrò.
Non inseguirò l'equilibrio Non soffocherò le grida Danzerò sull'acqua Dirigendomi verso l'altra sponda Libera O schiava Non importa! Guaderò il fiume.
Quando verrà il momento Farfalla notturna Deporrò la dolcezza che ormai mi ha annoiata Deporrò l'abito imbizzarrito invano E darò fuoco al passato Per ritornare liscia come la terra vista da lontano E girare da sola Intorno alla luna.
Riderò e le mie risate non saranno tristi Non volerò, camminerò Accarezzerò la strada Converserò tutta la notte con il selciato Farò sgorgare la poesia dalle pietruzze Il cielo piangerà e non mi preoccuperò Il vento consumerà il mio cuore ustionato dall'amore
Quando verrà il momento alba senza rugiada mi mostrerò con il viso rabbuiato e seppellirò i miei visi sereni diffonderò le ombre sul mio essere le farò gocciolare come il dolce miele punto dopo punto bacio dopo bacio affinché riemerga sulla superficie del fiume quella donna che ho serbato in me.
Lorsque tes yeux rencontrent ma solitude Le silence devient pont Et le sommeil tempête Des portes défendues s'entrouvrent Et l'eau apprend à souffrir.
Lorsque ma solitude rencontre tes yeux Le désir monte et se répand Parfois marée insolente Vague qui court sans fin Ou sève qui se verse goutte à goutte Sève plus ardente qu'un tourment Commencement qui jamais ne s'accomplit.
Lorsque tes yeux et ma solitude se rencontrent Je me donne nue comme la pluie Généreuse telle un sein rêvè Tendre comme la vigne qui mûrit le soleil
Multiple je me donne Une braise dans chaque oeil Jusqu'à ce que naisse l'arbre de ton amour Tellement haut et rebelle Tellement rebelle et tellement mien Flèche qui revient à l'arc Racine où convergent mes nuages Palmier bleu plantè dans mes soupirs Ciel montant que rien n'arrêtera.
Era impossibile da immaginare, impossibile da non immaginare; la sua azzurrezza, l'ombra che lasciava, che cadeva, riempiva l'oscurità del proprio freddo, il suo freddo che cadeva fuori da se stesso, fuori da qualsiasi idea di sé descrivesse nel cadere; un qualcosa, una minuzia, una macchia, un punto, un punto in un punto, un abisso infinito di minuzia; una canzone, ma meno di una canzone, qualcosa che affoga in sé, qualcosa che va, un'alluvione di suono, ma meno di un suono; la sua fine, il suo vuoto, il suo tenero, piccolo vuoto che colma la sua eco, e cade, e si alza, inavvertito, e cade ancora, e così sempre, e sempre perché, e solo perché, essendo stato, era...
Era l'inizio di una sedia; era il divano grigio; era i muri, il giardino, la strada di ghiaia; era il modo in cui i ruderi di luna le crollavano sulla chioma. Era quello, ed era altro ancora; era il vento che azzannava gli alberi; era la congerie confusa di nubi, la bava di stelle sulla riva. Era l'ora che pareva dire che se sapevi in che punto esatto del tempo si era, non avresti mai più chiesto nulla. Era quello. Senz'altro era quello. Era anche l'evento mai avvenuto – un momento tanto pieno che quando se ne andò, come doveva, nessun dolore riusciva a contenerlo. Era la stanza che pareva la stessa dopo tanti anni. Era quello. Era il cappello dimenticato da lei, la penna che lei lasciò sul tavolo. Era il sole sulla mia mano. Era il caldo del sole. Era come sedevo, come attendevo per ore, per giorni. Era quello. Solo quello.
"A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio".
Ma uno come me dove potrà ficcarsi?
Dove mi si è apprestata una tana?
S'io fossi piccolo come il grande oceano, mi leverei sulla punta dei piedi delle onde con l'alta marea, accarezzando la luna.
Dove trovare un'amata uguale a me? Angusto sarebbe il cielo per contenerla!
O s'io fossi povero come un miliardario... Che cos'è il denaro per l'anima? Un ladro insaziabile s'annida in essa: all'orda sfrenata di tutti i miei desideri non basta l'oro di tutte le Californie!
S'io fossi balbuziente come Dante o Petrarca... Accendere l'anima per una sola, ordinarle coi versi... Struggersi in cenere. E le parole e il mio amore sarebbero un arco di trionfo: pomposamente senza lasciar traccia vi passerebbero sotto le amanti di tutti i secoli.
O s'io fossi silenzioso, umil tuono... Gemerei stringendo con un brivido l'intrepido eremo della terra... Seguiterò a squarciagola con la mia voce immensa.
Le comete torceranno le braccia fiammeggianti, gettandosi a capofitto dalla malinconia.
Coi raggi degli occhi rosicchierei le notti s'io fossi appannato come il sole...
Che bisogno ho io d'abbeverare col mio splendore il grembo dimagrato della terra?
Passerò trascinando il mio enorme amore in quale notte delirante e malaticcia?
Da quali Golia fui concepito così grande, e così inutile?
E ciò che voglio è l'amore, l'amore spensierato e quello che rimette tutto in discussione, quello che fa rinascere, l'amore passionale, l'amore lontano, il fine amore, quello che vi costringe a superarvi, l'amore platonico, l'amore sessuale, l'amore lieve, l'amore oscuro, l'amore luminoso, l'amore tenero, l'amore fedele, l'amore infedele, l'amore geloso, l'amore generoso, l'amore libero, l'amore sognato, l'amore adorazione, l'amore mistico, l'amore istintivo, l'amore che si fa, il prima, il durante e il dopo l'amore, l'amore che brucia, l'amore pudico, l'amore segreto, l'amore gridato, l'amore che fa male al corpo, l'amore che fa bene al corpo, l'amore che paralizza e quello che dà le ali, l'amore a morte, l'amore a vita, il primo amore, l'amore perduto, l'amore ferito, il prossimo amore, perché non ci sono regole, perché è necessario inventare i propri amori, inventare la propria vita.
Nessuno può immaginare quel che dico quando me ne sto in silenzio chi vedo quando chiudo gli occhi come vengo sospinta quando vengo sospinta cosa cerco quando lascio libere le mie mani. Nessuno, nessuno sa quando ho fame quando parto quando cammino e quando mi perdo, e nessuno sa che per me andare è ritornare e ritornare è indietreggiare, che la mia debolezza è una maschera e la mia forza è una maschera, e che quel che seguirà è una tempesta. Credono di sapere e io glielo lascio credere e avvengo. Hanno costruito per me una gabbia affinché la mia libertà fosse una loro concessione e ringraziassi e obbedissi. Ma io sono libera prima e dopo di loro, con loro e senza di loro sono libera nella vittoria e nella sconfitta. La mia prigione è la mia volontà! La chiave della prigione è la loro lingua ma la loro lingua si avvinghia intorno alle dita del mio desiderio e il mio desiderio non riusciranno mai a domare. Sono una donna. Credono che la mia libertà sia loro proprietà e io glielo lascio credere e avvengo.
E mi insegue la tua Pelle negli abissi dove discendo azzurra di solitudine Echi di cristalli le mie Armonie perdute Torna una foglia dove mi baci i sussurri delle tue mani dipingono il mio Divenire In Te, tra Te, su Te - perdutamente! - io sto Nascendo.
Una notte chiara, mentre gli altri dormivano, ho salito le scale fino al tetto della casa e sotto un cielo fitto di stelle ho scrutato il mare, la sua distesa, il moto delle sue creste spazzate dal vento, divenire come pezzi di trina gettati in aria. Sono rimasto nella lunga notte piena di sussurri, aspettando qualcosa, un segno, l'avvicinarsi di una luce lontana, e ho immaginato che tu venivi vicino, le onde scure dei tuoi capelli mescolarsi col mare, e l'oscurità è divenuta desiderio, e desiderio la luce che approssimava. La vicinanza, il calore momentaneo di te mentre rimanevo su quell'altezza solitaria guardando il lento gonfiarsi del mare rompersi sulla riva e in breve mutare in vetro e scomparire... Perché ho creduto che saresti venuta uscita dal nulla? Perché con tutto quello che il mondo offre saresti venuta solo perché io ero qui?
Vieni, Notte antichissima e identica, Notte Regina nata detronizzata, Notte internamente uguale al silenzio, Notte con le stelle, lustrini rapidi sul tuo vestito frangiato di Infinito.
Vieni vagamente, vieni lievemente, vieni sola, solenne, con le mani cadute lungo i fianchi, vieni e porta i lontani monti a ridosso degli alberi vicini, fondi in un campo tuo tutti i campi che vedo, fai della montagna un solo blocco del tuo corpo, cancella in essa tutte le differenze che vedo da lontano di giorno, tutte le strade che la salgono, tutti i vari alberi che la fanno verde scuro in lontananza,
tutte le case bianche che fumano fra gli alberi e lascia solo una luce, un'altra luce e un'altra ancora, nella distanza imprecisa e vagamente perturbatrice, nella distanza subitamente impossibile da percorrere.
Nostra Signora delle cose impossibili che cerchiamo invano, dei sogni che ci visitano al crepuscolo, alla finestra, dei propositi che ci accarezzano sulle ampie terrazze degli alberghi cosmopoliti sul mare, al suono europeo delle musiche e delle voci lontane e vicine, e che ci dolgono perché sappiamo che mai li realizzeremo.
Vieni e cullaci, vieni e consolaci, baciaci silenziosamente sulla fronte, cosi lievemente sulla fronte che non ci accorgiamo d'essere baciati se non per una differenza nell'anima e un vago singulto che parte misericordiosamente dall'antichissimo di noi laddove hanno radici quegli alberi di meraviglia i cui frutti sono i sogni che culliamo e amiamo, perché li sappiamo senza relazione con ciò che ci può essere nella vita.
Vieni solennissima, solennissima e colma di una nascosta voglia di singhiozzare, forse perché grande è l'anima e piccola è la vita, e non tutti i gesti possono uscire dal nostro corpo, e arriviamo solo fin dove arriva il nostro braccio e vediamo solo fin dove vede il nostro sguardo.
Vieni, dolorosa, Mater Dolorosa delle Angosce dei Timidi, Turris Eburnea delle Tristezze dei Disprezzati, fresca mano sulla fronte febbricitante degli Umili, sapore d'acqua di fonte sulle labbra riarse degli Stanchi.
Vieni, dal fondo dell'orizzonte livido, vieni e strappami dal suolo dell'angustia in cui io vegeto, dal suolo di inquietudine e vita-di-troppo e false sensazioni dal quale naturalmente sono spuntato.
Coglimi dal mio suolo, margherita trascurata, e fra erbe alte margherita ombreggiata, petalo per petalo leggi in me non so quale destino e sfogliami per il tuo piacere, per il tuo piacere silenzioso e fresco.
Un petalo di me lancialo verso il Nord, dove sorgono le città di oggi il cui rumore ho amato come un corpo. Un altro petalo di me lancialo verso il Sud dove sono i mari e le avventure che si sognano.
Un altro petalo verso Occidente, dove brucia incandescente tutto ciò che forse è il futuro, e ci sono rumori di grandi macchine e grandi deserti rocciosi dove le anime inselvatichiscono e la morale non arriva.
E l'altro, gli altri, tutti gli altri petali – oh occulto rintocco di campane a martello nella mia anima! – affidali all'Oriente, l'Oriente da cui viene tutto, il giorno e la fede, l'Oriente pomposo e fanatico e caldo, l'Oriente eccessivo che io non vedrò mai, l'Oriente buddhista, bramanico, scintoista, l'Oriente che è tutto quanto noi non abbiamo, tutto quanto noi non siamo, l'Oriente dove – chissà – forse ancor oggi vive Cristo, dove forse Dio esiste corporalmente imperando su tutto...
Vieni sopra i mari, sopra i mari maggiori, sopra il mare dagli orizzonti incerti, vieni e passa la mano sul suo dorso ferino, e calmalo misteriosamente, o domatrice ipnotica delle cose brulicanti!
Vieni, premurosa, vieni, materna, in punta di piedi, infermiera antichissima che ti sedesti al capezzale degli dei delle fedi ormai perdute, e che vedesti nascere Geova e Giove, e sorridesti perché per te tutto è falso, salvo la tenebra e il silenzio, e il grande Spazio Misterioso al di la di essi... Vieni, Notte silenziosa ed estatica, avvolgi nel tuo mantello leggero il mio cuore... Serenamente, come una brezza nella sera lenta, tranquillamente, come un gesto materno che rassicura, con le stelle che brillano (o Travestita dell'Oltre!), polvere di oro sui tuoi capelli neri, e la luna calante, maschera misteriosa sul tuo volto.
Tutti i suoni suonano in un altro modo quando tu giungi Quando tu entri ogni voce si abbassa Nessuno ti vede entrare Nessuno si accorge di quando sei entrata, se non all'improvviso, nel vedere che tutto si raccoglie, che tutto perde i contorni e i colori, e che nel cielo alto, ancora chiaramente azzurro e bianco all'orizzonte, già falce nitida, o circolo giallastro, o mero diffuso biancore, la luna comincia il suo giorno.